Non ci convince. Non ci convince per nulla l’ostilità nei confronti della Russia da parte degli Stati Uniti, dell’Unione Europea, di altri Paesi e organismi ancora, riguardo alla Crisi di Crimea, altro luogo di frontiera, e si sa che in posti come questi la vita sempre facile non è. Contrade come queste suscitano grossi appetiti in nazioni limitrofe, grandi o meno grandi che esse siano. Arriva poi il “crogiuolo” di razze, etnie, e questo è fatale: nella fattispecie, la Crimea non è certo il Massiccio Centrale, non è la Barbagia…
Le cose, insomma, appaiono complicate. Siamo realisti: se si vuole andare avanti, se si vuole migliorare le proprie condizioni materiali, acquisire quindi un certo tenore di vita, far funzionare scuole, ospedali, asili; aprire altre scuole e altri ospedali; incrementare il commercio, valorizzare l’agricoltura, non è pensabile che si debba “dar retta” a tutti, non è pensabile che ogni gruppo, associazione, movimento, centro d’interessi piccoli o grossi, debba avere voce in capitolo. Non è questo il modo di creare armonia, non è questo il modo di tutelare i diritti, le aspirazioni dei cittadini. In nome dell’unità, in nome della “pluralità”, si provoca l’esatto contrario: si provocano lo sfaldamento, lo sgretolamento, finchè ci si ritrova prigionieri di un imbuto da cui non si sa come uscire e intanto gli animi si eccitano ancor di più, l’infezione si estende fino a cronicizzarsi. Ci si espone in nome della libertà, ma è proprio la libertà che è negata nell’emergenza continua, nella crisi continua, negli spasmi che sembrano destinati a non aver fine. Si crea perfino una figura equivoca, anzi, sinistra: quella del destabilizzatore di professione… I grandi obiettivi vengono perciò mancati; si perdono occasioni preziose.
Fare accademia può essere piacevolissimo, riscalda e illumina la giornata; idee brillanti fioriscono nell’accademia, lo scintillìo dialettico non ha eguali. È una “messe” che lascerebbe incantati anche Pericle, Cicerone, Seneca… Ma poi è con la vita di tutti i giorni che si deve fare i conti; è con le giuste rivendicazioni di cittadini che si deve fare i conti. Si deve tener presente quanto costa un chilo di carne, quanto costa il riscaldamento condominiale; quanto costa in generale il petrolio.
Il sistema ucraino, almeno a nostro avviso, ha dimostrato in questi ultimi cinque o dieci anni il proprio fallimento: l’Ucraina è ingovernabile. L’Ucraina che si è lasciata sedurre dalla sirena occidentale, ha dato prova di ben poco spessore culturale; ha dato prova di cadere facilmente preda di suggestioni le più infantili. Non poteva così tardare il momento in cui la maggioranza delle genti di Crimea avrebbe voluto dire “basta”, basta con l’Ucraina che tutto promette e poi nulla mantiene.
Care lettrici, cari lettori, la maggioranza della popolazione della penisola bagnata dal Mar Nero e dal Mar d’Azov, è russa, russa con forti presenze tatare e con una minoranza, comunque non esigua, di ucraini. Questa gente il marzo scorso ha votato per il ritorno fra le braccia della Gran Madre Russia. Dalla quale fu accolta una prima volta nel 1783. Sebastopoli è russa, come russe (e anche tatare) sono Simferopoli e Kerch.
Ma l’Occidente aveva comunque deciso di condannare Vladimir Putin; a priori… Detto terra terra, visto che a Kiev non è poi tanto certo chi comandi, visto che a Kiev gli interlocutori sono numerosissimi, è infinitamente più comodo prendersela con uno solo: Putin “il terribile”, “il pericolo”, l’”uomo forte”. Qui il gioco è davvero agevole: basta far fuoco su di lui, invocare il rispetto della democrazia. Bene supremo, irrinunciabile, la Democrazia. Ma ci vogliamo una volta per tutte mettere in testa che la Democrazia è un concetto, una magnifica astrazione estranei però al popolo russo, al popolo ucraino, ad altri popoli ancora dell’Est europeo…? Estranei per formazione, quindi per tradizione. E’ sempre stato così. Probabilmente, sempre lo sarà.
Ci vuole una duttilità straordinaria per afferrare, assimilare, far trionfare i principi della Democrazia. Ci vogliono la duttilità inglese, americana, scandinava. I russi non sono inglesi, americani, svedesi… La loro psiche è lontana dalla psiche d’un Alec Bentley, d’un Gunnar Simonsen. Se non si parte da questo presupposto, i rapporti con la Russia risulteranno sempre aspri, impervi. E’ poi controproducente chiedere in continuazione a Putin di agire in stile democratico, di ricorrere a metodi democratici: il novello zar accusa irritazione, stizza: non gli va di subire “lectures”! E ha ragione.
Per lui contano, soprattutto, i diritti del popolo russo. E’ lui l’uomo che poco più d’una dozzina d’anni fa ripescò la Russia dalla voragine nella quale la Russia era stata scaraventata da Boris Eltsin.