Nei primi tre mesi di quest’anno le Filippine hanno visto il loro PIL crescere al 7,8%, catapultandole al primo posto tra le economie asiatiche in rapida ascesa e sorpassando d’un soffio addirittura la Cina, con il suo 7,7%. Nonostante ciò, il tasso di disoccupazione del paese è aumentato ancora, sebbene di poco, a luglio scorso, passando in un anno dal 7 al 7,3%, mentre 26% dei filippini continuano a vivere al di sotto della soglia di povertà.
Se da un lato infatti il PIL aumenta, dall’altro la popolazione non cessa di crescere – le ultime stime parlano di 96,8 milioni di filippini – portando ogni anno sul mercato del lavoro circa 1 milione di candidati in più, una quantità che non sembra poter essere assorbita dai settori trainanti della crescita che, secondo il segretario alla pianificazione socio-economica Arsenio Balisacan, non richiederebbero l’impiego di una vasta manodopera e non sarebbero quindi creatori di posti di lavoro.
Da qui la sfida in vista per le Filippine: attenuare la tensione tra crescita economica e demografica e distribuire meglio il loro potenziale di sviluppo, in modo da farne raccogliere i frutti anche alle fascie meno abbienti della società. Questa la situazione fino all’estate 2013: un insieme di speranze e tanto lavoro ancora da fare.
Poi è arrivato il tifone Haiyan, o Yolanda come lo chiamano nelle Filippine, che stando alle cifre delle autorità nazionali ha causato 3 976 morti, 18 175 feriti, 1 590 dispersi e milioni di sfollati, principalmente nella sola giornata dell’8 novembre.
Una volta fatto il triste conto dei morti e degli scomparsi, viene da domandarsi quale sarà il costo economico da sopportare per i sopravvissuti e soprattutto per quel 26% al di sotto della soglia di povertà.
Secondo AlJazeera, il tifone avrebbe causato una perdita economica globale di 11 miliardi di euro e le attività di ricostruzione richiederanno circa 317 milioni di euro. Tuttavia, stando ad alcuni economisti, il PIL delle Filippine non risentirà della tragedia, se non temporaneamente. Ciò sarebbe dovuto in parte ai flussi di denaro provenienti dai filippini che vivono e lavorano all’estero rimandando parte dei loro introiti alle famiglie in patria e in parte al fatto che la regione colpita è prevalentemente agricola e non contribuisce in modo determinante all’economia nazionale.
Ma non di solo PIL vive l’uomo – specialmente quello che si trova ai gradini più bassi della scala sociale. Il segretario Balisacan ha già sottolineato il rischio di aumento della “povertà transitoria”, ovvero di coloro che vengono spinti sotto la soglia della povertà a causa di un evento improvviso, spesso una calamità naturale.
Questo non è il primo disastro naturale nelle Filippine e ad ogni buon conto non sarà l’ultimo. Composte da una miriade di più di 7.000 isole situate come una barriera incerta di fronte alle correnti e ai venti dell’oceano Pacifico, le Filippine vengono colpite in media da otto o nove tempeste tropicali all’anno.
Si lasci tuttavia poco spazio al fatalismo, perché la crescita in intensità e frequenza degli eventi climatici estremi nel mondo è sempre più riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale come un prodotto del cambiamento climatico, ovvero del riscaldamento dell’atmosfera causato dai gas serra prodotti in buona parte dall’uomo. Le vittime principali sono spesso quei paesi che associano una sfortunata posizione geografica con forti livelli di povertà e una scarsità di risorse nel fronteggiare le calamità naturali. E non è detto poi che si tratti degli stessi paesi principali responsabili del cambiamento climatico. Le emissioni di carbonio delle Filippine, ad esempio, sono insignificanti se comparate a quelle di altre nazioni asiatiche.
“Noi possiamo porre riparo a tutto ciò, possiamo fermare questa pazzia,” ha detto Naderev Sano, rappresentante delle Filippine, in un commovente discorso (vedi video in basso) alla Conferenza dell’ONU sul cambiamento climatico in corso in questi giorni a Varsavia.
Al di là dell’uso, più o meno sapiente, che le Filippine sapranno fare dell’attenzione dei media e degli aiuti internazionali per avvantaggiare una ripresa economica, si spera più egualitaria, dopo questa calamità, è a Varsavia che si gioca la vera partita per evitare tragedie future e non solo per le Filippine: un accordo internazionale contro il cambiamento climatico. Il tifone Haiyan, ennesima campanella d’allarme auto-invitatasi nei discorsi di Varsavia, tristemente, non poteva arrivare con un tempismo migliore.