La Russia ha annunciato un cessate il fuoco unilaterale in Ucraina dall’8 all’11 maggio per il Giorno della Vittoria, che quest’anno commemora l’ottantesimo anniversario del successo sovietico nella Seconda Guerra Mondiale (o Grande Guerra Patriottica, com’è meglio nota nel Paese). Lo ha dichiarato lunedì il Cremlino in un comunicato.
“Per decisione umanitaria del comandante supremo delle Forze Armate della Federazione Russa, Vladimir Putin, si proclama una tregua a partire dalle ore 00:00 (ora locale di Mosca, nda) dell’8 maggio fino alle ore 00:00 dell’11 maggio“, si legge nella nota. Il Cremlino ha aggiunto di auspicarsi che Kyiv reagirà “positivamente” all’iniziativa di 72 ore – ma che, qualora ciò non avvenisse, l’esercito russo risponderà “in maniera adeguata ed efficace“.
Ribadita anche la disponibilità a riprendere colloqui di pace “senza precondizioni” per risolvere “le cause profonde della crisi ucraina“, degenerata tre anni fa con l’aggressione militare russa, nonché di ristabilire “una cooperazione costruttiva con i partner internazionali”.
Il leader russo aveva già annunciato una tregua di 72 ore in occasione della Pasqua ortodossa, dal 19 al 21 aprile. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva proposto, senza successo, di estendere la tregua pasquale di altri trenta giorni. Nonostante diverse violazioni documentate, i combattimenti erano in effetti quantomeno diminuiti d’intensità, fatta eccezione per la zona di confine tra le regioni frontaliere di Kursk, Belgorod e Sumy, dove si è continuato a sparare senza soluzione di continuità.
Soldati di entrambe le parti avevano inoltre approfittato della relativa calma per riparare infrastrutture logistiche critiche, recuperare i cadaveri dei commilitoni e organizzare scambi tra squadre di evacuazione sotto bandiera bianca, come accaduto nella zona di Rabotino, nella regione ucraina meridionale di Zaporizhzhia.
Al termine della tregua pasquale, subito dopo mezzanotte del 21 aprile, gli scontri sono tuttavia ripresi su tutto il fronte, accompagnati da bombardamenti a raffica e da un pesante attacco missilistico russo su Kyiv che ha provocato almeno 12 morti e un’ottantina di feriti.
“Se la Russia vuole veramente la pace, deve cessare il fuoco immediatamente. Perché aspettare l’8 maggio?”, ha commentato lunedì su X il ministro degli Esteri ucraino Andrii Sybiha, secondo cui un cessate il fuoco dovrebbe essere “reale, non solo per una parata”.
Il riferimento è alle pompose celebrazioni del 9 maggio per il Giorno della Vittoria, la più importante festività laica del gigante est-europeo. Per la prima volta dallo scoppio della guerra, quest’anno sfileranno sulla Piazza Rossa anche truppe provenienti da una decina di altri Paesi, tra cui contingenti militari provenienti da Azerbaigian, Serbia, e Tagikistan.
Tra i leader attesi nella capitale russa ci sono i tre principali alleati internazionali di Putin – il presidente cinese Xi Jinping, il leader nordcoreano Kim Jong-un, e il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko – ma anche il premier indiano Narendra Modi, il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, il presidente venezuelano Nicolas Maduro, il presidente cubano Miguel Díaz-Canel, e al leader dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas.
Sugli spalti d’onore nel cuore di Mosca siederanno anche il primo ministro slovacco Robert Fico – unico rappresentante di un Paese dell’Unione Europea – e quella del presidente serbo Aleksander Vucic, che negli anni ha coltivato ottime relazioni con Mosca nonostante Belgrado sia candidata a entrare nell’UE.

Il segretario di Stato USA Marco Rubio, in un’intervista alla NBC, ha definito quella appena iniziata una “settimana molto critica” per capire se Washington continuerà a spingere per la pace in Ucraina. Donald Trump, che sabato scorso ha brevemente incontrato Zelensky in occasione dei funerali di Papa Francesco al Vaticano, ha avanzato qualche dubbio sulla sincerità negoziale di Vladimir Putin (“Forse mi sta prendendo in giro”, ha ipotizzato il presidente USA sui suoi profili social settimana scorsa), anche se venerdì ha parlato di una possibile soluzione diplomatica ormai “vicina“.
Lunedì il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha comunque ribadito che il riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea e sulle quattro regioni dell’Ucraina orientale e meridionale annesse unilateralmente alla fine del 2022 (Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Cherson) – solo in parte occupate dalle truppe russe – è “imperativo” per qualsiasi accordo di pace.
Il Cremlino ripete ormai da tempo che qualsiasi soluzione al conflitto iniziato all’alba del 24 febbraio 2022 non possa prescindere dalla considerazione delle proprie preoccupazioni di sicurezza, che comprendono anche la rinuncia formale alle ambizioni ucraine di adesione alla NATO e un sostanzioso ridimensionamento delle forze armate di Kyiv.
Malgrado le pressioni di Washington, finora Kyiv ha escluso qualsiasi concessione territoriale in cambio della pace. Nei prossimi giorni potrebbe intanto arrivare l’attesa firma dell’accordo sui minerali critici ucraini, che il premier Denys Shmyhal ha confermato essere in fase avanzata di negoziazione con gli Stati Uniti. L’ultimo round di negoziati si è concluso domenica a Washington e ha fatto registrare “buoni progressi“, secondo quanto affermato da Shmyhal dopo l’incontro con il segretario del Tesoro statunitense Scott Bessent.
In un post su Telegram, Shmyhal ha specificato che l’ultima bozza di intesa è stata redatta in modo da non considerare i circa 84 miliardi di dollari di aiuti militari forniti da Washington nell’ultimo triennio. “La cosa più importante”, ha aggiunto Shmyhal, “è che abbiamo fissato chiaramente le nostre linee guida. L’accordo dovrà rispettare gli obblighi europei e non potrà contraddire la Costituzione o la legislazione ucraina”.
Cresce intanto la preoccupazione per i movimenti strategici di Mosca lungo il confine occidentale con Finlandia e Norvegia. Immagini satellitari riportate dal Wall Street Journal evidenziano un’espansione delle basi militari russe nelle regioni di Leningrado e Murmansk, che sarebbero state fornite di nuovi depositi per attrezzature militari e di caserme. Movimenti analoghi sono stati registrati nei pressi di Petrozavodsk, nella Repubblica di Carelia, con nuove linee ferroviarie e infrastrutture logistiche indicative, secondo gli analisti, di possibili preparativi russi per future incursioni limitate contro la NATO.
Secondo funzionari occidentali citati dal quotidiano newyorkese, lo scorso anno la Russia avrebbe disposto un aumento dell’organico delle forze armate fino a un milione e mezzo di effettivi, e, una volta concluso il tour de force bellico, avrebbe in programma di redistribuire buona parte delle truppe provenienti dal fronte lungo i confini con Paesi NATO, soprattutto nei distretti militari di Leningrado e nella regione baltica.