Questa è la trascrizione della corrispondenza dal Palazzo di Vetro dell'ONU per Radio Radicale
Significativo intervento da parte della ministra italiana dell’integrazione Cécile Kyenge alla conferenza sulla Responsabilità di Proteggere che si è tenuta al Palazzo di Vetro mercoledì. Diciamo subito che la maggior parte degli interventi, oltre 60 paesi hanno preso la parola, si concentrava sulla responsabilità che gli Stati hanno di proteggere i loro civili dal genocidio, dai crimini di guerra, dalle pulizie etniche. Quindi proprio la Siria veniva messa sul banco degli imputati, come per esempio è stato durante l’intervento dell’ambasciatrice degli Stati Uniti Samantha Power. Ma il discorso della ministra italiana Cécile Kyenge ha avuto toni e scopi diversi.
Kyenge ha concentrato il suo intervento su altri “fattori di rischio” elencati nel rapporto del Segretario Generale sulla “Responsabilità di proteggere”, inerenti cioè alle realtà sociali delle società e che se ignorati possono portare anche a delle atrocità di massa. Come anche tutte quelle forme di discriminazione che possono portare a crimini contro l’umanità.

La ministra italiana Cécile Kyenge durante il suo intervento di mercoledì 11 settembre al Palazzo di Vetro (UN Photo/Paulo Filgueiras)
“L'Italia – ha detto Kyenge – crede profondamente alla necessità di un approccio di allerta riguardo ai fattori di rischio ed è perciò attiva sostenitrice degli sforzi che si stanno compiendo in seno alle Nazioni Unite per dotarsi di adeguati strumenti di monitoraggio in tale direzione”.
La ministra ha sottolineato l'importanza di un “cambiamento di mentalità” da parte dei governanti e delle istituzioni, ma anche della società civile, “per dare nuova linfa, nuova anima, nuove e più profonde motivazioni a questa vera e propria battaglia in difesa dell'umanità”.
“Il modo più autentico per amare e servire il proprio paese, secondo la mia opinione” ha detto Kyenge nel suo discorso, “è quello di conoscerne gli errori da correggere in modo da poter far diventare il proprio paese più bello, più prospero, giusto e pacifico. E questo, secondo la mia opinione, è la definizione della responsabilità” . E poi citando sempre il Segretario Generale nel suo rapporto, la ministra Kyenge ha detto che “la responsabilità dei governi si conquista quando si raggiunge la fiducia e leggittimazione dei propri cittadini… E dico questo perchè molti pensano che i crimini atroci siano soltanto quelli che accadono durante le guerre, o sotto le dittature, o in circostanze estreme. In realtà e sfortunatamente, le atrocità e atti intollerabili accadono anche in tempi di pace e in stati democratici”.
Per la ministra italiana Kyenge, le due principali cause di fattori di rischio che possono portare a far commettere atrocità anche in paesi democratici sono due: la vulnerabilità sociale e contesti di segregazione e invisibilità.
Ad un certo punto del suo discorso, Kyenge ha ricordato di aver “vissuto sulla mia pelle l'esperienza della migrazione e le battaglie per i diritti umani e contro il razzismo”.
Gli "Atrocity Crimes" sono quindi possibili anche in Europa, e anche l'Italia non deve abbassare la guardia: “Non accontentiamoci dell'immagine rassicurante e gratificante di un Europa terra di diritti e di Nobel per la pace” ha detto Kyenge.
Nei paesi democratici come quelli europei questi “crimini atroci” generalmente colpiscono i più deboli e avvengono nei luoghi dell'invisibilità: “Soffrendo un deficit di diritti – ha detto al Kyenge – i migranti diventano vittime di gravi violazioni, ma il pericolo non si limita a loro, si scatena una
guerra tra poveri, una competizione al ribasso sul mercato del lavoro e dei diritti sociali che porta a situazioni di schiavitù e reclutamento da parte di gruppi criminali”.
Due dunque gli obiettivi: cancellare la diseguaglianza implementando i diritti di cittadinanza, ma anche integrare in modo che “i muri visibili e invisibili che creano la marginalità siano abbattuti superando al logica del ghetto e portando più controlli, più legalità negli spazi dove sono gli invisibili”.
Quindi la ministra Kyenge ha sostenuto la necessità che la società civile e le istituzioni difendano il “diritto alla differenza”: “Non solo il diritto a vivere in una società plurale, ma ad essere individui plurali… Le società, come gli individui, hanno diritto ad essere complessi e differenti al loro interno. Quando si esclude una componente sociale, si sta escludendo una parte di noi perchè dentro ognuno di noi c'è uno straniero, una donna, un bambino, un anziano, un disabile. Riscopriamo il valore di questa diversità”.

Cécile Kyenge con il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon (UN Photo/Eskinder Debebe)
Dopo il suo intervento, Cécile Kyenge ha avuto un colloquio con il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. Nel corso del colloquio la ministra ha illustrato al Segretario Generale le linee del suo lavoro, con particolare riferimento alle politiche attive per i giovani: un obiettivo strettamente collegato a quello dell'integrazione in quanto, ha sottolineato la ministra Kyenge, “sono i giovani i primi protagonisti di questa nuova convivenza in Italia”.
In merito alle politiche per i migranti, l'obiettivo è quello di realizzare delle azioni positive di accoglienza che rispettino le persone, e che siano in grado di divenire fattore strategico e di ricchezza per il Paese.
La Kyenge ha poi rimarcato al Segretario Generale dell’Onu l’importanza del lavoro trasversale con gli altri ministeri italiani e di un’azione congiunta dei paesi europei nell'affrontare l'emergenza dei flussi migratori provenienti dai paesi del Nord Africa.
Il Segretario Generale Ban Ki Moon ha sottolineato il forte valore simbolico della nomina di un ministro di origine africana a guida di un nodo così centrale nelle società contemporanee come quello dell'integrazione e della migrazione. Un messaggio molto importante non solo per l'Italia.
Ban Ki-moon, riconoscendo la grande sfida che rappresenta per l’Italia il tema della gestione dei flussi migratori, ha proseguito sottolineando la fondamentale necessità di accesso dei migranti, in particolare dei giovani, al mercato del lavoro come risposta alla crisi economica, ma nel rispetto della tutela dei loro diritti.