“Sapere nella guerra cogliere l’occasione e pigliarla giova più che niuna altra cosa”. Non è mancato un omaggio alla sua Firenze, di cui non si stanca di ripetere d’esser stato sindaco, nel discorso di Matteo Renzi in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La citazione di Machiavelli è stata scelta per aiutare i presenti a scorgere una possibilità di guardare al futuro anche nel conflitto.
Il dialogo è l’unica via per evitare di degenerare in un clima di guerra fredda, sostiene, indicando il futuro come un faro da tener presente nella tempesta, come la guida delle nostre azioni, perché la Carta stessa promette l’impegno nel preservare le generazioni future dalle atrocità della guerra. “La nostra generazione è cresciuta sentendosi ripetere che la Storia era finita, che si viveva nel Secolo Breve. Non era vero. La storia non era finita”. Si riferisce al perpetuarsi dei conflitti che affliggono l’umanità come una piaga, alcuni vecchi, così longevi da apparire quasi irrisolvibili, altri nuovi come il caso particolare a cui la citazione è riferita ovvero quello tra Ucraina e Russia.
“La crisi in Ucraina ci ha posto di fronte a sfide inaspettate: la prospettiva di un nuovo conflitto nel cuore dell’Europa” ha sostenuto il premier, toccando uno dei punti nevralgici che anima la discussione internazionale da ormai parecchio tempo. Un colpo al cerchio e uno alla botte: da un lato “l’Ucraina ha il diritto di vedere riconosciuta l’unità del suo territorio di fronte a un’aggressione che ne ha violato l’integrità”; dall’altro, aleggia ancora la speranza che la Federazione Russa, con la quale l’Italia pure ha solidi legami commerciali “possa tornare a esercitare il suo ruolo di attore globale, contribuendo positivamente alla pace e alla sicurezza internazionali. La comunità internazionale ha bisogno della Russia”.
È abile Renzi, seppure si dice emozionatissimo per il suo primo ingresso nella sala dell’Assemblea. Non è compito semplice per l’Italia, destreggiarsi tra gli equilibri che un Paese geopoliticamente ed economicamente imbrigliato tra i due blocchi di potenze più influenti al mondo, qual è il nostro, deve riuscire a rispettare per non compromettersi e contemporaneamente affermare i principi in linea con la Carta delle Nazioni Unite. Così abile, da riuscire a toccare la scottante questione israelo-palestinese senza far danno a nessuno, anzi, con retorica biblica, citando Giorgio La Pira, sostiene di voler continuare a lavorare per costruire la pace di Abramo: “Non possiamo permetterci che questo conflitto continui a essere una ferita aperta per la comunità internazionale. Il cessate il fuoco di Gaza va consolidato e rispettato, le due Parti devono ora riprendere la via del negoziato verso la soluzione dei due stati, anche per consentire l’erogazione degli indispensabili aiuti umanitari alla popolazione palestinese”. Allo stesso tempo, però, “Israele non ha soltanto il diritto ma il dovere di esistere per i valori di memoria, di democrazia e tolleranza che la sua comunità rappresenta”.
Sulla questione ISIS, Renzi sembra avere pochi dubbi a schierarsi con Obama, sebbene non faccia cenno a soluzioni – né a prese di posizione nette – sulla questione siriana, rimettendo il tutto al lavoro di mediazione dell’inviato speciale ONU, Staffan De Mistura. D’altro canto è fermamente convinto, in linea col presidente americano, che quella intrapresa contro l’ISIS non possa e non debba definirsi una guerra di religione: “Quella dell’ISIS non è solo una minaccia terroristica in una regione del mondo, ma per l’intera comunità di uomini e di donne che voglia definirsi umana. Le religioni possono essere benzina per accendere o acqua per lenire le ferite, ma in questo caso la minaccia ISIS non è assolutamente riconducibile a un conflitto di religione. Di fronte allo sguardo smarrito di tante vittime del fanatismo non possiamo restare inerti”.
Avvantaggiato dalla scelta di comunicare nella propria lingua, il presidente del Consiglio italiano appare molto sicuro di sé anche nella rinnovata sala dell’Assemblea Generale, così come siamo abituati a vederlo a casa nostra. Una questione preme all’Italia più delle altre, quella libica, che apre a sua volta alle problematiche relative al Mediterraneo: “La priorità di quell'area oggi è la Libia, il nostro amico popolo libico che sta vivendo la sofferenza di una stagione di transizione che sembra non finire mai. Siamo impegnati perché si possa evitare la sottovalutazione di un focolaio nel cuore del Mediterraneo che potrebbe essere il punto di non ritorno nel crinale di violenza e instabilità di quella regione. […] Per questo sosteniamo con determinazione l’avvio di un processo di riconciliazione nazionale in Libia”. L’Italia per la sua posizione geografica è leader e allo stesso tempo vittima delle vicende che affliggono il Mediterraneo. Renzi non manca di ricordare che con l’operazione umanitaria Mare Nostrum, i volontari e i soldati della marina militare italiana sono stati in grado di fronteggiare l’emergenza immigrazione salvando 80.000 vite, “persone che un domani potranno diventare medici, musicisti, operai. Ottantamila persone che sono state strappate al Mediterraneo come cimitero”. Tuttavia è un’emergenza, questa, mai del tutto arginata che, anzi, con l'emergenza ebola che non accenna a rientrare, costituisce ancor più una minaccia globale.
Il presidente del Consiglio rimarca l’esigenza di portare il problema migratorio del Mediterraneo sotto gli occhi di tutto il mondo, richiamando i presenti alla responsabilità trasversale che comporta: “L’intervento nell’area del Mediterraneo è un intervento strategico per la comunità internazionale”.
Dopo aver messo sul tavolo diverse questioni di grande rilevanza, non da ultima la risoluzione sulla pena di morte avviata proprio dallo Stato italiano, il premier lancia un appello, che è insieme la chiave per la costruzione di un futuro migliore e la soluzione dei conflitti di tutto il mondo: l’educazione, come cultura della non violenza, della tolleranza opposta all’odio. “Non ci sarà pace non ci sarà rispetto se la comunità internazionale non metterà al centro un grande investimento educativo. Sulla scuola, sull’educazione, sulle università, sulla capacità di andare casa per casa, villaggio per villaggio, piazza per piazza, a dire che la più grande arma per affermare i valori di pace e libertà è l’arma dell’educazione, della cultura, del capitale umano, dell’investimento sulle persone, sulle storie, sulla libertà delle singole donne e dei singoli uomini”. Un’ultima citazione chiude il suo discorso, questa volta di Dag Hammarskjold, diplomatico svedese due volte segretario generale dell’ONU negli anni '50: “Non abbiamo la possibilità di scegliere la cornice del nostro destino, ma quello che possiamo inserire al suo interno è totalmente nostro. […] Possiamo ancora ispirare ideali di speranza, a patto di restare coerenti con la nostra storia e innamorati del nostro futuro”.