La libertà di stampa è pienamente realizzata? Quanto sono sicuri i giornalisti, nell’esercizio della loro professione? Che ruolo hanno le donne nell’informazione? L’accesso a internet è libero? La risposta a tutte queste domande può sembrare scontata, in un mondo globalizzato in cui alle libertà garantite dalle Costituzioni di molti Paesi si sono aggiunti i miti del web e della rete libera. Eppure la situazione non è così rosea, considerando quanto emerge dal report dell'UNESCO World Trends in Freedom of Expression and Media Development, presentato alle Nazioni Unite alla presenza della direttrice Generale dell’UNESCO Irina Bokova, dell’ambasciatore svedese Mårten Grunditz e del Presidente della Columbia University Lee C. Bolliger. Lo studio, condotto da UNESCO, in collaborazione con un gruppo consultivo di 27 esperti internazionali della società civile e del mondo accademico e con il supporto del governo svedese, analizza i trend della libertà di stampa nel mondo dal 2007 utilizzando quattro diversi criteri: libertà, pluralismo, indipendenza e sicurezza dei giornalisti. Alla conferenza di presentazione all'ONU, moderata da Joel Simone, direttore del Committee to Protect Journalists, hanno partecipato anche Karin Karlekar di Freedom House, gruppo che ha elaborato una nuova mappa sulla libertà di stampa nel mondo, Veni Markovski, vicepresidente di Global Stakeholder Engagement, e Raza Rumi, scrittore e rifugiato politico pakistano.
L’incontro al Palazzo di Vetro si è concentrato, in particolar modo, sulla libertà di stampa e sul libero accesso all’informazione, considerati “corollari del più generale diritto alla libertà di espressione e di opinione”. È per questo che questioni come la sicurezza dei giornalisti, il modo in cui le donne trovano spazio nei media (sia come voci narranti che come soggetti rappresentati), ma anche la possibilità di accedere a internet e social network, interessano tutti i cittadini. Irina Bokova ha infatti ribadito “l’importanza della libertà di stampa per uno sviluppo sostenibile d tutte le nazioni”. Proprio all’UNESCO, nel novembre 2011, l’ONU ha affidato il mandato di garantire la libertà di stampa e la sicurezza dei giornalisti.
(Nel video sotto l'audio comincia a funzionare dopo un minuto)
Ci sono stati “movimenti tettonici nella tecnologia e nei modelli economici che stanno raggiungendo vari risultati per la libertà di espressione e lo sviluppo dei mezzi di comunicazione – ha proseguito Bokova – Oggi sempre più persone possono produrre, aggiornare e condividere informazioni […], una benedizione per la creatività, lo scambio e il dialogo”. Allo stesso tempo, però “stanno emergendo nuove minacce […] sotto forma di controlli non allineati con gli standard internazionali per la protezione della libertà di espressione e di pericoli contro i giornalisti”. Un dato allarmante, ad esempio, è che ogni sei giorni un giornalista muore mentre svolge il suo lavoro. Tra il 2007 e il 2013 sono morti 413 reporter; tra questi ci sono almeno 23 donne che hanno subito violenze sessuali. Secondo il report in molti casi “l’impunità, per questi reati, rimane la norma”.
Lee Bolliger ha comunque specificato che ci sono buone ragioni per essere ottimisti e che è importante esserlo: “per prima cosa ogni giorno sempre più giornalisti vogliono alzare la loro voce, anche a costo di mettere a rischio la propria vita; consideriamo poi gli sviluppi in campo tecnologico e il fatto che 5 anni fa il mondo della comunicazione così come lo concepiamo oggi era impossibile; infine, le persone desiderano sempre di più viaggiare, conoscere e aprirsi a nuove culture, e questo non può che avere un’influenza positiva sull’informazione”.
Alla fine del panel è apparso evidente che la risposta alle domande che ci siamo posti all’inizio di questo articolo è molto più complessa del previsto e, in alcuni casi, piuttosto inaspettata. Prendiamo l’Italia, ad esempio. Secondo il report di Freedom House, il nostro è uno dei pochi Paesi europei con una libertà di stampa “partly free” (insieme a Grecia, Romania, Bosnia Erzegovina, Serbia, Macedonia, Moldavia e Bulgaria), in un contesto in cui, invece, tale libertà è pienamente garantita. Il risultato differisce da quello di Reporters without borders, secondo il quale l’Italia, nel 2014, è passata dallo stato di “noticeable problems” a “satisfactory situation”. In realtà, proprio durante una conferenza tenutasi al Palazzo di Vetro, RWB ha dovuto smentire tale risultato, specificando che l’avanzamento italiano non è il risultato di un miglioramento delle condizioni nel nostro Paese, ma è emerso in seguito al peggioramento della situazione per i nostri vicini di casa.
A tal proposito abbiamo intervistato Karin Karlekar (vedi video qui sotto, in Inglese), project director di Freedom of the Press, che ha definito la situazione italiana “molto problematica”. Tra gli elementi che rendono l’Italia “partly free” ci sono non solo “le restrizioni legali sui media”, ma anche “i requisiti necessari per diventare giornalista, che sono in realtà molto restrittivi. Questo fa sì che l’Italia sia un caso isolato tra le democrazie, a causa delle sue regole”. Poche settimane fa Freedom House ha incontrato l’Ambasciata italiana, che “si è dimostrata interessata a parlare con noi della libertà di stampa in Italia”, ha dichiarato Karlekar. “Abbiamo intenzione di metterci in contatto col Governo italiano in modo da dare concrete raccomandazioni su questo particolare tema. È un argomento riguardo al quale siamo molto preoccupati e che cercheremo di seguire attentamente. Sembra che il nuovo Governo in Italia sia più aperto e interessato alla possibilità di riforme nel campo dell’informazione e c’è la possibilità di operare qualche cambiamento sulle regole esistenti”.