Ieri il Monde ha pubblicato in prima pagina un’inchiesta sugli attacchi chimici del governo siriano nella guerra contro i ribelli. Si tratta di un reportage importante perché è la prima testimonianza diretta da parte di giornalisti occidentali sull’uso di armi chimiche in Siria – l’Amministrazione Obama ha detto che questo comportamento da parte del governo Assad potrebbe essere la causa scatenante di un intervento armato internazionale, anche se appare riluttante a dare seguito a questo ammonimento. Si tratta anche di un pezzo di giornalismo rischioso da realizzare – per farlo il quotidiano francese ha mandato il giornalista Jean-Philippe Rémy e il fotografo Laurent Van der Stockton in clandestinità per due mesi nella zona dei combattimenti attorno e dentro Damasco, che è molto difficile da raggiungere per la maggior parte dei reporter stranieri (a meno che non siano embedded con i soldati del governo). Nemmeno il lunedì scelto per la pubblicazione è un giorno qualunque: ieri l’Unione europea era chiamata a decidere sul rinnovo del divieto comunitario di armare i ribelli. Francia e Gran Bretagna sostengono la necessità di non rinnovare il divieto quando scadrà a fine mese e di aiutare con armi i ribelli, soprattutto se la prossima conferenza di pace di Ginevra fallirà come già accadde l’anno scorso, com’è prevedibile per i tanti disaccordi.
Il Monde spiega che l’esercito siriano ha un modo di agire molto accorto e non esegue attacchi chimici spettacolari e su larga scala – come forse immaginava il presidente americano Barack Obama quando parlò di “linea rossa” – ma piuttosto localizzati e di portata ridotta. Per esempio un singolo proiettile di mortaio contenente gas, che colpisce il suolo con un rumore che si perde facilmente nel frastuono della battaglia, come “di un colpo che non è esploso”, oppure “una lattina di Pepsi buttata per terra”. Il gas è inodore e incolore, non c’è fumo, non c’è un fischio di fuoriuscita, ci si accorge della sua presenza “soltanto quando è troppo tardi” e i ribelli colpiti accusano i sintomi: soffocamento, svenimenti, tosse violenta, vomito, occhi arrossati, pupille contratte. “I muscoli della respirazione non funzionano più e se non interveniamo noi – dice al Monde un medico siriano che cura i ribelli e vuole restare anonimo – chi è colpito muore”, come in effetti succede a molte vittime.
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