Ufficialmente Joe Biden “non intende” parlare con Vladimir Putin al summit del G-20 in programma a Bali il prossimo mese. Eppure, il 15-16 novembre gli occhi del mondo saranno giocoforza tutti concentrati sulla “isola degli Dei” indonesiana.
Per la prima volta dallo scoppio della guerra in Ucraina – a meno di diserzioni dell’ultim’ora – i capi di Stato di USA e Russia siederanno infatti allo stesso tavolo assieme agli altri 18 “big” del mondo (compresa verosimilmente Giorgia Meloni, al suo battesimo di fuoco nei vertici internazionali).
I fotografi dei cinque continenti non aspettano altro che scattare un’istantanea dei due. Uno scatto che ha una ragionevole probabilità di finire sui libri di storia. Come ci è finita la foto, in bianco e nero, raffigurante il presidente statunitense John F. Kennedy e il segretario del PCUS Nikita Chruščëv seduti faccia-a-faccia a Vienna nel 1961, un anno prima che deflagrasse la crisi dei missili di Cuba.
A detta di Biden, mentre si è ormai vicini al “traguardo” degli 8 mesi di invasione militare russa, ora come allora il mondo si trova “sull’orlo della catastrofe nucleare“. L’utilizzo della bomba per antonomasia non è più un tabù. Anzi. Il partito dei “falchi” russi, che comprende tra gli altri il leader ceceno Ramzan Kadyrov e l’ex presidente (ora vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo) Dmitrij Medvedev, è uscito allo scoperto e suggerisce di compiere strikes mirati. La decisione finale, però, spetta solamente all’uomo forte del Cremlino.
Biden lo ha avvertito: “Non penso che (Putin) lo farà. Penso però che è irresponsabile per lui parlarne. (…) Non può continuare a parlare con impunità dell’uso di armi nucleari tattiche come se fosse una cosa razionale da fare”. Nel corso di un’intervista rilasciata alla CNN, l’inquilino della Casa Bianca ha però aggiunto che il Pentagono ha già predisposto un piano d’emergenza, senza però definire linee rosse e modalità di risposta.

Quando la “linea rossa” Mosca-Washington era caldissima a causa della crisi cubana, Biden era ancora uno studente di diritto all’Università di Newark e Putin frequentava le scuole elementari a Leningrado. Allora la miccia fu disinnescata dalla diplomazia e dalla consapevolezza che chiunque avesse colpito per primo (first strike) avrebbe determinato un effetto domino noto in gergo militare come “Distruzione mutua assicurata” (o “MAD”).
Una soluzione diplomatica alla crisi ucraina sembra invece ancora di là da venire. I negoziati (almeno quelli pubblici) si sono bruscamente interrotti a marzo, con il round organizzato ad Ankara dal presidente turco Erdoğan, uno degli attori internazionali maggiormente impegnati nella risoluzione della crisi. Difficile però che le parti torneranno a incontrarsi a breve, dato che lo scorso 30 settembre il leader ucraino Zelenskyy ha firmato un decreto che sancisce “l’impossibilità di intrattenere negoziati con il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin”. Una contromisura politica all’annessione russa di quattro regioni nel nord-est del Paese (Zaporizhzhia, Cherson, Luhansk e Donetsk) e alla presunta disponibilità di Putin a “trattare”.
“Non si decide nulla sull’Ucraina senza che lo decida l’Ucraina”, è la frase ripetuta a mo’ di mantra da Biden, ribadita nella conversazione con la CNN. “Non ho intenzione di negoziare, e nessuno è pronto a farlo, con la Russia sull’Ucraina”. Non è escluso, però, che a Bali Biden e Putin possano incontrarsi per parlare d’altro. “Se (Putin) venisse da me al G-20 e mi dicesse di voler parlare di Griner (la cestista statunitense imprigionata nella regione di Mosca per contrabbando di droga) lo incontrerei”, ha affermato Biden.
Che Washington sia solidamente al fianco dell’Ucraina “per tutto il tempo necessario” lo dimostrano i miliardi di dollari di aiuti riversati a Kyiv. Un’assistenza che però non è incondizionata, come dimostrano parimenti le indiscrezioni trapelate sulla stampa USA, secondo cui funzionari statunitensi avrebbero ammesso la responsabilità degli ucraini nell’omicidio della figlia di Dugin. Forse un caso, ma più probabilmente un segnale a Zelenskyy: Washington è al vostro fianco, ma bisogna evitare un’escalation irrefrenabile. E per farlo sarà necessario parlare con l’uomo forte di Russia.
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