Soltanto noi, noi italiani, non ci siamo svegliati come si sono invece svegliati i francesi, gli inglesi, i tedeschi. Dalle elezioni europee conclusesi domenica è scaturito un voto di sfiducia verso l’Unione Europea che, sebbene non maggioritario, non può essere liquidato come sintomo populistico, come sterile sussulto di protesta. Da noi, no, il voto di sfiducia verso le iniquità della Ue, non è venuto. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha ottenuto un rotondo 40 percento. Si è preferito restare alla finestra invece di agire. Si è di nuovo dimostrato che non sappiamo quali siano i nostri veri interessi. Ci dimostriamo scontati, pedestri. Non sappiamo andare oltre la punta del nostro naso. Se ci viene chiesto di dar luogo a uno “strappo”, nella migliore delle ipotesi tentenniamo, chiediamo tempo. Nella migliore delle ipotesi ci voltiamo dall’altra parte, il dialogo s’interrompe.
Siamo fatti così. Cedemmo subito alle lusinghe della Ue oltre vent’anni fa: adesso il danno, assai esteso e profondo, si trova davanti agli occhi di tutti. Ma i mestieranti della politica verranno di nuovo a dirci che l’antieuropeismo è segno di “emotività”, di “pensiero irrazionale”, di “debolezza culturale” e, forse, ci accuseranno perfino di “provincialismo”. No. I provinciali, “da parrocchia” sono loro: abbracciano questo malsano, innaturale internazionalismo poiché altrimenti non si sentirebbero “emancipati”…
E’ ora assodato che una massa sterminata di francesi, inglesi, anche di tedeschi, non desidera aver più nulla a che fare con l’Unione Europea, con la freddezza, con l’astrusità, con la lapidarietà della Ue. In Francia e in Gran Bretagna si va riscoprendo l’amore verso la sovranità nazionale, e questo sembra accadere anche in Germania. Troppi assegni in bianco sono stati firmati a beneficio dei teocrati e tecnocrati di Bruxelles. Troppo credito è stato assicurato alla Ue. La Ue da anni e anni spadroneggia, fa il bello e il cattivo tempo.
I mestieranti della politica ricominceranno a metterci in guardia dagli “spasmi”, dai “rigurgiti” neofascisti… Torneranno anzi a ripetere che “ci vuole più Europa ancora”. Certo, “più Europa ancora”, finchè dell’Europa ben poco rimarrebbe. Ben poco rimarrebbe del Vecchio Continente che aveva smarrito la volontà di difendere se stesso. Che subiva gli eventi, che s’era messo a credere in dèi falsi e bugiardi. Eccoli, sì, i Signori di Bruxelles, dèi falsi e bugiardi.
Negli inglesi, nei francesi, nei tedeschi, molto è rimasto dell’antica fibra. Dell’antica fibra a noi è invece rimasto assai poco. Non siamo più protagoniti, come lo fummo fino agli anni Sessanta o Settanta: oggi non siamo che testimoni, testimoni distratti, apatici.
Certo che è duro, durissimo competere con la Cina, con l’India. In Cina e in India il costo del lavoro è bassissimo, lo è proprio perché in quei Paesi si pratica un servaggio da far drizzare i capelli. E uno dei “pilastri” di quelle due società è il lavoro minorile. Come fare, allora, per battere la sleale, cinica, sordida concorrenza cinese e indiana? Semplice: basta decidere che in Europa non entri più un solo ago cinese, che non entri più una sola maglietta indiana. Se la sbrighino poi da soli Pechino e Nuova Delhi, che con tanta baldanza, perfino con protervia scattarono una quindicina di anni fa all’assalto dei mercati esteri, e soprattutto di quello europeo e di quello africano. Baldanza e tracotanza, sissignori. E come sarebbe bello, un giorno, poter diffondere un bollettino simile a quello firmato nel novembre del 1918 dal Generale Armando Diaz…