Dall’inizio dell’anno trentasei giornalisti sono stati uccisi nel mondo, di questi il 50% proveniva dal Medio Oriente, dall’Iraq, dalla Siria, da Gaza e dall’Asia. Dal 1992 sono 1074 i giornalisti morti sul posto di lavoro.
I dati, che raccontano la difficoltà di essere giornalisti in alcune aree del mondo, sono stati presentati dal CPJ (Commitee to Protect Journalists), durante l’incontro “Responding to Press Violations in the Middle East”, tenutosi mercoledì 10 settembre all'UNCA, Club dei Corrispondenti dal Palazzo di Vetro.
L’organizzazione, indipendente e senza scopo di lucro che si batte per la libertà e la protezione dei giornalisti, ha ricordato che il bilancio più alto di crimini contro l’informazione è quello della Siria. "Oltre 70 giornalisti sono stati uccisi nel corso del conflitto siriano, più di 80 sono stati rapiti e 20 sono ancora dispersi”, ha detto il Direttore esecutivo del CPJ, Joel Simon. “Il 25% è rappresentato da free-lance”, ha aggiunto.
I dodici giornalisti arrestati in Iran nel 2009 continuano a rimanere dietro le sbarre, dopo più di un anno dall’elezione del presidente Hassan Rouhani, che tuttavia “ha promesso di fare qualcosa, affinché i giornalisti siano liberati”, ha ricordato Sherif Mansour Coordinatore del MENA (Middle East and North Africa). Più scettico il Direttore di CPJ: "Sulle riforme dei media Rouhani ha fallito”.
Molte delle persone arrestate sono accusate di “reati previsti dal codice penale islamico e descritti in modo del tutto vago, come ‘diffusione di bugie’, ‘diffusione di propaganda contro il sistema’ o ‘procurare disagio nella mente dei cittadini’”. Così Amnesty International in un documento dello scorso 31 luglio con cui denunciava la situazione dei giornalisti in Iran.
Il CPJ ha esortato le Nazioni Unite e i rappresentanti degli Stati membri che parteciperanno all’Assemblea Generale a prendere misure nette contro la condizione dei reporter nella Repubblica Islamica dell’Iran.
Il giornalista iraniano e filmaker Maziar Bahari ha fatto un appello ai giornalisti. “Bisogna incalzare il Presidente iraniano Hassan Rouhani a dare risposte chiare sulla sorte dei dodici giornalisti in prigione”, – ha detto – “in occasione del suo arrivo all’Assemblea Generale dell’Onu la prossima settimana”.
Molti paesi del Medio Oriente sono finiti nella lista nera del CPJ. A febbraio l’Egitto è stato inserito nell’elenco delle regioni a rischio, a causa delle ultime 6 morti bianche. Attualmente l’Egitto è tra i primi 5 paesi che imprigionano i giornalisti. Al primo posto per numero di giornalisti in prigione, con circa 35 giornalisti ognuno, si collocano invece Cina e Iran.
L’Iraq, che è tradizionalmente il paese più pericoloso per i media, con oltre 166 morti, ha subito un’escalation di giornalisti ammazzati da quando è diventato teatro di scontri delle milizie dell’ISIS (Stato Islamico della Siria e dell’Iraq). Nell’ultimo anno sono morti oltre mille giornalisti che stavano raccontando la guerra tra le forze governative e i miliziani.
Nel 2014 di giornalismo si continua a morire. Per questo, il CPJ ha chiesto agli Stati membri dell’Onu di aderire alla Prima Giornata Internazionale contro i crimini sui giornalisti, introdotta con una risoluzione dell’Assemblea Generale dello scorso dicembre e che sarà celebrata il prossimo 2 novembre.