Raramente, nella storia recente, tanta attenzione era stata concentrata su un unico posto: lunedì occhi e orecchie erano tutti puntati sulla Piazza Rossa di Mosca, dove il presidente russo Vladimir Putin ha presieduto la tradizionale parata del Giorno della Vittoria che commemora la vittoria sovietica contro la Germania nazista.
Quest’anno la sfilata patriottica non si è limitata a mettere in rassegna le forze armate di Mosca, ma anche le intenzioni di Putin sul prosieguo del conflitto in Ucraina. Contrariamente alle attese, non c’è stata nessuna dichiarazione di guerra totale contro Kyiv – si continuerà a preferire la perifrasi “operazione speciale” – né tantomeno un’escalation di toni o avvisaglie di una mobilitazione generale.
Inevitabile, invece, l’analogia putiniana tra i nazisti di ieri (i tedeschi) e i “nazisti” che per la propaganda russa sarebbero attualmente al potere in Ucraina. Il leitmotiv, d’altronde, era già stato inaugurato dallo stesso presidente russo nel definire quella contro Kyiv non una guerra di aggressione bensì un’operazione di “denazificazione“.
Nel suo breve sermone, Putin ha evitato il riferimento alle mosse future, concentrandosi piuttosto sulle giustificazioni che hanno portato all’attacco. “L’aggressione nelle nostre terre storiche della Crimea è stata una minaccia ai nostri confini, inammissibile per noi”, ha detto il leader russo, secondo cui l’aggressione russa “è stata un atto preventivo, una decisione necessaria e assolutamente giusta”.
Non sono mancate le bordate alla NATO (“La Russia è sempre stata favorevole alla creazione di un sistema indivisibile per la sicurezza, ma l’Alleanza non ha voluto ascoltarci”) e all’arcinemico statunitense (“una delegazione di veterani americani della Seconda guerra mondiale avrebbe voluto venire a Mosca per partecipare alle celebrazioni, ma è stato loro vietato”).
Lanciando un messaggio distensivo-monitorio all’Occidente, Putin ha chiosato che “l’orrore di una guerra mondiale non si deve più ripetere”. Parole che si inseriscono in un contesto internazionale bollente, ed ulteriormente riscaladato dall’assai probabile decisione di Finlandia e Svezia di richiedere l’adesione alla NATO a metà maggio. L’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca ha infatti accelerato le mosse di Helsinki e Stoccolma, che fino ad ora avevano gelosamente preservato la loro neutralità militare.
Il Cremlino ha però già messo in guardia le due nazioni scandinave, avvertendo che l’eventuale adesione avrà “gravi conseguenze politiche e militari”. Come se non bastasse, alle minacce sono seguiti avvertimenti concreti, come la violazione dello spazio aereo finlandese da parte di un elicottero di Mosca lo scorso mercoledì.
Da segnalare infine una mancanza di peso nella tribuna d’onore sulla Piazza Rossa: quella del generale Valery Gerasimov, capo di Stato maggiore russo. Secondo fonti ucraine, Gerasimov sarebbe rimasto ferito al fronte da uno strike ucraino, salvo poi essere fatto rientrare in patria.

Nella guerra della propaganda, tuttavia, non è solo Putin a utilizzare la carta del nazismo e della reductio ad Hitlerum. Domenica il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha accusato a sua volta i russi di star emulando il regime nazionalsocialista.
Per Zelensky, quella russa in Ucraina è “una ripetizione fanatica delle idee, azioni, parole e simboli nazisti”, che “segna un nuovo record mondiale di xenofobia, odio, razzismo e numero di vittime che possono causare”, ha detto il capo di Stato di Kyiv in un video su Telegram poche ore prima della parata moscovita.
Laconica invece la reazione americana alle dichiarazioni del Giorno della Vittoria: “Putin ha riconosciuto che non c’è una vittoria da celebrare”, ha detto l’ambasciatrice americana all’Onu, Linda Thomas-Greenfield in un’intervista alla CNN. E sulla possibilità che la Russia venga inserita dall’amministrazione Biden nella lista degli Stati che sponsorizzano il terrorismo, la diplomatica ha detto che “la Russia ci si è messa da sola”.
Al fronte, intanto, prosegue l’intenso assedio russo sul Donbass e sulla città portuale di Mariupol (sul Mar d’Azov). In quest’ultima città, quasi interamente devastata dall’artiglieria di Mosca, l’ultima sacca di resistenza ucraina rimane concentrata nell’acciaieria Azovstal, da dove sono stati evacuati donne, bambini e anziani. Rimane a combattere un manipolo di soldati, che per ora sono riusciti a ritardare il passaggio della città in mani russe. Prendere Mariupol’ consentirebbe a Mosca di saldare geograficamente il Donbass russofono con la Crimea, possibile preludio di un’annessione vera e propria della regione ucraina orientale.
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