A mostrare il lato oscuro dell’episodio accaduto in una scuola di Brescia, più del motivo scatenante, serve un’immagine, subito diffusasi sui media per la potenza espressiva. Si rivela specchio involontario delle difficoltà che pregiudicano la qualità dell’insegnamento. A prima vista, c’è persino qualcosa di inquietante, tra il tragico e l’epico, in quello scatto. Un grande cortile, le colonne del porticato sullo sfondo, molti ragazzi in cerchio a osservare e partecipare, al centro due signore si fronteggiano. Forse minacciose, o preoccupate, o stizzite.
Cosa mai hanno da dirsi? Perché tanti sono interessati? Un ingrandimento mostra dettagli e accresce la curiosità: c’è un ragazzo più grande davanti agli altri, con le braccia aperte, quasi a guidarli e indirizzarne le reazioni. Solo pochi sono composti, i più ridono e applaudono, sembrano supportare le signore, o solo una, offrire incoraggiamento. Una scena articolata.
La notizia che accompagna la foto chiarisce di cosa si tratti, esclude ipotesi più stravaganti, pone nuovi interrogativi. Siamo all’interno di un prestigioso liceo classico di Brescia, dove è avvenuto un episodio sconveniente. O sarebbe accaduto. Lo storico bidello, tale Gerardo, meglio conosciuto come Jerry, amato da tutti compreso a suo dire la dirigente scolastica, sarebbe stato “umiliato” da questa nei giorni precedenti. Gli avrebbe chiesto senza pudore di lavarle il vetro dell’auto, sporco di resina.
Le versioni divergono. Rispetto alla tesi studentesca, la preside invoca un fraintendimento. Avrebbe solo chiesto una spugna, non altro, ma Gerardo, vero “gentiluomo”, si sarebbe offerto di far lui il lavoro al posto della donna, sua dirigente. Forse però le cose non sono andate proprio così, infatti il bidello si sarebbe poi lamentato con i colleghi, dicendosi amareggiato per quanto accaduto, e si è assentato per “gravi motivi familiari”.
Questo il fatto, in sé limitato, che ha scosso la tranquillità del blasonato istituto fondato nel 1797, portandolo però ad un passo dalla rivolta, con rituale occupazione dei locali, poi derubricata in assemblea straordinaria, e in conseguente protesta. Insomma così arriviamo al raduno dei ragazzi in cortile, prima delle lezioni.
E la scena dei professori? Il fatto di Gerardo diventa l’antefatto, la premessa per altro, una scena più grave ed esilarante. Il condizionale anche qui è d’obbligo: una docente avrebbe affrontato la preside pubblicamente, davanti ai ragazzi che partecipavano al sit-in. “Noi non stiamo fomentando nessuno. Devo aver paura di lei?”, queste le parole perentorie con cui si sarebbe rivolta alla dirigente. Evidentemente quest’ultima aveva prima accusato l’insegnante di aver provocato la reazione dei ragazzi, cioè di averli “aizzati” contro di lei per la faccenda di Gerardo.
È immaginabile quanto le parole di fuoco della docente possano aver galvanizzato in quel momento i ragazzi, radunati lì a manifestare contro l’abuso ai danni di Gerardo: all’improvviso si sono sentiti spalleggiati da una professoressa contro la dirigente. Ecco dunque il clima di esaltazione, rilevabile in fotografia, che ha indotto i ragazzi a parteggiare per l’insegnante, nei panni dell’eroina contro il potere costituito. Si era creata una situazione più pesante dell’incidente riguardante il povero Gerardo.
Prima c’era stato solo un odioso, ma piccolo, abuso quando la dirigente si sarebbe permessa di chiedere/esigere un atto non dovuto, dal sapore umiliante. Poi si era concretizzato uno scenario ulteriore che evidenziava problemi non di poco conto: la situazione all’interno della scuola deteriorata da tempo; i rapporti tra docenti affatto cordiali e rispettosi; i dissapori mai risolti messi in piazza liberamente.
Non c’era solo il disvelamento di una realtà forse già nota, ma un modo di trattarla con accuse e ammonimenti dal tenore provocatorio, in un contesto inappropriato e mettendo di mezzo gli studenti. Un bel pasticcio. Tutto era avvenuto nel cortile dell’Istituto. Le docenti non avevano affrontato la questione pacatamente e con argomenti. Invece avevano tradotto il pensiero nell’accusa non si sa quanto motivata di fomentare la ribellione studentesca e poi nella reazione dello sfogo verbale, offrendo il tutto alla platea che lo ha utilizzato per alimentare la manifestazione.
Ciò che la fotografia racconta non è solo conseguenza di quanto accaduto nella scuola in precedenza; un fatto da chiarire e, se veritiero, da stigmatizzare e condannare in quanto deplorevole. È testimonianza della confusione che avvolge ruoli e compiti nella struttura scolastica.
Le relazioni che si lasciano deteriorare sono il segnale del declino della scuola e della crisi della sua funzione, con danno all’immagine. Un esempio di incapacità nel compito verso gli studenti, e i collaboratori. Non c’è stato ritegno per il luogo, il momento, gli interlocutori. Sono state usate le parole più inappropriate, specie in bocca a maestri.
La responsabilità maggiore grava sui professori, in quanto educatori prima che insegnanti. Però anche ai ragazzi, forse nella concitazione e nello slancio, è sfuggito che la vicenda Gerardo non doveva essere confusa con altre, che i piani erano diversi e tali dovevano rimanere. Hanno perso l’occasione per non farsi coinvolgere in dinamiche a cui sono estranei.
Episodi talora incresciosi coinvolgono i ragazzi nelle scuole e destano preoccupazione. È solo un lato del problema. Anche la categoria dei docenti, soggetta ad un processo di proletarizzazione pure economica, è però sotto i riflettori nel momento in cui la scuola riapre a pieno regime, senza mascherine e restrizioni, e deve affrontare uno sforzo di rinnovamento. A partire dal ripensamento del ruolo degli insegnanti, che non può prescindere dal senso di responsabilità oltre che dalla passione per la missione esercitata.
Forse la riqualificazione del messaggio educativo – come impegno di conoscenza e di formazione civile – può trarre qualche spunto utile persino da episodi minimi come questo. Nell’attesa, speriamo che Gerardo torni presto nel suo Istituto.