Ora che le strade delle città thailandesi sono svuotate dalle manifestazioni delle opposte fazioni di camicie rosse (simpatizzanti di Taksin, governo uscente) e gialle (anti-governativi, monarchici), il Consiglio nazionale per la pace e l’ordine (Ncpo), il governo espresso dalle Forze armate, guarda al nuovo assetto istituzionale. Il primo passo è la scrittura della nuova costituzione, impossibile da realizzare senza la conciliazione tra gli schieramenti politici che hanno gettato per sei mesi il paese tra tensioni e insicurezza, generando le condizioni per il colpo di stato. Lo scenario fa pensare a tempi più lunghi di quelli del precedente golpe del 2006, quando i militari restarono al potere per un anno, prima di indire le elezioni. Se non ci saranno incidenti di percorso, la costituzione potrebbe arrivare per luglio 2015, così da avere un governo civile eletto con pieni poteri per la fine del prossimo anno. Si parla di un’assemblea legislativa di 200 membri che sceglierà il primo ministro, il quale formerà il gabinetto.
A preoccuparsi per una situazione che può imputridire e generare nuove tensioni, con contraccolpi su economia e turismo, sono molti amici del regime thailandesi, compresi gli esponenti dei ceti militari rappresentati a Bangkok come addetti delle ambasciate estere. Questa settimana, in una riunione ufficiale hanno suggerito ai colleghi di Ncpo di inserire rappresentanti di organizzazioni internazionali nel Consiglio nazionale della riforma, che dovrà varare la carta costituzionale. Sarà importante che Ncpo, nella scelta dei 250 membri del Consiglio, mostri moderazione e senso di equità, inserendo esponenti dei diversi ceti e delle diverse regioni, al fine di consentire al paese di provare a superare le divisioni regionali e sociali degli ultimi anni cementando una nuova forma di unità nazionale. Il Consiglio inizierebbe ad operare a due mesi dall’emanazione dei 50 articoli della carta costituzionale provvisoria, attesa ormai a giorni. A scrivere materialmente la costituzione definitiva provvederà un Comitato ad hoc che raccoglierà i suggerimenti provenienti dal Consiglio della riforma. Con la blindatura della monarchia, è prevista anche una misura ad hoc di amnistia per gli autori del golpe militare, a scanso di equivoci e faide.
Le opposizioni attive all’estero si dicono non convinte da un processo che, pur avendo sinora evitato gli eccessi di altri colpi militari (la Thailandia ne ha vissuti 19 dal 1932, anno dell’instaurazione della monarchia costituzionale, di cui 12 andati a buon fine), risulta aver violato diritti umani. In realtà sono consapevoli che la nuova costituzione fisserà regole che dovranno impedire il ritorno al potere di partiti e politici che hanno come obiettivo la rimozione di monarchia e poteri tradizionali, come il Pheu Thai Party espressione degli ambienti politici intellettuali ed economici leali all’ex primo ministro Thaksin Shinawatra.
La Giunta, intanto, procede ad accrescere il peso dei militari nell’economia, occupando nuove posizioni di comando nel formidabile gruppo delle 56 grandi imprese pubbliche. Tra il 2003 e il 2013 i ricavi delle 56 sono passati da 1,8 a 5,85 bilioni di baht, e gli asset da 5 a 12 bilioni. E’ l’evidente segnale di un processo di ristrutturazione sociale economica e politica, che tende a consolidarsi e a non considerarsi passeggero. Prudenza viene, peraltro, mostrata nei ritocchi al bilancio della difesa, da molti analisti considerato già troppo alto per il paese: tra il 2004 e il 2014 si è passati da 78,5 miliardi di baht a 184,7, con aumenti di dotazione, in taluni anni, anche del 30%.