Le bombe a grappolo sono state decise e stanno per essere spedite. Forse non risolveranno la guerra. Ma “renderanno più vicina la pace” dice il presidente ucraino Zelensky ringraziando Biden e il Pentagono per l’invio dei pericolosi ordigni, che oltre 100 paesi hanno bandito e che lo stesso segretario generale dell’Onu Guterres implora di non usare per i devastanti danni che possono provocare sulle popolazioni civili.
La controffensiva delle truppe di Kiev non sta ottenendo i successi sperati, ma i problemi militari e interni che Putin deve affrontare dopo il misterioso mancato golpe di Prigozhin potrebbero portare paradossalmente a una svolta accelerata, che in pochi sono stati in grado di prevedere perché si basa sulle debolezze dei due contendenti.
L’annuncio della Casa Bianca che il negoziato su un nuovo scambio di prigionieri russi e americani sarebbe in fase avanzata a partire dall’inviato del Wall Street Journal ma che non si limita solo a questo, fa pensare che qualche cosa dietro le quinte di Washington e Mosca si stia muovendo. E che i quasi 19 mesi di guerra potrebbero vedere, entro alcune settimane, se non il cessate il fuoco almeno l’avvio di incontri segreti per facilitarne le condizioni.
Un importante faccia a faccia top secret riportato solo adesso dal New York Times era già avvenuto ad aprile appena fuori dal Palazzo di Vetro. Il ministro degli esteri russo Lavrov e una terna di super consiglieri americani molto influenti nei confronti di Biden, ma tecnicamente non collegati alla Casa Bianca, sembrano aver avviato la soft diplomacy accentuando il ruolo che gli Stati Uniti avrebbero, anche come garanti dell’Ucraina. Il Cremlino, riferendosi all’incontro, parla di notizie non vere, ma gli americani non smentiscono.
Ad Ankara il presidente turco Erdogan, che sul fronte Nato frena sull’ingresso della Svezia, riceve il presidente Zelensky dicendo che l’Ucraina merita di entrare nel Patto Atlantico per poi annunciare contestualmente che anche Putin sarà in Turchia ad agosto per valutare soluzioni che portino alla normalità. La comunità internazionale, soprattutto europea, rimane sempre compatta nello schieramento contro Mosca, l’aggressore di un paese sovrano.
Anche per questo il presidente Biden si prepara a raggiungere Vilnius per un summit della Nato molto delicato e difficile che potrebbe rafforzare non poco l’Alleanza Atlantica, ma anche cacciarla in una posizione di stallo pericoloso proprio sulla situazione Ucraina se qualche paese remasse contro.
Mosca non vuole Kiev nell’alleanza perché si sente accerchiata, ma potrebbe digerire il rospo se percepisse che sul campo del negoziato post bellico si potesse arrivare a una soluzione che potrebbe far dichiarare Ucraina e Russia entrambi vincitori. La Russia con una giustificazione territoriale oggi non riconosciuta e Kiev con la consapevolezza di una protezione Nato che gli garantirebbe stabilità futura. La Crimea potrebbe tornare a giocare un ruolo cruciale. Così come il più fragile Dombass, dove i confini tra territori controllati da russi e ucraini diventano sempre meno precisi e dai quali potrebbero passare “nuove demarcazioni” di influenza, facilitate se la regione diventasse più autonoma.
Le bombe a grappolo cedute a Kiev sembrano per un attimo aver reso meno urgenti gli F16 per il contrattacco ucraino. Ma se le armi inviate dagli Stati Uniti non risultassero abbastanza efficaci, potrebbero essere proprio questi aerei da combattimento raccolti in giro a determinare il successo di una controffensiva per la liberazione dell’Ucraina, che invece per ora rimane quasi immobile nelle trincee invernali.