La rappresaglia c’è stata. Sono partiti dall’Iran oltre 320 fra droni, cruise missili e ordigni balistici puntati direttamente su Israele. Una rappresaglia enorme, costosissima, annunciata con largo anticipo ma di fatto simbolica che ha provocato solo il ferimento di una bambina beduina di 7 anni e qualche danno a una remota base militare israeliana.
Oltre il 99 per cento dei droni e dei missili è stato intercettato e distrutto dalle forze antiaeree israeliane anche sopra i cieli di Gerusalemme e Tel Aviv, ma soprattutto abbattuto dalle navi militari Usa posizionate già nelle acque internazionali a difesa di Israele. E questa volta a fare scudo sullo Stato ebraico, su esplicita richiesta Usa, sono intervenute anche le difese antiaeree della Giordania. Un vero piano coordinato dal Pentagono per limitare al minimo i danni a Israele, senza però impedire che l’attacco iraniano avesse luogo.
La dimostrazione militare di Teheran (che è stata esaminata anche al Consiglio di Sicurezza dell’Onu) doveva essere la risposta di Stato all’attacco israeliano contro il consolato iraniano a Damasco, dove è stato polverizzato un intero palazzo pieno di alti comandanti e generali dei guardiani della rivoluzione.
Nessuno aveva mai assistito ad un attacco così massiccio di Teheran contro Israele. Ma nessun attacco era mai stato così preannunciato, telegrafato e poco segreto. Quasi un invito all’avversario a fermare i missili iraniani in tempo per limitare o azzerare i danni e le perdite di vite umane. Una sorta di prova generale in costume che ha permesso di dimostrare la capacità di Tehran di raggiungere Israele, ma anche le straordinarie capacità tecnologiche e difensive di Israele, soprattutto se appoggiate incondizionatamente dai sistemi di difesa americani. Una sorta di esercitazione di guerra con proiettili veri, ma senza la volontà di infliggere all’avversario la stessa quantità di danni subiti da Teheran nell’attacco del 1° aprile a Damasco, dove sono stati uccisi 7 alti ufficiali compreso il leader dei guardiani della rivoluzione.
L’Iran dopo la distruzione degli oltre 300 droni utilizzati per l’attacco dimostrativo si è affrettato a dire “se non ci saranno altre reazioni di Israele, per noi il caso è chiuso”.
La palla è passata in queste ore nel campo di Netanyahu – e il fatto che su pressione di Biden e della Casa Bianca il Gabinetto di guerra che decide sia stato ridotto adesso a sole 3 persone senza gli estremisti ortodossi e della destra israeliana – è il primo segnale che qualche cosa potrebbe cambiare nelle future controreazioni di Israele.
Netanyahu può vincere il suo isolamento politico interno e internazionale solo se affronterà con un diverso approccio la questione degli ostaggi e di Gaza, dei bombardamenti indiscriminati e della fame che assale la popolazione superstite della Striscia.
Biden ha promesso incondizionati aiuti e assistenza difensiva a Israele ma sembra aver premuto il freno sulle armi offensive e spinge moltissimo per un immediato cessate il fuoco di almeno 6 settimane e per un allargamento altrettanto immediato degli aiuti umanitari. Non sono solo i palestinesi a chiederlo ma il mondo intero.
Biden ha detto chiaro al premier israeliano che non appoggerà un suo contrattacco nei confronti dell’Iran. Teheran potrebbe fare altrettanto invitando gli Hezbollah in Libano a non reagire nelle schermaglie di confine. Gli iraniani sanno di aver violato lo spazio aereo in Arabia Saudita e in Giordania con i loro superdroni e potrebbe diventare rischioso rifarlo. Ma il nodo rimane Gaza e l’eventuale attacco a Rafah. Anche su questo Netanyahu deve frenarsi e pensare alla risoluzione della crisi degli ostaggi. Bibi però non vuol vedere la necessità di una soluzione a due stati col riconoscimento di quello palestinese di fianco a quello israeliano, non allontana il rischio di un allargamento del conflitto ma lo avvicina.
E se questa volta anche i jet francesi e inglesi sono diventati parte dell’ombrello difensivo internazionale sopra Israele, l’incosciente intransigenza dei falchi israeliani che non vogliono negoziare la crisi di Gaza ma continuano ad esasperarla usando anche la fame come arma di guerra, potrebbe rapidamente ritorcersi contro di loro, soprattutto se anche Russia e Cina non staranno più a guardare