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Il “metodo” Draghi-Europa per la pace in Ucraina

A Washington il premier italiano, dopo l'incontro con Biden, riafferma che gli USA restano la “nazione indispensabile”

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 5 mins read

“Dal presidente Biden abbiamo ricevuto una accoglienza splendida, ha ringraziato l’Italia come partner forte, alleato affidabile, interlocutore credibile, e io l’ho ringraziato per il ruolo di leadership che ha esercitato in questa crisi”.

Così Mario Draghi ha iniziato mercoledì la conferenza stampa tenuta all’Ambasciata d’Italia il giorno dopo l’incontro alla Casa Bianca. Era apparso inusuale che i due leaders non avessero risposto alle domande dei giornalisti dopo un’ora e un quarto di incontro nello Studio Ovale, ma Draghi questa volta non si risparmia.

Il Presidente del Consiglio italiano ha cercato subito di alzare il tono della discussione, dicendo che con Biden ha parlato di come sostenere l’Ucraina e fare pressione su Mosca, ma ha anche aggiunto: “Abbiamo concordato che bisogna cominciare a chiedersi come si costruisce la pace. Il percorso negoziale è molto difficile. Ma resta il primo punto da costruire. Deve essere una pace che vuole l’Ucraina, non una pace imposta… è il presidente Zelensky che deve definire cos’è la vittoria, non noi”.

Mario Draghi con l’Ambasciatrice Mariangela Zappia all’Ambasciata d’Italia a Washington (@ItalyinUS, twitter)

Draghi ci tiene a informare che al centro dei colloqui con Biden c’è stata la crisi delle forniture energetiche, e quindi “l’ipotesi di mettere un tetto al prezzo del gas, accolta con favore anche se l’amministrazione americana sta riflettendo più sul tetto al prezzo del petrolio che non a quello del gas. In ogni caso si è deciso che ne riparleremo presto insieme”.

Secondo il presidente del Consiglio sono due i temi principali: come far finire la guerra in Ucraina e il rapporto dell’Europa con gli USA, che per Draghi non potranno che diventare ancora più stretti.

“La guerra ha cambiato fisionomia”, ha detto il premier italiano. “Inizialmente era una guerra in cui si pensava ci fosse un Golia e un Davide. Oggi il panorama si è completamente capovolto. Certamente non c’è più un Golia, e quella che sembrava una potenza invincibile, la Russia, si è dimostrata sul campo non così invincibile”.

Ma come si arriva alla pace? L’Italia è pronta a fare la sua parte? “All’inizio della guerra, molti dicevano in Parlamento che l’Italia dovesse avere un ruolo e io ho risposto: non è necessario cercare un ruolo, ma la pace – precisa Draghi. “Bisogna che chiunque sia la persona o le persone che vengano coinvolte, e mi auguro che si arrivi presto ad un’iniziativa di questo genere, cerchi la pace e non affermazioni di parte”.

Draghi ci tiene anche a spiegare meglio: “Chi fa questo sforzo deve essere una persona, un Paese, un’istituzione che non va cercando di vincere. Oltretutto, la vittoria se ci si pensa bene non è definita. Per gli ucraini è definita perché significa respingere l’invasione. Ma per gli altri?”.

Quando gli è stato chiesto se questa crisi avesse finalmente convinto l’Europa a dotarsi di una autonomia strategica di difesa comune, Draghi ha risposto con una proposta: “La UE spende più di tre volte di quello che spende la Russia in campo militare, quindi c’è molta duplicazione. La prima cosa da fare è organizzare una conferenza tra tutti gli Stati membri per razionalizzare la spesa militare”.

Mario Draghi durante la conferenza stampa all’Ambasciata (governo.it)

Il presidente del Consiglio ha cercato di smontare la tesi, piuttosto diffusa in Italia, secondo la quale gli USA remino contro l’Unione europea. “L’Europa è l’alleato degli USA – dice il premier –, quindi le sue visioni non sono in contrasto, ma stanno cambiando e dobbiamo parlarne. È una riflessione preventiva, bisogna riflettere sugli obiettivi di questa guerra e poi decidere”.

E per chi avesse ancora dubbi sulle simpatie europee di Biden, Draghi ha aggiunto: “A Biden ho detto che questa guerra produrrà cambiamenti drastici in Europa, e che UE e USA diventeranno ancora più vicine. Gli ho detto: ‘So che lei è un amico dell’Europa e so di poter contare sul suo sostegno’. Lui ha risposto ‘Sì, lo sono sempre stato e il sostegno ci sarà’”. Poi ha ricordato come già al G7 in Cornovaglia, Biden avesse ribadito quanto lui fosse pro-Europa.

Sicuramente Mario Draghi non è d’accordo con chi intende escludere gli USA dall’avere un ruolo nella ricerca della pace: “Tutte le parti devono fare uno sforzo per arrivare a sedersi attorno ad un tavolo, soprattutto Washington e Mosca”. Poi precisa: “Non ho detto che serve un tavolo tra Stati Uniti e Russia, ho detto un tavolo con tutti e l’Ucraina è l’attore principale. Bisogna togliere il sospetto che le parti più deboli, soprattutto gli ucraini, hanno in questo momento, e cioè che si arrivi a una pace imposta. Una pace che magari fa comodo agli USA, all’Europa, alla Russia, ma non è accettabile dagli ucraini. Sarebbe la ricetta per arrivare al disastro. A quel punto la pace non sarebbe credibile, perché i primi a mantenerla dovranno essere gli ucraini e i russi. Altrimenti non ci sarà pace. Ci sarà una finta pace che verrà tradita ogni momento”.

Ma è possibile ancora sedersi allo stesso tavolo con Putin come dovrebbe avvenire al prossimo G20? “Da un lato saremo tutti tentati di non sederci allo stesso tavolo con lui. Dall’altro c’è il fatto che il resto del mondo è intorno a quel tavolo. E alzarsi significa abbandonare il resto del mondo”, risponde Draghi, lasciando intendere che il tema è stato approfondito anche nel colloquio con Biden. “Ma non è soltanto questo – prosegue Draghi. “Di fronte alla necessità di costruire un tavolo di pace, bisogna riflettere. Deve essere una decisione presa da tutti noi europei. Ne parleremo al prossimo Consiglio europeo”.

Per quanto riguarda il futuro, quando le armi taceranno, chi ricostruirà sulle rovine? ”Chiaramente un Paese europeo come l’Italia non ha risorse nel bilancio nazionale per partecipare da solo alla ricostruzione ucraina, quindi occorre che tutta l’Unione europea investa e dia una risposta collettiva. L’Italia farà la sua parte, ma insieme con gli altri”.

A Draghi è stato anche chiesta una valutazione sull’andamento dell’economia e dell’inflazione. L’ex governatore della BCE ha detto che “la FED alza i tassi di interesse per cercare di calmarla, ma l’inflazione USA è diversa da quella in Europa, perché avviene con l’occupazione piena. Il compito delle banche centrali non è facile, devono aumentare i tassi perché altrimenti l’inflazione accelera, e se li aumentano troppo fanno precipitare i Paesi in recessione. Ho visto le dichiarazioni di Lagarde e lei è pienamente consapevole. Per quanto riguarda il nostro Governo ha fatto e continuerà ad attenuare la perdita di potere d’acquisto per i poveri e i giovani”.

Draghi con il presidente degli Stati Uniti d’America, Joseph R. Biden jr, alla Casa Bianca (governo.it)

Ma si rischia la recessione in Italia? “Non vedo una recessione quest’anno. Il motivo è che abbiamo chiuso l’anno scorso molto molto bene, per cui ci portiamo dietro una crescita acquisita”, dice il premier, sottolineando che la situazione economica “è di grande incertezza” ma non si può dire che volgerà “al peggio”.

Forse l’Italia rischia di rimanere senza gas russo per via delle sanzioni? “Sono fiducioso. I pagamenti continueranno, ma per una ragione stupida forse: non c’è nessuna dichiarazione ufficiale che gli stessi pagamenti violino le sanzioni. Siamo in una zona grigia”, aggiunge Draghi. “Il più grande importatore, la Germania, ha già pagato in rubli e la maggior parte degli importatori di gas hanno già aperto conti in rubli”.

Una giornalista del New York Times pone una domanda sui profughi, ma più che degli ucraini, vuol sapere se il Governo italiano stia cercando un contatto col il regime di Bashar Assad per quelli siriani: “Non mi risulta che abbiamo alcun contatto, e per quanto riguarda i profughi siriani noi ne abbiamo pochissimi”. Gli ucraini sono invece circa 120mila. “Abbiamo stanziato risorse per l’accoglienza e i bambini vanno a scuola. Noi li abbiamo accolti a braccia aperte e non vediamo una crisi. Inoltre, molti profughi ucraini vogliono tornare nel loro paese”.

Ma un’altra minaccia segnalata è la crisi alimentare procurata dalla guerra. “Il mancato arrivo del grano ucraino – spiega Draghi – in certi Paesi a rischio, potrebbe provocare nuove ondate di flussi migratori di colpo incontrollabili”.

Allo scoccare dei 40 minuti non sono più consentite altre domande. Così ci avviciniamo al premier italiano che sta per andarsene e gli chiediamo: “Presidente, lei pensa che gli Stati Uniti siano ancora la nazione indispensabile?”. Draghi sente la domanda, ma accennando solo un sorriso, dice: “la conferenza stampa è finita” e comincia ad allontanarsi. L’ambasciatrice Mariangela Zappia a quel punto gli sussurra: “è una domanda de La Voce di New York“. Draghi si ferma, si gira e sorride: “Ah, La Voce di New York”. Allora insistiamo: “Presidente, gli USA sono ancora indispensabili?”. “Sì, sì”, scandisce forte prima di allontanarsi.

La missione lampo a Washington di Draghi si conclude al Congresso, dove la speaker Nancy Pelosi ha organizzato per lui un incontro bipartisan con i leader democratici e repubblicani. In serata, il presidente del Consiglio è stato ospite di una cena di gala all’Atlantic Council, che gli ha conferito il Distinguished Leadership Award per la sua riconosciuta influenza e credibilità internazionale.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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