Tascrizione della corrispondenza di Stefano Vaccara dal Palazzo di Vetro dell'ONU per Radio Radicale
La linea rossa tracciata da Obama è stata definitivamente oltrepassata in Siria, almeno questo sembrebbe ormai accertato. Manca però ancora la risposta certa alla fondamentale domanda: ma chi ha violato quella linea rossa?
Le prove su chi abbia commesso l’attacco chimico ormai dato per certo in Siria, in tre quartieri di Damasco, nelle prime ore di mercoledì e che, secondo alcune fonti, avrebbe ucciso oltre mille civili, tra cui donne e bambini, sono infatti ancora tutte da trovare. E pur essendo dentro la Siria già gli ispettori dell’ONU che dovevano indagare sugli attacchi con armi non convenzionali avvenuti ormai l’anno scorso, questi non possono ancora avvicinarsi ai quartieri dove l’ultimo attacco sarebbe avvenuto. Questo nonostante il Segretario Generale Ban Ki-moon, rafforzato da una lettera scritta da Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti e già firmata da oltre 35 paesi membri dell’ONU, abbia subito chiesto al governo di Damasco di consentire agli ispettori Onu di poter espandere il loro mandato per poter aver accesso ai luoghi dove sarebbe avvenuto quest’ultimo “attacco scioccante”, riprendendo le stesse parole usate da Ban Ki-moon.
Ma questa indagine, a parere di molti diplomatici, è difficile che accada nei tempi immediati auspicati da Ban. E non solo per le solite difficoltà poste dal regime di Assad, ma perché non c’è galcuna assicurazione, da parte delle variegate forze ribelli, del rispetto di un cessate il fuoco che possa consentire agli ispettori Onu di poter lavorare in sicurezza.
L’attacco chimico resta ancora presunto perché non e’ ancora chiaro che tipo di agente chimico o gas sia stato usato per uccidere centinaia di civili, molti nel sonno. Dalle immagini mostrate sia in foto che in video, molti esperti dicono che non si tratterebbe del sarin dato che le vittime non ne mostrerebbero gli effetti devastanti e soprattutto i soccorittori non sembrano prendere le precauzioni necessarie mentre prestano cure alle vittime di questo agente chimico.
Il Consiglio di Sicurezza lo stesso giorno dell’attacco, mercoledì, si era riunito in seduta straordinaria. Ma ancora una volta, quando si tratta della Siria, la montagna dell’Onu ha partorito un topolino diplomatico: infatti il Consiglio di Sicurezza non è riuscito a mettersi d’accordo per firmare alcun documento oltre il semplice “remarks to the press”, che sarebbe un semplice e scarno resoconto della riunione letto ai giornalisti dalla presidente di turno del Consiglio, l’ambasciatrice Argentina Maria Cristina Perceval (sopra nel video), che ha letto il comunicato in cui il Consiglio dichiarava il suo “strong concern” la sua forte proeccupazione e nel voler che si proceda con le indagini su cosa sia veramente accaduto auspicava che si trovi un accordo per cessare i combattimenti. L’ambasciatrice argentina Percival, che di solito è sempre molto ben disposta a rispondere alle domande, quando ha finito di leggere lo scarno “resoconto” della riunione, è fuggita via, non rispondendo ad alcuna domanda, un fatto molto inusuale.
Anche il vicesegretario dell’ONU, Jen Alliasson, che ha riferito mercoledì a Consiglio al posto di Ban Ki-moon che si trovava all’estero, si è presentato davanti ai giornalisti per leggere una dichiarazione senza poi rispondere alle domande.
Una riunione del Consiglio di Sicurezza, che tranne per la presidenza argentina, aveva seduti attorno al tavolo solo i vice ambasciatori compresi quelli di Russia, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, ha mostrato ancora una volta la paralisi del CdS riguardo alla Siria. Ma da mercoledì, mentre scorrevano su internet e in tv le immagini delle vittime per un attacco con armi non convenzionali, questa paralisi è apparsa ancora più vergognosa, e i diplomatici occidentali, a differenza dei passati scontri al Consiglio di Sicurezza, questa volta non hanno avuto nemmeno il coraggio di avvicinarsi ai micorofoni davanti alle telecamere dell’Onu per riferire sulla riunione. Ad un certo punto il vice ambasciatore britannico Philip Parham, e non davanti alla telecamera Onu che ne poteva registrare ufficialmente il commento, parlando a nome anche della Francia e degli Stati Uniti, ha detto ai giornalisti poche frasi di circostanza in cui in sostanza ribadiva la necessità di aprire subito un’indagine sugli eventi. Quando gli abbiamo chiesto perchè il Consiglio di Sicurezza non fosse riuscito a mettersi d’accordo su un documento ufficiale, il diplomatico britannico ha detto che lo aveva fatto, riferendensosi al semplice “remarks to the press” letto prima dalla presidente Argentina, ma che non ha nulla di ufficiale né di vincolante e semmai lanciava al mondo l’ennesima immagine di impotenza dell’organo dell’Onu che dovrebbe invece assicurarne la sicurezza.
A questo punto tutti gli occhi sono puntati sulla Casa Bianca, perché fu proprio il Presidente Barack Obama a lanciare l’anno scorso quella minaccia sulla linea rossa per la Siria, cioè sul divieto dell’uso da parte del regime di armi chimiche altrimenti ci sarebbe stato un intervento militare americano. Soltanto che fin dalle prime ore di mercoledì, il regime di Damasco ha smentito ogni uso di armi proibite, e la Russia, protettrice del regime di Assad, ha dichiarato subito attraverso i suoi canali diplomatici che il governo siriano non c’entrava nulla con l’attacco ma che questo probabilmente era stato un trucco utilizzato dai ribelli per favorire un intervento in Siria. Dall’eccessiva prudenza mostrata questa volta dai diplomatici occidentali all’Onu, di solito prontissimi ad andare ai microfoni per mostrare la loro “indignazione” contro l’ostruzionismo russo all’interno del Consiglio di Sicurezza, si capiva che certi dubbi su chi veramente avesse perpretato quell’attacco apparivano legittimi.
Tra i giornalisti accreditati all’Onu, facendo un mini sondaggio, il 90% non credeva infatti che fosse stato il regime di Assad ad usare quelle armi. Questo perché in questo momento non gli avrebbe giovato affatto, con addirittura gli ispettori Onu a Damasco e comunque non essendo adesso in pericolo di perdere posizioni importanti sul fronte militare.
Possibile che i ribelli possano commettere un atto criminale del genere contro la propria gente? Qualche giornalista ha speculato su una “terza forza”, che ha tutto da guadagnare dal caos siriano, e che potrebbe essere dietro l’attacco. E quella forza si chiama Al Qaeda e quel fondamentalismo islamista che continua a condizionare la guerra civile in Siria.
Il Segretario Generale Ban Ki-moon, giovedì ha rafforzato il suo appello affinchè indagini possano essere condotte immediatamente sul territorio per capire chi sono i responsabili contro quello che ha chiamato “un crimine contro l’umanità”. Gli ispettori Onu, guidati dallo scienziato svedese Ake Ellstrom, sono già a Damasco pronti a mettersi al lavoro. Ma è stato il governo francese ad essere il più deciso a portare avanti l’ipotesi che, se tutto resterà bloccato, allora sarà necessario un intervento militare per punire l’uso delle armi chimiche da parte di Assad. Questa posizione della Francia, diffusa giovedi pubblicamente, sarebbe stata convenuta in forma ufficiale anche al Segretario Generale dell’Onu dal ministro degli Esteri francese Fabius.
Ma non sono le minacce francesi quelle che possono preoccupare di più il regime di Damasco o Mosca, ma bensì il dibattito che starebbe avvenendo in queste ore all’interno dell’amministrazione Obama. Sia il Wall Street Journal che il New York Times, hanno infatti riferito di un intenso dibattito all’interno dell’amministrazione tra falchi e colombe, tra chi vorrebbe subito punire Assad con un attacco militare per aver violato la linea rossa e chi invece predica prudenza e vuole prima accertare se il responsabile dell’attacco con armi convenzionali sia stato veramente il regime di Damasco.
Il Presidente Obama, venerdì mattina, durante una intervista con la CNN, ha fatto capire che la situazione merita l’attenzione dell’America e che gli Stati Uniti stanno valutando le varie opzioni a disposizione. Obama ha detto che non si aspetta alcuna cooperazione dal regime di Assad per le indagini su chi sia il responsabile di quello che è avvenuto mercoledì, aggiundo che quando si fa uso di armi chimiche, “questo comincia a toccare alcuni dei principali interessi nazionali degli Stati Uniti”.
Mentre anche i russi si mostrano disponibili a volere, come Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, una inchiesta per verificare cosa sia successo veramente mercoledì, dal Palazzo di Vetro dell’ONU comunque ci appare evidente come la ricerca di una risposta internazionale da dare alla drammatica situazione dell’uso di armi non convenzionali in Siria, non vedrà con molta probabilità il Consiglio di Sicurezza come protagonista. Infatti il tavolo dei Quindici appare sempre più paralizzato dai veti incrociati contro e in supporto di Assad. Se una risposta avverrà contro chi ha usato armi chimiche contro contro civili, probabilmente questa volta non potrà avere la copertura e legittimità internazionale che solo una risoluzione del Consiglio di Sicurezza potrebbe dare, come avvenne per la Libia.
Intanto venerdi, le agenzia delle Nazioni Unite hanno diramato la notizia che oltre un milione di bambini hanno dovuto lasciare la Siria a causa della guerra civile. La maggior parte di questi piccoli rifugiati, secondo l’Onu 740 mila, ha meno di undici anni. Secondo l’UNICEF e la UNHCR, l’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, i bambini sono la metà del totale dei rifugiati siriani, che ha oltrepassato i confini con la Giordania, il Libano, la Turchia, l’Iraq e l’Egitto. Almeno altri due milioni di bambini ha dovuto lasciare le loro case ma sono ancora all’interno della Siria. Una “generazione di innocenti” che sta pagando e continuerà a soffrire le conseguenze di un conflitto che, temiamo, non abbia ancora fatto vedere tutte le sue potenzialità di terrore e distruzione.
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