Sembra ormai una corsa contro il tempo quella per scongiurare lo scoppio di un conflitto in Ucraina orientale.
Non solo perché gli Stati Uniti e la NATO continuano a ritenere che un’invasione russa sia pressoché imminente, come ripetuto venerdì pomeriggio da Joe Biden. A rendere il clima ancora più pesante si è aggiunta la drammatica escalation militare tra esercito ucraino e secessionisti filo-russi nella regione del Donbass, che dal 2014 è funestata da una sanguinosa guerra civile.
Nel giro di poche ore l’area che separa le forze ucraine dai ribelli è stata interessata da numerose violazioni del cessate il fuoco stabilito nel 2015, provocando la morte di due soldati ucraini. Alcuni colpi di mortaio sarebbero inoltre avvenuti nella porzione di fronte dove si trovavano il ministro degli Interni ucraino Denis Monastyrs’kij e alcuni giornalisti (tutti illesi). Entrambe le fazioni in lotta disconoscono la paternità degli attacchi, riversandola sul proprio avversario.
Nella mattinata di sabato, i presidenti delle auto-proclamate repubbliche popolari di Doneck e Luhans’k hanno disposto la mobilitazione militare per prepararsi a quella che ritengono una “immediata minaccia di aggressione” da parte delle truppe di Kiev. Denis Pušilin, capo della repubblica popolare di Doneck, ha chiesto a “tutti gli uomini nella repubblica che sanno usare un’arma di difendere le proprie famiglie, i propri bambini, le proprie mogli e le proprie madri”.
Sia Pušilin che il suo omologo di Luhans’k, Leonid Pasečnik, da venerdì hanno inoltre iniziato ad evacuare più di 30.000 conterranei, in contemporanea all’aggravarsi della situazione sul campo. Destinazione di macchine e maršrutki partite dal Donbass è la regione russa di Rostov, che per l’occasione ha proclamato lo stato d’emergenza a causa del massiccio afflusso di migranti – come testimoniato dalle lunghe code nelle strade e nelle strutture ricettive.
Tra venerdì e sabato quasi 50.000 ucraini avrebbero compiuto l’esodo attraversando il confine con la Russia, il cui esecutivo è il principale sostenitore politico esterno delle due entità. Molti dei migranti dispongono tra l’altro di un passaporto russo, dato che il Cremlino da circa un paio di anni concede agli abitanti delle due repubbliche un percorso agevolato per acquisire la cittadinanza russa – una mossa che secondo alcuni osservatori potrebbe fornire il pretesto per un intervento di Mosca nel conflitto est-ucraino a difesa di propri connazionali.
A riprova della criticità della situazione e del timore di un susseguente intervento russo, i Governi di Germania e Austria hanno intimato ai loro concittadini di lasciare immediatamente l’Ucraina, mentre la NATO ha deciso di traslocare il suo ufficio di collegamento da Kiev alla città occidentale di Leopoli. Da lunedì, inoltre, la compagnia aerea Lufthansa sospenderà tutti i voli diretti a Kiev e Odessa, città portuale sul Mar Nero vicina alla Russia.

Il Governo di Kiev nega fermamente la tesi dei secessionisti secondo cui sarebbe in programma un attacco ai filo-russi, respingendo di avere alcuna intenzione bellicosa. Al contrario, il presidente Volodymyr Zelens’kyj è intervenuto alla conferenza sulla sicurezza di Monaco per ribadire che “l’Ucraina continuerà a seguire solo la via diplomatica a favore di una soluzione pacifica”.
In Baviera, Zelens’kyj ha parlato per diverse ore con i giornalisti dopo aver incontrato la vice-presidente statunitense Kamala Harris, capo-delegazione statunitense al forum. Il presidente ucraino ha ammesso di “non sapere cosa vuole il presidente della Federazione Russa”, proponendo un incontro con Vladimir Putin in qualsiasi luogo che vada bene al Cremlino.
Nelle risposte di Zelens’kyj non è peraltro mancata qualche frecciatina all’Occidente e a Washington, che ancora deve fornire un programma “chiaro e realizzabile” dell’adesione di Kiev alla NATO (che però è ritenuta da Mosca una linea rossa). Inoltre, a suo avviso gli occidentali devono incrementare gli aiuti militari e finanziari diretti a Kiev poiché l’esercito ucraino sta nei fatti “difendendo tutta l’Europa”, e continuerà a farlo “con o senza i partners” occidentali.

Per la vicepresidente Usa Kamal Harris, il mondo sta attraversando “un momento decisivo della storia”. Come già anticipato dal presidente Biden, anche la sua vice ha avvertito Mosca che Washington non resterà a guardare in caso di attacco: la risposta della Casa Bianca consisterà in dure sanzioni, ossia “costi economici significativi e senza precedenti”.
Harris ha poi suggerito che qualsiasi iniziativa militare russa porterebbe verosimilmente a un incremento della presenza militare NATO nell’est Europa – laddove invece una delle richieste perentorie di Mosca è proprio il ritiro di truppe e armi dell’Alleanza Atlantica dai suoi Paesi confinanti, assieme al divieto d’ingresso di Ucraina e Georgia.
Nei loro colloqui con Harris, le delegazioni dei Paesi baltici – Estonia, Lettonia, Lituania – hanno già esplicitamente richiesto alla Casa Bianca un incremento della truppe Usa sul proprio territorio, ma non è ancora chiaro se Washington abbia assentito.
Nei prossimi giorni sono previsti altri appuntamenti per cercare di smorzare la tensione: domenica il presidente francese Emmanuel Macron telefonerà a Putin, mentre venerdì prossimo il segretario di Stato Antony Blinken incontrerà nuovamente il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov dopo il fiasco dei loro precedenti colloqui a Ginevra a fine gennaio.