Ancora per qualche ora permarrà lo sgomento. Ma presto passerà. I dodici morti di Charlie Hebdo avranno scritto, disegnato e criticato per il vento, che passa e vola via. Il vento sono i loro stessi lettori. Esemplifico. Alla fine del 2002, con le Torri Gemelle ancora fumanti, sul settimanale apparve un articolo, scritto da Robert Misrahi, filosofo nato in Turchia, Professore alla Sorbona, studioso in particolare di Spinoza (Dio è nella Natura; Dio è Natura). L’articolo esprimeva la sua decisa e preoccupata approvazione al pamphlet di Oriana Fallaci, La Rabbia e L’Orgoglio. In particolare, sottolineava la frase “…che è l’Islam a partire in crociata contro l’occidente, e non il contrario”. Giunsero tali e tante lettere di protesta per l’adesione alla “fascista” Fallaci, che dopo una settimana Charlie Hebdo volle sconfessare l’articolo, precisando che il Professor Misrhai non era della redazione.
Questi lettori, tuttavia, non erano e non sono una presenza isolata: semmai testimoniano un pensiero maggioritario e ormai convenzionale. Cioè privo di capacità critica. Il punto più urticante della polemica che Oriana Fallaci volle sanguignamente rilanciare era proprio il cuore del problema. Vale a dire, la progressiva erosione, nell’area geopolitica europea e nordamericana, l’Occidente cosiddetto, di quelli che un filosofo come il Prof. Misrahi avrebbe chiamato gli “Universali”, cioè un’idea che fondi tutto e tutto spieghi: unitariamente. L’erosione, s‘intende, non è cominciata in questi anni. E’ stata il genio sfuggito alla lampada dell’Illuminismo.
Ragione e Tolleranza volevano riscuoterci dall’oppressione del Dio dei Re. Ma alla Bastiglia quelle ariose parole si illividirono, ridestando il Dio dell’Ira e della Vendetta, stavolta a servizio del Popolo: giacchè il Feudo aveva fatto il suo tempo e ferrovie e macchine a vapore urgevano sul proscenio. Tagliare teste coronate e cacciare un Dio aristocratico dalla Terra fu il primo investimento di lungo periodo del Terzo Stato, la nascente borghesia.
Per tutto il XIX secolo sembrava che la cosa funzionasse. Fabbriche e industrie erano state il fonte battesimale della scienza applicata e dedicata al beneficio comune e procedevano allegramente secolari; e quando Marx ed Engels si volsero al neonato proletariato industriale, com’è noto, non dubitarono che il campo di battaglia fosse definitivamente la Ragione dei Lumi. Solo proposero vibratamente una variazione sul tema. Dio continuò a rimanere fuori. Ed infatti Lenin avrebbe inneggiato al socialismo come “potere dei soviet più elettrificazione”.
Ma l’uomo non poteva vivere senza gli “Universali”. Così, prima che Titanic e Rivoluzione d’Ottobre mostrassero che la sostituzione dei Lumi a Dio aveva il fiato corto, il genio dell’arte e del pensiero aveva suonato l’ultima chiamata: “Magnifica, Aljosa questa scienza! Ne verrà fuori un uomo nuovo, questo lo capisco…Ma, tuttavia, rimpiango Dio”, diceva Ivan Karamazov nel 1880. Due anni dopo, Nietzsche inscenerà il suo terribile “Dio è morto”, più esattamente “…l’ abbiamo ucciso”; e il Folle che aveva esordito esclamando: “Cerco Dio! Cerco Dio!”, era stato circondato da corali e convinte risate: “Si è forse perduto?”, questo Dio; “Si è smarrito come un bambino?”; “Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? E’ emigrato?”. Ma il Folle è così pervaso dalla tragedia prometeica, che non si cura di quelle risate e si aggira per la piazza del mercato agitando tutt’intorno domande su domande. Ne urla ventiquattro di fila. Sono le nostre domande. E sono ancora tutte lì.
Quelle domande sono diventate il piano delle nostre sofferenze, il nome dei nostri futuri, e forse inevitabili, errori. Nel tentativo di riprendere il discorso, di ritrovare l’Uno, abbiamo vissuto il Secolo Breve di Hobsbawn: due Guerre Mondiali catastrofiche, Hiroshima, totalitarismi. Non male per un dilettante-dio com’è l’Uomo. Ma non abbiamo fatto solo quello, in “Occidente”. Abbiamo costruito un intero mondo pieno anche di utilità, di benessere, di pulizia e di vita: casomai uno fosse perplesso, potrebbe sempre andarsene in Angola, e vedere che aria tira. Il fatto è che la Ragione non è nata a Parigi: è nata ad Atene. E, da Atene, dopo il suo seppellimento altomedievale, fu riportata alla luce nel X secolo dal maomettano Al Farabi; nel XII secolo, poi, nella musulmana Cordoba, Averroè, da islamico, e Mosè Maimonide, da ebreo, proposero una maestosa sintesi, l’uno fra Aristotele e il Corano, l’altro fra Aristotele la Bibbia, che fu un mirabile esempio di quello che significa “trarre il meglio da ciascuno”.
Allora dove ci siamo persi? Bella domanda. Però, se si cominciasse a riconoscere che Adamo Smith e Karl Marx erano solo “gemelli diversi”, forse un tentativo, negli anni, magari nei prossimi decenni, ancora lo si potrebbe fare.
Ora, questo Islam barricadero e fanatico è solo un’avanguardia negativa. La retroguardia è fatta di un miliardo e mezzo di persone che, pur senza scannare il prossimo, credono ad un loro Uno. Vivono in un loro Uno. A questa moltitudine si è rivolto il Presidente egiziano Al Sisi, invocando una “Rivoluzione religiosa”. Noi abbiamo molto costruito e molto distrutto. Per difenderci, perchè tutto non si risolva in un doloroso ma presto anonimo fatto di cronaca, dobbiamo prima tornare a sapere per quale Ragione, se parigina o ateniese, difenderci. Dobbiamo provare a ricostruire un nostro Universale. Altrimenti, una risata ci seppellirà.