La tanto attesa riforma del Consiglio di Sicurezza dell'ONU non sarà presente neppure nell'agenda del Palazzo di Vetro di quest'anno. Lo scacchiere delle Nazioni Unite rimane lo stesso. Le pedine permanenti non hanno nessuna intenzione di cedere il posto e quelle che premono per entrare come membri del consiglio non riusciranno neppure questa volta a cambiare la struttura originaria dell'organo più importante dell'ONU.
Lo ha confermato il Presidente dell'Assemblea Generale, l'ugandese Sam Kahamba Kutesa, durante la conferenza stampa di chiusura della sessantanovesima Assemblea Generale dell'ONU, in cui ha parlato dei principali punti dell'agenda del prossimo anno, tra cui la lotta alla povertà e alla fame, il terrorismo, il cambiamento climatico e l'Ebola.
“Poichè tutti sono d'accordo che abbiamo bisogno di un cambiamento, propongo di fare un documento scritto, dove sarà possibile capire chi è disposto a scendere a compromessi. – ha detto il presidente – Sono ottimista, ma non penso che si arriverà a completare una riforma del consiglio di sicurezza nel sessantanovesimo anno dell'assemblea generale”.
In realtà, il compromesso sarà difficile da trovare con paesi che sono schierati oramai da anni su due fronti: da un lato “i G4” e dall'altro il gruppo “Uniting for Consensus”.
Il primo vede l'India, il Brasile, la Germania e il Giappone in prima linea nel chiedere, oramai da vent'anni, un seggio permanente. Alle porte del Consiglio di sicurezza c' è anche l'Africa che vorrebbe trovare un modo per portare con un seggio permanente uno dei paesi del continente dentro la sala dei bottoni più importante del mondo.
Il più determinato fra tutti, il Giappone, ha fatto capire di avere le idee chiare. Il primo ministro giappone Shinzo Abe all'Assemblea Generale ha detto che il suo paese “è determinato ad entrare nel consiglio di sicurezza come membro permanente alle elezioni del prossimo anno, nel momento del settantesimo anniversario della nascita delle Nazioni Unite”.
Più accomodante il primo ministro indiano Modi che ha, comunque, lanciato un messaggio forte. “Le istituzioni che riflettono il ventesimo secolo non possono essere efficaci nel ventunesimo” ha detto alludendo al fatto che i paesi con seggi permanenti – Gran Bretagna, Cina, Francia, Russia, Stati Uniti – rappresentano un'era passata”.
Sul fronte opposto invece si collocano Corea del Sud, Pakistan, Argentina, Messico e Italia, insieme nell' “ uniting for consensus”, nato nel 1990. La loro è una proposta più soft: sì all'allargamento dei seggi, no a quelli permanenti.
Il premier italiano Matteo Renzi si è detto convinto “che il Consiglio di sicurezza vada reso più efficace e maggiormente rappresentativo”, ma ha dichiarato la sua contrarietà alla creazione di nuovi seggi permanenti, perché “comprometterebbe il raggiungimento dell’obiettivo”. Si tratta di una posizione che non è certo gradita alla Germania, principale candidato a entrare come membro permanente nel Consiglio di sicurezza.
I due paesi, Germania e Italia, si fanno la guerra dentro lo stesso continente, destando lo stupore di quanti in un contesto internazionale guardano all'Europa come al futuro interlocutore a cui rivolgersi.
L'Italia da anni propone una soluzione più “democratica”. Le nazioni dovrebbero guadagnarsi i seggi allo stesso modo in cui devono fare i politici con i loro elettori. Per questa ragione, l'idea non è di lottare per seggi permanenti, ma per quelli elettivi.
Ogni paese avrà l'opportunità di ottenere il seggio solo se scelto.