L’America, prigioniera di una promessa. Quella maledetta frase sulla “linea rossa” non valicabile pronunciata da Barack Obama. Certo, il mondo ha il dovere di reagire alla vergogna siriana. E l’America ha il diritto di difendere la credibilità interna e internazionale del suo leader. Ma non quello di complicare ancor più il caos mediorientale. L’uso di armi chimiche nella sanguinaria repressione dell’opposizione siriana da parte del regime di Bashar Assad è la molla pronta a far scattare l’intervento americano. In forme e modi da definire. Con chi ci sta. Una nuova coalizione di volenterosi. Una formula infelice, che ricorda il disastro iracheno. Un’avventura militare che “toppò” strategia politica, demolendo uomini e istituzioni dello Stato bathista iracheno che sarebbero stati necessari per la ricostruzione del paese nell’era post-Saddam.
C’è poi chi pensa ai raids aerei autorizzati da Ronald Reagan per uccidere Gheddafi nel 1986. Quel Gheddafi che poi restò al potere per ancora vent’anni, continuando ad armare jihadisti in tutto il Medio Oriente ed a facilitarne l’opera terrorista.
Altro che Kosovo poi. Non c’è nulla di quella esperienza di orgoglio della Comunità Internazionale nel caos siriano. Un caos già regionale dove lo scontro non è solo tra sunniti e sciiti, ma tra stessi sunniti, in una rete confusa di fazioni jihadiste e radicali.
La complessità siriana è la complessità di una regione, dove gli interessi russi e quelli iraniani sono noti a tutti. E, soprattuto da parte iraniana, si possono sospettare reazioni dalla portata imprevidibile. Ovviamente contro Israele.
C’è tutta una storia di interventi militari occidentali in Medio Oriente che hanno prodotto effetti opposti rispetto a quelli sperati. Interventi poco ragionati. Istintivi. Spesso dettati della presunta comprensione perfetta del Medioriente che il mondo occidentale e l’establishment americano in particolare, democratico o repubblicano che sia, pensano di avere. Noi ci fidiamo del nostro ministro degli Esteri Emma Bonino. Che di Medio Oriente sembra saperne forse più delle molte dozzine di esperti al servizio dell’Amministrazione Obama.
La nuova retorica d’origine neo-con sull’inutilità dell’ONU ha stancato. Volenti e nolenti, è nel palazzo di vetro che si possono trovare le chiavi per una gestione del conflitto in Siria. Invece che un’escalation militare sarebbe bene cercarne una diplomatica. Spiegandone pubblicamente la diversità rispetto a questi due anni inconcludenti di mediazioni, che han visto fallire prima Kofi Annan e poi l’inviato congiunto di ONU e Lega Araba, Lakdar Brahimi. Sarebbe opportuno lanciare una nuova offensiva anzitutto mediatica sui responsabili del caos siriano. Cercando magari di evitare i conati diplomatici da vecchia potenza della Gran Bretagna di Cameroon. Che ha umiliato per l’ennessima volta l’Unione Europea – che tristezza – abbozzando un testo di risoluzione sulla Siria senza consultare i partners continentali.
Si dia dunque tempo agli ispettori di verificare chi e come abbia usato le armi chimiche in Siria. Si continui a parlare con tutti i protagonisti del dramma siriano. Si lavori ancora alla formazione di un governo allargato ai membri dell’eterogenea opposizione siriana. Si presenti, assieme alla Lega Araba, una risoluzione forte, con i denti, che affidi innanzi tutto alla Corte Penale Internazionale il mandato di indagare sui crimini commessi dalle forze governative e d’opposizione nel Paese.
L’uso della forza richiede oggi – nel 2013 – il consenso più vasto possibile. Non basta una promessa per far capire ed accettare al mondo una risposta unilaterale. C’è un consenso internazionale tutto da costruire. Che non potrà mai ragiungere i livelli emotivi e politici post-11 settembre al momento dell’intervento americano in Afghanistan. Ma che a quei livelli deve avvicinarsi. Per trovare una leggitimità che oggi non ha. E per garantirsi il successo. Passando eventualmente, con pazienza, attraverso l’esaurimento di tutti gli strumenti a disposizione per una soluzione politica e diplomatica. Centrata anzitutto sulla difesa dei diritti umani in Siria, la protezione della popolazione civile e l’intervento della Corte Penale internazionale.