Non c’è tregua, tra Israele e Gaza, da quando, il 12 giugno, sono stati rapiti e assassinati tre ragazzini israeliani, Eyal, Gilad e Naftali, e da quando, per vendetta, il giovane palestinese Mohammed Abu Khdeir è stato bruciato vivo. Da allora, Hamas ha sparato su Israele 365 razzi (“uno ogni 10 minuti”, riporta l’ambasciatore israeliano Ron Prosor) e Israele ha risposto con più di 500 incursioni aeree su Gaza, che hanno provocato 88 morti e 339 feriti. Solo ieri 150 case sono state distrutte o seriamente danneggiate, con quasi 900 sfollati.
Per far fronte all’emergenza israelo-palestinese, oggi al Palazzo di Vetro è stato indetto un urgente Consiglio di sicurezza. L'incontro, durato tutta la giornata, si è concluso con un nulla di fatto: tutto ciò che l’israeliano Ron Prosor, e l’Osservatore permanente per la Palestina Riyad Mansour sono riusciti a portare a casa, è una dichiarazione nel quale il Segretario Generale Ban Ki-moon ha sottolineato l'importanza de “la sicurezza e il benessere di tutti i cittadini, indipendentemente da dove vivono”. Sono i civili, infatti, quelli che “stanno pagando il prezzo del proseguimento del conflitto. “Oggi affrontiamo il rischio di un’escalation totale in Israele e Gaza, con la minaccia sempre più concreta di un’offensiva via terra, prevenibile solo se Hamas smette di sparare razzi” ha aggiunto il Segretario Generale. “È ora più urgente di prima provare a trovare un terreno comune per il ritorno alla calma e per un accordo di cessate il fuoco […] L’uso eccessivo della forza e la messa in pericolo delle vite dei civili sono intollerabili. È inaccettabile che dei cittadini da entrambe le parti possano vivere permenentemente con la paura di un attacco aereo”.
Ban Ki-moon ha poi dichiarato di essere impegnato con i leader di altri paesi, tra cui il re dell’Arabia Saudita, l’emiro del Quatar, il presidente egiziano, i capi della Lega degli Stati Arabi e l’Organizzazione della Cooperazione Islamica, il Segretario di Stato degli Stati Uniti, l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea e altri leader regionali e mondiali. Il Segretario Generale ha, inoltre parlato con il primo ministro Netanyahu e col presidente Abbas, invitando “entrambe le parti a esercitare il massimo della compostezza, mostrare l’arte di governare e considerare i rischi di un’ulteriore escalation”.

Ron Prosor
Non è facile trovare la soluzione a un conflitto che, da 66 anni, presenta una spirale sempre più vorticosa di sopruso, resistenza, violenza e vendetta. E non sorprende che il punto di arrivo della giornata sia stato questo, considerando anche le posizioni irremovibili dei due ambasciatori. Israele, secondo Ron Prosor, ha lanciato l’operazione di autodifesa “Protective Edge”, “come reazione a questi attacchi, per difendere i nostri cittadini, e per assicurare loro una vita che non sia costantemente minacciata”. “Siamo determinati a dare a Israele la sicurezza e la difesa che merita”, ha aggiunto. “Chiederci di essere moderati mentre le nostre città sono sotto attacco costante è come chiedere ai vigili del fuoco di domare un inferno con dei secchielli d’acqua”. Il suo omologo Riyad Mansour, del resto, ha puntato il dito contro l’“illegale, disumana occupazione israeliana”, che è “ingiustificabile sotto tutti i punti di vista” e che “contravviene a tutti i principi della legge internazionale, della decenza umana e della coscienza morale. Si tratta di un’occupazione, […] di un’agenda di espansione razzista e aggressiva e di una mancanza di rispetto per la santità della vita e dei diritti del popolo palestinese”. E, quando Prosor sostiene che “Israele sta prendendo tutte le misure possibili per evitare il coinvolgimento di civili innocenti”, mentre “Hamas convince i civili a rimanere nelle loro abitazioni e fare da scudi umani”, Mansour gli risponde che, invece, è l’esercito israeliano a “bombardare consapevolmente e intenzionalmente aree densamente popolate”, aggiungendo di rifiutare l’appello all’autodifesa di Israele, che “nonostante i divieti delle leggi internazionali, effettua deliberatamente rappresaglie e punizioni collettive contro il popolo palestinese, con ritorsioni e vendette dichiarate e richiamate direttamente dallo stesso Primo Ministro, per l’uccisione dei tre coloni israeliani, che la leadership palestinese ha condannato chiaramente”.

Riyad H. Mansour
Se Prosor, nel suo discorso, ripropone il vecchio frame dello stato-padre che si prende cura dei suoi figli indifesi costi quel che costi, Mansour predilige quello delle vittime innocenti (ma poi nega questo status ai tre ragazzi israeliani uccisi, definendoli “coloni”). In entrambi i discorsi le parole “bambini”, “famiglia”, “casa”, sono piazzate a regola d’arte per sensibilizzare chi ascolta. La retorica, però, non serve a molto, soprattutto quando fa emergere la voglia di combattere (o resistere, o difendere) fino alla morte, piuttosto che l’impegno a risolvere le divergenze e a trovare una soluzione pacifica che permetta ad entrambi i popoli di convivere. L’unica certezza, in questo circo diplomatico che sembra quasi lontano dalla realtà, è che se Eyal, Gilad, Naftali e Mohammed, insieme a tutte le altre vittime di questo assurdo conflitto potessero ancora parlare, griderebbero “non nel nostro nome”.