È un luglio rovente quello di quest’anno a Mosca, il più caldo dalla Rivoluzione del 1917. Le temperature di giorno superano agevolmente i 30°C. Di notte, le minime raramente scendono sotto i 24. Il sole batte implacabile anche sui tetti dorati del Gran Palazzo del Cremlino, progettati con opulenza dal pietroburghese Konstantin Thon su iniziativa dello zar Nicola I a metà Ottocento.
A riscaldare le ben refrigerate sale dei bottoni moscovite è invece ciò che sta accadendo a migliaia di chilometri di distanza. La buona novella è infatti che il candidato preferito dal Cremlino, Donald Trump, pare ormai avere la strada spianata verso la Casa Bianca.
Nessuna questione di simpatia personale. Come spesso accade per gli affari moscoviti, è tutta una questione di realpolitik: rispetto agli interessi nazionali russi, una presidenza Trump-bis è vista pragmaticamente come la più vantaggiosa – a partire dai progetti per mettere fine alla guerra in Ucraina cristallizzando di fatto le conquiste territoriali russe.
La débâcle di Biden, apparso titubante e confuso nel primo dibattito presidenziale del 27 giugno, ha dato al Cremlino un motivo per essere ottimisti: a novembre il repubblicano dovrebbe riuscire a riprendersi 1600 Pennsylvania Avenue, e forse incrinare il ferreo sostegno politico-militare statunitense a Kyiv che in oltre due anni di conflitto ha significato circa 70 miliardi di dollari di aiuti.
Una sensazione confermata in forma anonima da diversi funzionari ministeriali, dell’amministrazione presidenziale e imprenditori di alto livello al Moscow Times. “Il Cremlino fa il tifo per Trump ed è contento dell’esito del dibattito“, ha dichiarato un alto funzionario dell’ufficio esecutivo del capo di Stato. “Mosca intravede prospettive favorevoli nell’ipotesi di un insediamento di Trump e di una nuova amministrazione repubblicana alla Casa Bianca”, gli ha fatto eco un altro funzionario governativo.
Alcuni di loro sono rimasti stoicamente svegli per seguire l’evento in diretta, alle 4:00 di mattina locali; altri invece lo hanno recuperato il giorno successivo su YouTube. In questa seconda categoria rientrerebbe anche Vladimir Putin, almeno secondo il suo portavoce Dmitrij Peskov. “Non si può certo credere che il presidente russo metta la sveglia all’alba per guardare il dibattito“. “È una questione interna degli Stati Uniti”, ha proseguito Peskov. “Noi abbiamo molte faccende davvero importanti per il nostro Paese, ed è di quelle che si occupa il nostro presidente”.

Che il leader russo abbia o meno seguito in diretta il dibattito di Atlanta è in verità un dettaglio di rilevanza aneddotica. A Mosca il diktat è in ogni caso quello di minimizzare l’importanza delle elezioni statunitensi in tutte le dichiarazioni pubbliche.
“Ci è stato dato il compito di sottolineare che le elezioni americane non hanno grande importanza per la Russia,” confessa un funzionario del ministero degli Esteri. Dietro le quinte, però, sono in molti ad analizzare attentamente tutti gli sviluppi: consulenti di Putin, diplomatici e funzionari d’intelligence in primis.
A lanciare bordate al candidato democratico provvedono piuttosto i media statali e filo-Cremlino. Lo hanno fatto diversi opinionisti allineati a Putin come Vladimir Solovyov e Dmitry Kiselyov, che hanno ampiamente criticato l’età e la performance non solo di Biden ma anche, in misura minore di Trump, finendo infine per scagliarsi con il sistema elettorale statunitense tout court.
Eppure in almeno un paio di dichiarazioni passate, era stato proprio Putin a sbilanciarsi, dichiarando di fare velatamente il tifo per Biden. “È più esperto, più prevedibile, un politico di vecchia formazione“, aveva detto lo scorso febbraio – malgrado il democratico lo avesse pochi giorni prima definito “un pazzo figlio di putt….“. Il diavolo però sta nei dettagli. E Putin, da levigato oratore, ha scelto con cura una serie di eufemismi che finiscono per sottolineare sarcasticamente la veneranda età del rivale.
Dichiarazioni che insomma hanno tutt’altro che il sapore di un endorsement, come conferma un ex alto funzionario del Cremlino. “Quando Putin dice di preferire Biden, non sta scherzando,” spiega la fonte. “Sta cercando deliberatamente di danneggiarlo, rendendosi conto di come questo tipo di ‘sostegno’ viene percepito negli Stati Uniti, specialmente nel clima politico attuale.”
Il Cremlino continua peraltro a ripetere che Mosca lavorerà – o quantomeno cercherà di farlo – con qualsiasi leader statunitense uscirà dalle urne alle elezioni di novembre. Con Trump, la Russia prevede un’America più cinica e meno disposta a concentrare soldi e attenzione in Europa, ma impegnata invece a tenere a bada la Cina nell’Indo-Pacifico. Con Biden, invece, verrebbe premiata la continuità e la politica dell’agree to disagree – sapendo tuttavia che un’amministrazione democratica sarebbe meno disposta all’escalation in caso di crisi rispetto all’istrionico ex presidente.
Come già successo nel 1917, l’afa estiva potrebbe essere avvisaglia di un autunno (politicamente) ancora più caldo.