“Gli USA non andranno via dal Medio Oriente“. A prometterlo è stato il presidente Joe Biden, che ha voluto rassicurare gli alleati regionali di Washington sul fatto che “l’ombrello” a stelle e strisce nel Vicino Oriente rimarrà aperto anche nel prossimo futuro.
L’inquilino della Casa Bianca è intervenuto sabato a margine di un vertice tra l’amministrazione statunitense e i Governi del Golfo, a cui hanno partecipato anche i leaders di Iraq, Egitto e Giordania. L’incontro si è tenuto a Gedda, in Arabia Saudita, a poche ore di distanza dal freddo (e assai controverso) faccia a faccia tra Biden e il principe della corona di Riad – nonché leader di fatto del Paese – Mohammed Bin Salman.
“Gli Stati Uniti sono intenzionati a realizzare un futuro migliore per la regione (mediorientale) in collaborazione con tutti voi, e non ce ne andremo via”, ha dichiarato il commander-in-chief statunitense, il quale nelle prossime ore farà ritorno a Washington dopo la sua prima missione ufficiale da presidente in Medio Oriente.
A fare da contraltare alle magniloquenti dichiarazioni di Biden sono però i magri risultati pratici conseguiti nella cinque-giorni di incontri tra Israele, Palestina e Arabia Saudita. La Casa Bianca sperava di portare a casa un risultato a suo modo storico, ossia quello di creare un asse tra Stati arabi e Israele in funzione anti-iraniana. Le premesse, d’altronde, lasciavano ben sperare: nelle stesse ore in cui da Tel Aviv Biden si diceva pronto ad attaccare l’Iran “come ultima opzione“ nel caso in cui Teheran non avesse abbandonato le sue velleità nucleari, la leadership saudita decideva di aprire il proprio spazio aereo a tutti i vettori, compresi quelli israeliani – a lungo impossibilitati a sorvolare i cieli sauditi a causa dei dissidi sull’annosa questione palestinese.
Circostanze e coincidenze che avevano convinto l’entourage di Biden di poter lasciare l’Asia occidentale avendo conseguito ben due obiettivi di politica estera in un solo colpo. In primis, riavvicinare diplomaticamente gli Stati arabi e Israele – entrambi alleati di Washington, ma sulla carta nemici giurati tra di loro. Un rapprochement direttamente collegato al secondo obiettivo, strategico-militare: quello di costituire una mini-NATO del Golfo in funzione anti-iraniana, il che avrebbe permesso alla Casa Bianca di delegare agli attori locali la sicurezza regionale così da poter concentrare le proprie risorse in fronti più caldi (come l’Indo-Pacifico).
Nello specifico, l’idea statunitense era quella di strappare il sì dei Paesi arabi per collegare i lori sistemi di difesa aerea con quelli, tecnologicamente più avanzati, israeliani.
Happening Now: President Biden delivers remarks in Jeddah, Saudi Arabia. https://t.co/ZZIgRPap79
— The White House (@WhiteHouse) July 15, 2022
Al contrario, le dichiarazioni di Biden sembrano come un’ammissione di consapevolezza che, nonostante il regime degli ayatollah (e la sua rete di proxies regionali tra Iraq, Libano e Yemen) sia ad oggi il nemico numero uno tanto dello Stato ebraico quanto della monarchia Saud, la massima proverbiale sul nemico del proprio nemico non sempre si rivela corretta, rendendo la presenza statunitense ancora imprescindibile.
Nel vertice di Gedda non si è parlato però solo di Israele e Iran. A tenere banco è stata anche, indirettamente, la guerra in Ucraina, che ha fatto impennare i prezzi dell’energia e inflitto un durissimo colpo ai rifornimenti alimentari diretti ai Paesi della regione (attualmente fermi nei silos o distrutti nei combattimenti).
Se, in merito al primo punto, non è stato concordato alcun aumento di produzione rispetto a quello (lieve) già programmato dall’OPEC+ per luglio e agosto, per far fronte alla crisi alimentare Biden ha annunciato 1 miliardo di dollari di aiuti per Medio Oriente e Nord Africa. Dal canto loro, invece, gli Stati del Golfo stanzieranno 3 miliardi di dollari nel prossimo biennio nel quadro del maxi-progetto di investimenti infrastrutturali a guida statunitense che mira a sfidare le “Vie della seta” cinesi.