Una settimana fa la Casa Bianca ha comunicato, senza mezze parole, che i migranti provenienti dall'America centrale che cercano di attraversare i confini statunitensi "non saranno i benvenuti in questo Paese". Il giorno prima, su un aereo charter partito dal New Mexico e diretto a San Pedro Sula, in Honduras, 38 migranti honduregni erano stati rispediti a casa, come pacchi postali: tra questi c'erano 17 donne, 12 bambine e 9 bambini tra i 3 e i 15 anni.
Mercoledì, a Tegucigalpa, Consuelo Vidal, rappresentante delle Nazioni Unite in Honduras, ha letto un discorso del Segretario Generale Ban Ki-moon, che riafferma “il bisogno di promuovere e proteggere in modo efficace i diritti umani e le libertà fondamentali di ogni migrante, indipendentemente dalla loro situazione migratoria, specialmente per quanto riguarda le donne e i bambini”. Ban Ki Moon ha quindi invitato i governi dei paesi coinvolti, “a proteggere urgentemente i diritti umani dei migranti bambini, in primo luogo la loro vita e la loro integrità fisica, come previsto dalle leggi internazionali”.
Il rispetto delle leggi internazionali, però, si scontra con l’urgenza americana di tenere sotto controllo un flusso di immigrati minorenni che ha raggiunto livelli senza precedenti. Dallo scorso ottobre, infatti, sono stati fermati ben 57mila minori non accompagnati provenienti dal confine col Messico, il doppio dell’anno precedente. Più del 70% viene dall' America Centrale e la maggiorparte di loro (circa 37mila) sono stati catturati in Texas, nella Valle del Rio Grande. Nel suo discorso, Ban Ki-moon ha posto l’attenzione sull’importanza di comprendere le cause che si celano dietro tale fenomeno: “la povertà e la diseguaglianza sono problemi di lunga data nella regione e sono alla base di questi schemi migratori. In aggiunta, dobbiamo lottare contro il problema serio della sicurezza dei cittadini e del ruolo pericoloso che hanno i gruppi criminali della regione nel forzare innumerevoli giovani a fuggire in cerca di protezione internazionale”. L’Honduras è il Paese con il più alto tasso di omicidi al mondo (più di 90 ogni 100mila abitanti), devastato dal traffico di droga e dalle violenze quotidiane dei carteles della droga e delle baby gang.
Il portavoce di Barack Obama, Josh Earnest, ha specificato che il Presidente non ha approvato la deportazione dei 38 migranti honduregni di lunedì scorso. La decisione è stata imposta dalla Homeland Security Department, rendendo effettiva una linea politica voluta, però, dallo stesso presidente. Negli Stati Uniti ci sono circa 11 milioni di migranti senza documenti e, per risolvere un problema sempre più urgente, Obama qualche giorno fa ha chiesto al Congresso di stanziare 3,7 miliardi di dollari, per potenziare i controlli alle frontiere, migliorare le condizioni delle strutture CBP (“U.S. Customs and Border Protection”), dove i bambini vengono accolti momentaneamente, e accelerare le deportazioni dei clandestini. Secondo i Repubblicani, però, la richiesta è eccessiva e una cifra ragionevole non dovrebbe superare i 2 miliardi di dollari.
Mentre il Congresso si fa i conti in tasca la domanda che dovremmo porci è: cosa devono affrontare i bambini clandestini una volta arrestati? Per prima cosa si individua la loro nazionalità e si fornisce una prima assistenza sanitaria. I bambini messicani e canadesi vengono rinviati subito al di là dei confini; quelli da altri Paesi sono tenuti in custodia in CBP dove possono dormire e avere assistenza sanitaria. Questi centri sono al momento strapieni, per via dell’inaspettata ondata di bambini migranti. Dopo 72 ore i minori devono essere trasferiti dal CBP a un altro ricovero, dove hanno diritto di rimanere per altri 45 giorni. Nel frattempo i bambini sono stati inseriti nei programmi di deportazione. I Tribunali dell’Immigrazione, però, sono talmente oberate di lavoro che ci vogliono in media 578 giorni affinché ogni bambino possa avere udienza. In questo periodo i bambini vengono affidati a parenti che già vivono – regolarmente o no – negli Stati Uniti (ciò avviene del 90% dei casi), o affidati al sistema di affidamento temporaneo.
Alla luce di tutto ciò dovremmo anche chiederci: un iter lungo quasi due anni che spesso si traduce nel rimpatrio dei minori (con tutto ciò che ne consegue, dalle conseguenze psicologiche al fatto che, prima o poi, questi ragazzi cercheranno comunque di tornare negli Stati Uniti, affidandosi a chissà quali mani) è rispettoso della dignità e dei diritti umani? La risposta non è poi tanto difficile. “Dobbiamo aiutare questi Paesi a offrire un futuro migliore e più sicuro alle generazioni più giovani” ha dichiarato nel suo discorso Ban Ki-moon; si è dimenticato, però, di ricordare agli altri Stati, quelli più fortunati, di restare umani.