È guerra fredda tra il Ghana e la Costa d’Avorio. Il motivo è la gestione e lo sfruttamento di giacimenti di petrolio al largo della costa. A chi appartengono tali giacimenti? Non sembrano sufficienti posizioni, misurazioni e valutazioni. Il dubbio permane. Ormai da anni. E così può capitare che una disputa verbale si trasformi in un’azione ufficiale. Ad intentarla è stato il Ghana nei confronti del Paese confinante. La causa fa appello alle norme contenute nella Convenzione delle Nazioni Unite sulla Legge del Mare (UNCLOS), quadro regolatorio riguardante la conservazione, ma anche l’uso, dell’ambiente marino e delle sue risorse.
La decisione – secondo fonti del Governo ghanese – arriva dopo anni di tentativi di negoziato e di risoluzione della disputa senza ricorso a terze parti. Ma anche il Team costituito anni fa con esperti nominati dai due Paesi allo scopo di chiarire punti controversi sulle aree di pertinenza, non ha portato a risultati. Tra l’altro un paio di anni fa era stata la Costa d’Avorio ad aver presentato un’istanza all’ONU per chiedere la demarcazione dei confini.
Il ministro del Petrolio e dell’Energia della Costa d’Avorio, Adama Tourgara, ha più volte dichiarato: “I nostri Paesi risolveranno la questione pacificamente”. Mentre il ministro della Giustizia e Procuratore Generale del Ghana, Marietta Brew Appiah-Oppong ha accompagnato l’annuncio della causa intentata al Paese confinante con queste parole: “Non si tratta di un atto ostile. Non siamo ai ferri corti con la Costa d’Avorio, stiamo semplicemente usando mezzi diplomatici per affrontare la situazione”. Ma poi ha aggiunto: “speriamo di preservare la relazione cordiale che esiste tra noi e il nostro vicino”.
In realtà tra i due Paesi è da anni in corso, appunto, una sorta di guerra fredda. La situazione si è riscaldata all’indomani della scoperta, in territorio ghanese, di giacimenti nel bacino di Tano. Era il 2007, le estrazioni cominciarono nel 2010. A scoprire i giacimenti fu la Kosmos Energy, compagnia petrolifera americana con sede a Dallas. A sviluppare e lavorare al Jubilee Oil Field fu poi la Tullow Oil plc, multinazionale con quartier generale a Londra. Da allora la produzione per il Ghana è passata dai 7.000 barili al giorno nel 2009 ai 99.000 nel 2013 per entrate pari ad oltre 1 miliardo e 400 milioni, dal 2011 alla metà del 2013. La Costa d’Avorio è ferma a una produzione di quasi 38.000 barili al giorno. C’è da dire che la Tollow Oil plc sta estraendo ora anche al largo della Costa d’Avorio.
Il problema è che le autorità ivoriane rivendicano uno degli spazi sfruttati per l’estrazione – nell’area del Jubilee Oil Field – come parte integrante del proprio territorio marittimo. E la cosa, finora, non è stata chiarita. Nessuna risposta ufficiale, finora, dal governo ivoriano alla decisione presa dal Ghana, che ha ripetutamente reso note le presunte lamentele delle compagnie di estrazione operanti sui siti, secondo cui dalla Costa d’Avorio sarebbero spesso arrivate minacce di lasciare le aree. Ancora una volta è stato il procuratore generale del Ghana, Marietta Brew Appiah-Oppong a chiarire: “Considerando che i due Paesi non sono stati in grado di risolvere la disputa tra loro la cosa più amichevole da fare è chiedere l’intervento di un arbitro imparziale”. Naturalmente – ha aggiunto – le compagnie continueranno a lavorare, la controversia non limiterà né modificherà gli accordi presi. Ma altri avrebbero preferito continuare la strada della diplomazia e degli incontri mettendo sul piatto della bilancia il ruolo che potrebbero svolgere paesi come gli Stati Uniti o la Francia, quest’ultima vicina alla Costa d’Avorio per ragioni geopolitiche. Gli Usa, dal canto loro, rimangono uno dei principali importatori di petrolio e l’attenzione sull’area è costante.
Quanto sta accadendo tra il Ghana e la Costa d’Avorio ricorda da vicino la disputa riguardante la penisola di Bakassi, tra la Nigeria e il Camerun. Un conflitto tra gli Stati che fece storia (e provocò non pochi timori) e che fu risolto – dopo decenni, nel 2002 – con l’intervento della Corte Internazionale di Giustizia (che diede ragione al Camerun) e la firma del Greentree Agreement.
Nel frattempo, era cominciata ad emergere la coscienza civile contro lo sfruttamento dei territori da parte delle multinazionali petrolifere e la svendita di queste aree dai governi locali ed era stato giustiziato Ken Saro-Wiwa. Ma questa è un’altra storia. Né in Ghana, né in Costa d’Avorio si contesta il drenaggio del petrolio. La questione è, semplicemente, a chi è concesso guadagnarci.