Il voto di domenica in Grecia, comunque vada, non metterà il sigillo al lungo braccio di ferro svoltosi, negli ultimi anni, tra due concezioni economico-finanziarie dell’UE, che hanno finito per riguardare anche lo sviluppo politico delle istituzioni unionali. Da un lato i fautori del rispetto rigido dei parametri di Maastricht con i sacrifici necessari a riportare gli stati trasgressori (Grecia in primis) in limiti che non attentino alla solidità dell’euro. Dall’altro l’interpretazione elastica di quei vincoli, e la richiesta di una sorta di sospensione a tempo del trattato di Maastricht. I secondi puntano al rilancio di produzione e consumi, con la tutela dei ceti e dei paesi, segnatamente nel Sud dell’Europa, più colpiti dalla crisi finanziaria importata dagli Stati Uniti.
Quel dibattito, legittimo, dove ha potuto, sicuramente in Grecia Spagna e Italia, ha raffreddato molti degli entusiasmi europeisti, nati nel prima dopoguerra e cresciuti sui successi iniziali del mercato interno e dell’euro, ridando fiato e gambe agli zombie delle tragedie europee del passato: nazionalismo, razzismo, protezionismo, svalutazioni competitive. Gli ingredienti di base dei processi che hanno scatenato nei secoli le continue e temibili conflagrazioni intracontinentali.
Il voto, con la prospettiva della vittoria di Alexis Tsipras e del suo partito Syriza, ha radici interne: andava rinnovato un parlamento incapace di eleggere il presidente della repubblica. E’ insomma una puntata dell’estenuante commedia che da tempo recitano un popolo riottoso alle regole, e un demagogico ceto politico (i conservatori di Nea Demokratia e i socialisti del Pasok) che ha ingannato il suo paese prima ancora che i partner europei. Quel voto sarà, inevitabilmente, anche il punto di snodo dell’attuale fase politica dell’Unione, visto che arriva a qualche giorno dall’iniezione di denaro sui mercati da parte della Banca Centrale Europea, che ha confermato, se ce ne fosse stato bisogno, che il regionalismo cooperativo UE non prevede paesi egemoni o banchieri nazionali che dettino la linea.
Se davvero Tsipras riuscisse a governare con il pragmatismo visionario che sbandiera (deve intanto ottenere la maggioranza che gli serve e tacitare le sue ali estreme interne), e realizzasse l’idea che gli viene attribuita di portare alla presidenza ellenica l’attuale commissario europeo Dimitris Avramopoulos, uomo di spicco di Nea Demokratia, partirebbe sicuramente col piede giusto, anche se nessuno dei problemi di struttura verrebbe risolto dal solo cambio di direzione politica.
La chiusura della campagna elettorale di Syriza ha visto la partecipazione di diversi leader dell’opposizione europea a cominciare dal gruppo dirigente di Podemos spagnolo. Il comizio si è chiuso al canto di “Bella Ciao”, con la gente che ritmava e ballava il canto dei partigiani italiani. E’ un buon segno. Anche se Tsipras ha pronunciato troppe volte, in un discorso impastato di retorica e scarso senso di realismo, le parole patria ed Ellade, ha comunque segnalato il distacco dal becero nazionalismo demagogico che tanto male ha fatto alla Grecia nel Novecento, non avendo mai permesso a un popolo generoso e amico, di confrontarsi seriamente con i problemi reali, invece di transitare, senza troppe speranze, attraverso guerre civili, dittature, accumulo di privilegi su pochi e di povertà su troppi.
Sulla Grecia pubblicai un libro, alla vigilia dell’ingresso nell’allora Comunità europea: mai avrei immaginato che potesse finire così. Speriamo che il popolo assuma buone decisioni e che il giorno dopo torni a rimboccarsi le maniche.