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May 23, 2014
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Niente di nuovo sul fronte elettorale

Manlio GrazianobyManlio Graziano
Time: 3 mins read

In generale, è raro che le elezioni riservino delle sorprese. 

La ragione non risiede tanto nella qualità dei sondaggi, quanto nel fatto che le elezioni registrano le tendenze in atto piuttosto che determinarle.

Questo fine settimana e l’inizio della prossima saranno caratterizzati da una singolare quanto fortuita coincidenza di scadenze elettorali, in Europa, in Ucraina e in Egitto. Inevitabilmente, alcune saranno oscurate da altre; di sicuro, tutte saranno seguite da una scia di commenti, analisi, gioie e dolori. Nessuna, tuttavia, ci dirà nulla che non sapessimo già prima.

In Europa, da anni ormai si stanno allestendo i preparativi di una sorta di suicidio assistito del processo di integrazione continentale. A questo suicidio concorrono due fattori: uno – come si diceva una volta – soggettivo e l’altro oggettivo.

Fattore soggettivo: in quasi tutti i paesi, l’andazzo di chi sa di doversi un giorno presentare davanti agli elettori è di ascrivere a sé (o al proprio partito, al proprio governo, al proprio paese) gli eventuali e sempre più rari meriti, e di rigettare su Bruxelles (o sulla Germania, o sulla BCE) tutti i sempre più frequenti demeriti. La “pedagogia europea”, di cui si sente parlare da decenni con pomposo e vacuo pedantismo, è quotidianamente sopraffatta dal crudo istinto di sopravvivenza di un’armata di consumati cacciatori di voti.

Fattore oggettivo: negli ultimi anni è diventato palese che l’interesse strategico di medio e lungo termine dei singoli paesi europei ad unire le loro forze per continuare ad esistere sul piano internazionale cozza con l’interesse immediato dei loro cittadini, le cui condizioni peggiorano proprio per rendere possibile quella prospettiva. Spiegare a quei cittadini che, senza l’Europa, i loro paesi cadrebbero nell’insignificanza, e le loro condizioni si farebbero ancora peggiori è inutile, perché, nella vita reale, non si baratta quasi mai una certezza presente con un’ipotesi futura.

Sono questi due fattori all’origine della vittoria dei “populisti” alle elezioni europee di domenica prossima. La dicotomia tra il successo elettorale delle forze ostili all’Europa e l’obbligo imprescindibile di proseguire sulla strada della costruzione dell’Europa è solo uno tra i tanti paradossi che hanno fin qui caratterizzato quel processo, insieme alle sperimentazioni, agli azzardi e alle inedite trovate giuridiche e istituzionali. Un paradosso che, tra l’altro, si è già manifestato da un pezzo, e che sta portando alla ricomposizione del panorama politico continentale: da una parte, le forze che sostengono il progetto strategico (le famose “grandi coalizioni” in cui si ritrovano i nemici giurati di sempre), e dall’altra quelle che vi si oppongono (che sono già maggioranza relativa in alcuni paesi). 

A quel che sembra di vedere oggi, il suicidio assistito potrà essere evitato solo mettendo artificialmente in minoranza chi è elettoralmente in maggioranza. La “pedagogia europea”, che sbandiera la democrazia come fulcro del suo superiore sistema di valori, ne esce ulteriormente insterilita.

Benché il loro risultato sia prevedibile e previsto, le elezioni europee finiranno per oscurare quelle che avranno luogo in Ucraina lo stesso giorno e in Egitto due giorni dopo.

Anche in questi due casi non vi saranno sorprese. Dall’Ucraina, la sola sorpresa potrebbe venire da un’eventuale sospensione dello scrutinio, il che sembrerebbe escluso. Il suo esito sarà tutto sommato ininfluente sulla crisi in corso, dacché la Russia ha fatto capire che non vi si opporrà (pur continuando a denunciarlo pubblicamente). Il vincitore sarà, molto probabilmente, l’industriale del cioccolato Petro Poroshenko, proprietario anche di una rete televisiva dal nome evocativo di 5 Kanal, ma solo 1.153° nella lista dei miliardari stilata da Forbes nel 2012. A presiedere i destini dell’Ucraina, però, sarà ancora lo stato delle relazioni tra Mosca, Berlino e Washington, con buona pace, anche qui, degli elettori.

Ultime, in ordine di tempo e di importanza, le elezioni presidenziali in Egitto. Nel cui caso, il nome del vincitore è noto già da tempo: è il generale Abdel Fattah el-Sisi, autore del colpo di Stato del giugno 2013, in cui fu deposto il primo, ed ultimo, presidente eletto democraticamente in Egitto, l’islamista Mohamed Morsi. In questo caso, la procedura è stata più diretta e meno ipocrita: Sissi ha preventivamente messo fuorilegge metà dell’elettorato, e poi si è presentato alle elezioni.

Ovviamente, come in tutti gli eventi politici, i commenti, le interpretazioni e l’uso che sarà fatto di questi tre appuntamenti elettorali conteranno almeno quanto, se non di più, del risultato in sé. Le sole vere incognite stanno qui. Per quel che riguarda l’Europa, è probabile che i risultati di domenica saranno impugnati dagli euroreticenti per ottenere maggiori concessioni da Berlino. Se così fosse, e quale che sia l’esito di un tale tentativo, vorrebbe dire che i voti ai partiti euroscettici o eurofobici sarebbero usati per un dibattito interno al fronte europeista. 

Le elezioni europee, o la finalizzazione dell’eterogenesi dei fini. 

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Manlio Graziano

Manlio Graziano

Insegno geopolitica e geopolitica delle religioni alla Sorbona e all’American Graduate School in Paris. Ho scritto In Rome we Trust. Cattolici e vita politica americana (Il Mulino, 2016), Guerra santa e santa alleanza. Religioni e disordine internazionale nel XXI secolo (Il Mulino, 2015; ed. inglese Columbia University Press, 2016); The Failure of Italian Nationhood (Palgrave-MacMillan 2010, anche in francese e italiano); Identité catholique et identité italienne (L’Harmattan, Parigi, 2007); Il secolo cattolico. La strategia geopolitica della Chiesa (Laterza, Roma, 2010) e Essential Geopolitics: A Handbook (eBook Amazon, 2011). Collaboro con Limes, rivista italiana di geopolitica.

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