Una condanna che apre, non chiude, un percorso. La sentenza del Tribunale di Avellino che, accogliendo sulla base dell’inchiesta avviata dall’ex Procuratore capo della Procura di Avellino, condanna a dieci anni di carcere funzionari delle FS e dirigenti dell’Isochimica, stabilisce come verità giuridica la relazione diretta tra le lavorazioni a contatto con amianto e la morte per mesotelioma pleurico dei lavoratori. Nonostante il doveroso riconoscimento che bisogna indirizzare alla magistratura e agli esperti che hanno accompagnato il percorso processuale, come il prof. Antonio Giordano (Direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine), non si può non indicare il limite nel mancato coinvolgimento degli alti dirigenti delle FS, dei governi centrali e periferici, dei responsabili dei presidi della medicina territoriale e di fabbrica. E c’è da segnalare, inoltre in questa occasione) la grave responsabilità della connivente contrattazione sindacale che ha autorizzato le lavorazioni fonte di morte.
Infatti, la strage ha radici profonde. La ricerca scientifica già negli anni 30 del Novecento avanza seri argomenti per determinare la pericolosità dell’inalazione delle fibre di amianto. Ma l’industria capitalistica continua l’estrazione mineraria e immette nei prodotti grandi quantità di questo materiale nei grandi mezzi di trasporto (navi, aerei, treni), nell’edilizia e negli elettrodomestici.

Il danno sarà accresciuto negli anni del dopoguerra quando alla produzione si aggiungerà la manutenzione di massa. I cantieri navali e aeroportuali, le officine ferroviarie diverranno luoghi di diffusione delle fibre cancerogene. Al massacro che si compie nelle antiche Officine di Pietrarsa, per esempio, dove a mani nude si scoibentano le locomotive a vapore, si aggiungerà la tragica e criminale decisione di decoimbentare le diecimila vetture FS, cosiddette tipo “X”, con un accordo sindacato azienda che, oltre ad esporre al rischio certo migliaia di lavoratori ferrovieri con ridicole protezioni individuali, decide il coinvolgimento del settore privato e la diffusione territoriale del danno e del malaffare. È qui che si configura il contesto affaristico delinquenziale che fa nascere i poli della morte ad Avellino, Torre del Greco, Napoli e nel paese. Eppure, grandi e coraggiosi studiosi come il Professore Cesare Maltoni direttore dell’Istituto di oncologia di Bologna e il Professore Giovan Giacomo Giordano, docente di Cancerogenesi Ambientale ed Occupazionale all’Università Federico II di Napoli, avevano dimostrato scientificamente come anche una sola fibra di amianto in un ambiente poteva innescare il processo degenerativo della pleura. Eppure, la cosciente e forte lotta alle lavorazioni in presenza da amianto, come quella davvero cosciente ed estesa svoltasi nelle Officine FS di S.Maria La Bruna, avevano aperto nella società e nella politica un dibattito ultimativo e avevano conquistato primi strumenti, come la legge 257/92 che metteva al bando l’amianto. Ma il conseguimento del profitto prevale su tutto e ottiene il benestare dei vertici sindacali. Il carattere dello scambio venefico si può leggere in una vicenda di una particolare carriera svolta all’ombra della vertenza amianto nelle ferrovie.
Il dirigente sindacale della CGIL trasporti di fine anni ’80 e inizio ’90 del secolo scorso Mauro Moretti è l’artefice dell’accordo nazionale per decoibentazione, e nel giro di pochi anni arriverà prima a divenire il segretario nazionale della FILT CGIL e poi il Presidente delle FS. Isochimina, Sofer, Officine FS, cantieri navali, Eternit in Campania macinano affari e seminano morte con la copertura quasi totale delle istituzioni e delle rappresentanze. Le esperienze di lotta come quelle citate restano isolate anche se non sopite. Ed anche una iniziativa legislativa, originale ed unica in Italia, come la presentazione e l’approvazione di un testo di legge regionale (a prima firma del consigliere regionale comunista Francesco Maranta) non riesce a produrre effetti immediati sulle condizioni del lavoro per l’avversità che si indirizzano verso le persone e le lotte che si oppongono al lavoro in presenza di amianto.
La sentenza del Tribunale di Avellino apre uno spiraglio, dà una speranza di giustizia a tutte le lavoratrici e i lavoratori convolti nelle attività a rischio e alle loro famiglie, dona una voce alle persone trucidate in questi decenni, impone un compito ai luoghi della resistenza sociale. Bisogna nelle prossime settimane riorganizzare il movimento d lotta a partire da una convocazione degli stati generali del sindacalismo di base e di classe, della politica alternativa e di opposizione, delle rappresentanze operaie e delle esperienze scientifiche. Rimettere dunque in campo la memoria storica, i risultati conseguiti e il progetto per continuare la lotta.