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September 19, 2014
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Al Consiglio di Sicurezza dell’ONU tutti contro l’ISIS, ma tra il dire e il fare…

Barbara GigantebyBarbara Gigante
Il Segretario di Stato John Kerry (a destra) con il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius venerdì al Consiglio di Sicurezza (Foto ONU/Eskinder Debebe)

Il Segretario di Stato John Kerry (a destra) con il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius venerdì al Consiglio di Sicurezza (Foto ONU/Eskinder Debebe)

Time: 4 mins read

L’ISIS (o ISIL, secondo la dicitura scelta dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU) con l’orrore di uccisioni atroci e ingiustificate sgomenta la comunità internazionale, riesce, allo stesso tempo, ad unirla. E sull'appellativo da attribuire a questa ferocia mette tutti d’accordo: terroristi! Non uno dei 40 membri stati dell'ONU presenti alla riunione speciale del Consiglio di Sicurezza – chiesta dagli Stati Uniti d’America e presieduta dal segretario di Stato americano, John Kerry – tenutasi venerdì al Palazzo di Vetro, sembrava avere un punto di vista differente. Data la storia di un Consiglio che, per l’incapacità di trovare soluzioni unanimi, è parso spesso più lo specchio dell’insicurezza mondiale che un organo di sicurezza, l’uniformità con la quale si è approcciato il problema, in prima battuta, non può che sorprendere, regalando miraggi di conformità. Per un attimo è sembrato che il regno dell’amore auspicato da Kurt Cobain o altre icone hippies potesse avverarsi, almeno nelle intenzioni, in quella grande sala rotondeggiante. Poco c’è voluto, purtroppo, prima che le difformità d’opinioni risalissero in superficie.

Il governo iracheno – e questo è fuori dubbio – ha chiesto aiuto alla comunità internazionale. Non solo gradisce, ma implora un intervento diretto contro gli stragisti dell’immaginario Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (o della Siria). Sotto forma di organizzazione terroristica e non certo di Stato dai confini geopolitici definiti, per quanto rivendichino che il loro impero unificato si estenderebbe dall’India al Sud della Spagna, questa organizzazione criminale continua ad affliggere la popolazione civile, non solo su territorio iracheno o siriano, ma su scala globale, come ampiamente dimostrato dalle esemplari esecuzioni capitali, riprese e messe in circolo sul web a tal fine. La situazione in Iraq è preoccupante: milioni di sfollati, civili perennemente sotto minaccia e aiuti umanitari che si esauriranno prima dell’inverno, come lo stesso ministro degli Esteri iracheno ha ribadito in assemblea. Servono più sussidi e di varia tipologia: occorre appoggio politico, rifornimenti umanitari e ora anche un intervento militare diretto per scongiurare la minaccia ISIS.

Per Kerry, che ha inaugurato la seduta, non ci sono dubbi: bisogna intervenire subito contro questa e altre atrocità, ad esempio quelle commesse in Siria dalla dittatura di Assad. Del resto, il presidente Barack Obama ha espresso chiaramente le sue intenzioni ben prima che il Consiglio potesse riunirsi.

È proprio Damasco l’argomento caldo, che riporta scompiglio tra i Paesi, pur determinati nella lotta al terrorismo. Se per gli USA come per la Francia, mentre si combatte l’ISIS non si può continuare a ignorare la politica repressiva della Siria, la Russia e l’Iran, al contrario, fanno presente che ignorare le volontà del governo siriano (il regime di Assad ha chiarito di non “gradire” l'idea di un intervento) costituirebbe una grave violazione del diritto internazionale. Ecco riaccendersi la miccia delle opposizioni e la sala che prometteva lotta unanime ai terroristi islamici riprende la forma di una scacchiera.

E l’Italia? La ministra Federica Mogherini, arrivata giovedì a New York per partecipare al Consiglio di Sicurezza e ai lavori dell'Assemblea Generale, non si sbilancia, da un lato appoggia l’interventismo americano, dall’altro sembra piuttosto prudente quando si tratta della prospettiva di ignorare la volontà della Russia, con la quale l’Italia intrattiene stretti legami commerciali. L’auspicio, come esplicitamente dichiarato sia in un breve incontro con i giornalisti la mattina di venerdì che poi in seduta, è quello di riuscire a coinvolgere il maggior numero di Paesi possibile, con un occhio speciale all’Iran. Quest’ultimo, infatti, giocando un ruolo da attore protagonista, potrebbe riuscire a coinvolgere Assad a far sua questa battaglia. Mohammad Javad Zarif, ministro degli Esteri iranianio, non dice no, ma non manca di porre l’accento sul fatto che per poter andare d’accordo bisogna smettere di armare i ribelli siriani, chiamati “i terroristi di ieri”, in contrapposizione a quelli di cui si discute oggi. L’Iran si pone così dalla parte diametralmente opposta alla Francia, che invece con il minsitro degli Esteri Laurent Fabius ha sottolineato come l’intervento antiterroristico debba coincidere con l’appoggio all’opposizione moderata siriana.

Un accento molto critico nei confronti della politica militare USA non poteva mancare nel discorso dell’iraniano, che ha espressamente dato la colpa della formazione di tali estremismi all’invasione americana in Iraq, all’epoca volta a rovesciare il regime di Saddam Hussein.

Dal canto loro, i Paesi islamici non vogliono che il loro nome possa essere accomunato a quello degli estremisti del terrore, pregando i presenti di dividere bene nella loro testa l’ideologia dell’ISIS dalla religione musulmana. Bisogna liberarsi del settarismo e aprire alla coesione, senza che questo implichi un’ombra negativa né per la maggioranza sunnita, né per la minoranza sciita, minoranza pur sempre sufficiente a riempire uno Stato come l’Iran.

Altra questione fondamentale: impedire che i possedimenti di petrolio di cui ISIS è riuscito ad appropriarsi possano diventare loro fonte di autosostentamento, come in realtà sta già accadendo. La lotta al mercato nero del petrolio deve divenire prioritaria rispetto a quella militare sul territorio, come richiesto dalla Russia. Non solo: per Kerry la battaglia è ideologica e su quel piano deve essere combattuta, arginando il reclutamento di nuovo capitale umano ovvero ostacolando quello che viene definito un vero e proprio “lavaggio del cervello in nome di Dio”.

L’ultima chiosa è appannaggio dell'eterna questione palestinese. Sempre l’Iran, che forse non a caso ha parlato quasi alla fine, ricorda ai presenti quanto sia ipocrita parlare di genocidio in Siria, senza mai neppure nominare quello che avviene in Palestina. Insomma, tutti d’accordo sul chiamarli terroristi, ma per quanto riguarda le risoluzioni operative sembrerebbe ci sia molto da aspettare e poco da aspettarsi da questo Consiglio. 

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Barbara Gigante

Barbara Gigante

Classe '86, giornalista freelance, attualmente insegnante di Storia e Filosofia presso la casa circondariale femminile di Rebibbia. Con un piede nel mondo della birra artigianale italiana e il sogno d'iniziare a prodursela da sé.

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