Nel mondo dell’informazione si è da sempre creata una distinzione fra notizie di cronaca, fatti di politica e articoli di riflessione culturale nel rispetto di una logica di fruizione dell’informazione. Talvolta però fatti di cronaca assumono valenze politiche e se questo viene misconosciuto la portata valoriale dell’evento viene sminuita e travisata. Questo è il caso per un tragico fatto di cronaca avvenuto a Milano, ormai conosciuto come il ‘Caso Genovese’.
Il fattaccio è avvenuto lo scorso 10 ottobre 2020 nel lussuoso attico del centro Milano dove il proprietario, l’imprenditore milionario, Alberto Genovese di 44 anni, adibiva la sua “Terrazza Sentimento”, fornita di piscina, a discoteca privata.
Quella notte, all’interno della sua camera da letto, sorvegliata da un bodyguard, per ben 20 ore, Genovese ha stuprato una ragazza di appena 18 anni, apparentemente introdotta nella stanza dopo una bevuta di champagne ingannevolmente arricchito con dosi di droga dello stupro (GHB or Ketamina). La ragazza riesce a scappare e alla sua denuncia segue l’immediato arresto di Alberto Genovese che invece di approdare in Sud Africa dove, aveva pianificato di ripararsi con il suo jet privato, si ritrova detenuto presso la prigione San Vittore di Milano.

Solo questi elementi potrebbero esser sufficienti per destare indignazione, ma c’è dell’altro: la casa di Genovese era dotata di ben 19 telecamere che il proprietario utilizzava per filmare le proprie prodezze sessuali. Per ironia della sorte, una volta nelle mani della giustizia, gli stessi filmati hanno avuto un effetto boomerang, inchiodando il violentatore di fronte alla sua colpevolezza inconfutabile. Per la prima volta nella storia delle violenze sessuali subite dalle donne, lo stupro viene documentato con dovizia di particolari raccapriccianti in soccorso alla loro voci soffocate dalle menzogne dei violentatori, in innumerevoli occasioni. Ne emerge un racconto di brutalità, di efferatezza, di crudeltà messa ad opera da Genovese a danno della diciottenne che, sotto l’effetto della droga, veniva abusata per ore “come una bambola di pezza”, si evince dal rapporto del Giudice per le indagini preliminari. La droga dello stupro, infatti induce nel soggetto effetti sedativi, ipnotici e dissociativi rendendo la vittima incapace di reagire e incapace di ricordare. I dettagli della documentazione depositata in procura e ricavati dalla visione dei filmati, non sono stati descritti dai canali di informazione tanta era la ferocia, la crudeltà e disumanità agita: “ho dovuto prendermi delle pause nel vedere i filmati perché il contenuto è raccapricciante” ha dichiarato Luigi Liguori, avvocato della ragazza.
Pochi giorni dalla denuncia della diciottenne ben altre cinque ragazze decidono di procedere alla denuncia di Genovese per altrettante violenze sessuali subite in passato, sia nella residenza di Milano che in una residenza ad Ibiza. Si comincia cosi a delineare il “Sistema Genovesi”: ripetuti festini a base di cocaina e droga dello stupro, somministrata con inganno, dove venivano invitate ragazze reclutate dai ‘bravi’ del clan Genovese, il cui compito era quello di sceglierle bellissime e giovanissime (ma non minorenni) e che gravitassero intorno al mondo della moda milanese.
Questi i fatti della cronaca recente che ci riportano alla memoria il caso del massacro del Circeo del ‘75, ad opera di tre pariolini fascisti (della Roma bene) e a danno di due ragazze delle borgate romane: Rosaria Lopez, morta per le violenze subite, ed Emanuela Colasanti sopravvissuta per puro miracolo. Nel corso di quel processo emerse come la violenza sessuale, le varie barbarie e l’omicidio furono perpetuati dai pariolini sulle vittime, donne e cittadine di serie B, in quanto ragazze della classe proletaria.

Quello che accomuna i casi, il massacro del Circeo e la violenza a Terrazza Sentimento, è che i violentatori hanno utilizzato la propria disponibilità finanziaria per adescare le prede su cui agire atti di violenza: la ripetizione di una lotta fra i ‘patrizi’ e i ‘plebei’ giocata sul corpo delle donne.
Ma il parallelismo fra i tragici eventi finisce qui. Mentre le ragazze del massacro del Circeo vennero circondate da un caloroso sentire femminista (vennero difese dall’avvocato Tina Lagostena Baso, nota per le sue posizioni progressiste/femministe, e diversi gruppi femministi si costituirono parte civile) oggi, a 45 anni di distanza, le ragazze violentate a Milano si avvalgono solo della difesa dei loro avvocati, come un qualsiasi fatto privato; la voce dei gruppi femministi è la grande assente in questa vicenda clamorosa, nessuna intellettuale sta difendendo le ragioni delle vittime, nessun gruppo femminista si è costituito parte civile. La stessa assenza di difesa si sta replicando sui mezzi informativi. Questo silenzio della voce femminista ha creato un vuoto a livello mediatico anche in RAI, sistema di servizio pubblico: un vuoto prontamente occupato, invece, dal coro di difesa del Genovese-violentatore, la cui illimitata capacità finanziaria rende facile investire i suoi ‘bravi’ con il potere di esercitare pressione mediatica e infangare la reputazione delle vittime. Perché mai anche la RAI si presta a questo gioco di massacro mediatico a danno delle donne vittime?

A questo riguardo La Voce di New York ha raccolto l’opinione della Responsabile della Commissione Parità e Vigilanza della Rai, la Senatrice Valeria Fedeli: “condivido le perplessità sollevate. Questa è una problematica che abbiamo ereditato dal precedente governo Giallo-Verde (Coalizione 5Stelle-Lega, 2019-20) quando, a causa della divisione partitocratica all’interno del Consiglio di Amministrazione RAI, il canale RAI 2 è stato dominato da una cultura conservatrice leghista che promuove il ruolo della donna solo fra le mura domestiche con tutte le conseguenze che questo comporta. Sulla disinformazione sul caso Genovesi ho recentemente presentato una osservazione ad una audizione dei direttori di Rai 1 e Rai 2. Devo aggiungere che qualcosa si sta muovendo in senso positivo a riguardo: abbiamo lavorato su una proposta di riforma RAI sul modello delle BBC, per neutralizzare la partitocrazia all’interno del sistema di informazione pubblico. Inoltre, a breve, avremo la nomina di una nuova responsabile dell’azienda RAI, svincolata dalle logiche partitocratiche, avente lo scopo di mantenere un costante monitoraggio sui contenuti delle tre reti RAI”.
L’impatto dell’informazione televisiva sulla società ha una rilevante importanza soprattutto se si considera che in Italia lo scorso anno si sono verificati 112 femminicidi e dall’inizio di quest’anno ben altre sette donne hanno trovato la morte per mano di amanti, fidanzati o mariti. Numeri e storie raccapriccianti che inducono a riflettere sul perché una cultura di violenza misogina stia dominando certe fasce della società.
“Purtroppo in questi ultimi 30 anni la presenza dei movimenti a difesa delle donne è diventata più silente” dichiara Rosangela Pesenti, rappresentante UDI (Unione Donne Italiana), “questo è dovuto ad una frammentazione delle organizzazioni nel territorio e alla mancanza di una regia centralizzata capace di governarne la forza e la visibilità”.
La Senatrice Valeria Valente, ‘Presidente della Commissione Parlamentare sul Femminicidio e ogni forma di Violenza di Genere’ ha commentato: “Il patriarcato/maschilismo fa difficoltà a morire come un mostro a più teste. Una certa tipologia di maschi nel percepire l’approccio della fine dei privilegi e della posizione di dominio, reagisce con la violenza come ultimo colpo di coda per resistere e non cedere. Ciò trova una spiegazione nella dicotomia che si è creata fra il sentire delle donne e quello maschile: mentre nel passato la problematica femminile era sia sostanziale (mentalità della società diffusa) che formale (una legislazione ancora non sensibile alla tematica femminile), oggi a livello legislativo abbiamo fatto molti passi avanti mentre, ma a livello sostanziale rimane ancora una cultura diffusa di dominio maschilista.
Non è un caso che l’Italia ha un tasso di denatalità fra i più allarmanti in Europa. Si fa ancora fatica a far passare l’idea che i figli non sono un fatto privato. La famiglia è una struttura che deve muoversi su tre pilastri: uomo, donna e società, dove l’intera società deve attrezzarsi per correre in aiuto alle donne. Ci sono molti movimenti femministi in Italia, quello che manca loro è più visibilità mediatica per promuovere diffusione di valori a difesa della donna”.
È chiaro quindi come non si possano liquidare certi eventi come puri fatti di cronaca; il loro contesto di analisi deve essere quello sociale e politico, nella speranza che nuovi movimenti alla difesa dei valori e dei diritti di tutti possano conquistare una maggiore rumore e dare voce alla sofferenza delle giovani vittime.