Nato a Roma nel 1958, laureato in Giurisprudenza, Fabrizio Ferragni è giornalista professionista dal 1984 ed è da poco stato nominato direttore di Rai Italia, il palinsesto dedicato ai connazionali all’estero. Lo abbiamo incontrato nel suo ufficio di via Teulada a Roma, per farci raccontare come sarà il nuovo corso dei programmi Rai visibili a New York.
Lei ha una lunga storia in Rai, cosa ha imparato in questi anni e come ha visto cambiare il servizio pubblico?
“Il servizio pubblico è cambiato perché è cambiato il mondo della comunicazione. Io vi sto parlando dal centro di produzione Rai, dove nel 1990 fui chiamato dall’allora direttore del TG1 Bruno Vespa come giornalista parlamentare. Adesso la tecnologia ci sta portando a svolgere il nostro lavoro in un modo molto diverso. Io ho iniziato a lavorare all’Avvenire, poi sono stato Vice capo Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri con il Presidente Amintore Fanfani. Ho avuto diversi ruoli in Rai e mi fa piacere che questo altro periodo della mia vita professionale, forse quello conclusivo qui in Rai, sia legato a questo progetto in cui credo molto e che arriva in un momento storico molto importante per l’Italia e per il mondo”.

Guardando alla Rai International del passato, cosa vorrebbe replicare e cosa invece pensa si sia sbagliato?
“Sinceramente non so cosa si sia sbagliato e non mi sembra elegante andarlo a dire. Io, per un certo periodo della mia vita, ho fatto il quirinalista, seguendo Francesco Cossiga e Oscar Luigi Scalfaro. Ho girato il mondo e ho avuto esperienze importanti. Con Cossiga a Marcinelle, dove ci fu la strage dei nostri minatori italiani in Belgio, andammo a incontrare la comunità quando ancora aveva il lutto fresco. Mi è capitato con Scalfaro di andare a Buenos Aires e incontrare migliaia di italiani, talmente tanti che sembrava di essere rimasti in Italia. Fummo poi il primo viaggio di stato a Sarajevo dalla fine delle ostilità. Mia mamma lasciò la Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale per scappare in Italia dal regime comunista. Quindi io l’italianità ce l’ho dentro. Durante questi viaggi, ogni tanto sentivo qualche critica sul fatto di poter avere sempre, da parte della Rai, un’informazione di qualità. Dal 2016 al 2019 sono stato Direttore delle relazioni internazionali, quindi ho avuto modo di capire le esigenze e le mancanze che avevamo e abbiamo ancora. Proprio su questo abbiamo costruito il progetto, per dare un’offerta che possa essere il più possibile all’altezza delle aspettative dei nostri connazionali all’estero. Dobbiamo informarli in modo corretto, perché gli italiani all’estero eleggono anche i parlamentari. Abbiamo deciso di mettere insieme tutta l’offerta estero, anche quella in lingua inglese, per dare solidità a quelle che sono le radici linguistiche e che si devono preservare. Gli italiani devono essere consapevoli dell’informazione che ricevono. Per quanto riguarda invece gli stranieri, vogliamo usare la nostra piattaforma in lingua inglese per attirare visitatori e investitori economici”.

Rai International può essere anche un modo per avvicinare alla cultura italiana molti americani che amano il nostro paese e ne sono incuriositi. In questo senso c’è la volontà di investire su programmi che possano catturare l’attenzione degli stranieri interessati a noi?
“Rai Italia attualmente ha uno zoccolo duro che si chiama The best of, quindi il meglio dei prodotti e dei programmi che vogliamo innervare con un migliaio di ore (buona parte sottotitolate in inglese) per poter andare a fondo sulla salvaguardia delle nostre radici. Faccio il nome di qualche programma: Italian Genius, in cui raccontiamo i nostri italiani nel mondo. Italianism, dove vogliamo raccontare le eccellenze italiane. Unesco 58, perchè l’Italia è un pilastro con 58 siti Unesco patrimonio dell’umanità, un numero che non ha nessun altro Paese al mondo. Vogliamo fare una rassegna stampa quotidiana sia in inglese che in italiano. Stiamo facendo una trasmissione che si chiama L’Italia con voi, che vogliamo trasformare in un vero e proprio “sportello Italia” attraverso il quale dare informazioni utili ai nostri connazionali all’estero. Vogliamo raccontare lo sport e anche se il calcio viene meno abbiamo un altro tipo di offerta che andremo a sostituire. Metteremo un corso di italiano e ci impegneremo per raccontare le nostre ricchezze con prodotti di eccellenza, come ad esempio Meraviglie di Alberto Angela, che verranno sottotitolati in inglese. Lavoreremo sulla stand up comedy e daremo spazio anche ai cammini d’Italia. Un’offerta molto ampia, per andare a intercettare la richiesta di informazione contemporanea degli italiani all’estero”.

Che tipo di riscontro hanno i programmi di Rai Italia e quanto sono importanti per gli italiani all’estero?
“Noi stiamo lavorando con il marketing per fare profilazioni approfondite con gli italiani all’estero. Anche il fatto di voler andare a trasmettere sul web ci consentirà di avere i dati. Uno dei nostri obiettivi è andare verso una differenziazione dei palinsesti, non soltanto su base oraria a seconda della parte del mondo in cui si vede la trasmissione, ma anche sulla base di contenuti. Parliamo del Nord America? Magari lì c’è più interesse per il food, quindi possiamo rinforzare quel settore. Vogliamo comunicare anche a seconda della parte del mondo in cui andiamo”.
Ci può dare qualche dato sugli spettatori di Rai Italia? Quale zona del mondo segue di più i suoi programmi? Negli Stati Uniti come sono i numeri?
“I numeri complessivi sono una platea di circa 25 milioni di famiglie nel mondo, per un numero complessivo di 80/100 milioni di pubblico potenziale. Gli Stati Uniti sono importanti, perché sono il primo partner commerciale dal punto di vista dell’export. Una cosa che questa offerta integrata Rai Italia e Rai in lingua inglese vuole fare è un racconto dell’Italia di sistema, un soft power che possa sostenere i nostri connazionali all’estero e il nostro Paese”.
La Rai lo scorso anno ha perso i diritti internazionali per trasmettere la Serie A. C’è la possibilità che in futuro gli italiani all’estero tornino a vedere il calcio italiano?
“Sicuramente è un augurio, ma quanto possa concretizzarsi non lo so, quindi non penso sia utile fare promesse che poi non abbiano delle basi concrete. I costi dei diritti sportivi legati al calcio hanno raggiunto livelli non sostenibili per un’azienda di servizio pubblico. Vogliamo sopperire a questa mancanza, per cui stiamo lavorando mettendo ad esempio 100 ore di volley, di ciclismo e di altri sport. Noi attualmente non abbiamo nemmeno i diritti per gli highlights e questa non è una scelta di Rai, ma di mercato, resa necessaria dall’asta che c’è stata dei diritti sportivi”.

I partiti in Rai hanno fatto sempre il bello e il cattivo tempo, come se la Rai fosse di loro proprietà: Rai Italia quanto è soggetta alle “sensibilità” partitiche nella scelta dei programmi?
“Sinceramente non sto percependo questo tipo di pressioni. Sto invece percependo una sana collaborazione di sistema con tutte le istituzioni, dalla Presidenza del Consiglio, alla Farnesina, al ministero della cultura, del turismo, dello sviluppo economico, alle regioni. Sto sentendo una volontà comune di fare sistema Italia e remiamo tutti dalla stessa parte, quindi non credo ci siano minimamente problemi”.
In quanto nuovo Direttore, quali sono i suoi obiettivi per la rete?
“L’obiettivo può essere uno: io vorrei che si sia in grado di fare un prodotto di livello all’altezza degli altri broadcaster stranieri che trasmettono all’estero, pur senza avere la loro potenza di fuoco. Deve essere un prodotto che arrivi nelle case dei connazionali all’estero e li faccia sentire orgogliosi di essere italiani e che possa interessare tutti gli amanti del nostro Paese, comprese le persone che hanno a cuore conoscere l’Italia. Vogliamo essere ambasciatori del nostro Paese, per dare la vera rappresentazione del cuore dell’Italia”.