A sei giorni esatti dalla prima votazione per eleggere il prossimo Presidente della Repubblica, tutto quello che sta accadendo, soprattutto nel centro destra, sembra essere più materia di studio per psicanalisti e psicologi che per politologi.
Provate a prendere i fotogrammi degli avvenimenti uno per uno. Il centro destra, che non è composto solo dai tre partiti Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, ma può contare su sigle e siglette nate da scissioni e desideri di essere un leader anche se in formato mignon, oggi potrebbe davvero porre le basi per suggerire la scelta di un uomo o di una donna proveniente da un mondo conservatore ma in grado di rappresentare l’Italia nella sua interezza e senza scontentare la vasta platea progressista.
E invece che cosa fanno i vertici dei tre partiti che formano l’ossatura del centro destra? Piegano la testa davanti ai desideri del vecchio capo di Forza Italia, Silvio Berlusconi che a 85 anni si è messo in testa di poter traslocare al Quirinale. E si fanno riprendere all’uscita da inutili vertici nella casa romana di Berlusconi per affermare ecco questo è il nostro candidato, siamo tutti uniti e lui, il vecchio Silvio, sta lavorando per trovare i voti che mancano.
Salvo poi tornare a casa e cominciare a lavorare per smontare quello che hanno appena detto a Berlusconi, ovvero ti voteremo compatti. Ecco allora che a 6 giorni dalla prima votazione, il leader della Lega Matteo Salvini annuncia che quando Berlusconi avrà fatto le sue riflessioni sui voti che potrebbe raccogliere la sua auto candidatura, lui è pronto a mettere sul tavolo dei nomi in grado di rappresentare il centro destra e trovare consensi anche nell’altro schieramento. Sembra di rivedere il Matteo Salvini dell’estate del 2019, quando al culmine dei favori di ogni sondaggio, dalle sdraio dello stabilimento balneare Papeete inanellò una serie di mosse suicide che lo portarono fuori dal governo e regalarono all’alleata rivale Giorgia Meloni la possibilità di riaprire la corsa per la leadership nel centro destra.
Quali nomi farà Salvini? Lui dice aspettate qualche giorno, ma poi lascia circolare le ipotesi Letizia Moratti, vice presidente della Regione Lombardia e donna d’affari di successo, Marcello Pera, ex ideologo di Forza Italia ed ex presidente del Senato, e Maria Elisabetta Casellati, decana di Forza Italia e oggi presidente del Senato. Nomi che possono unire schieramenti diversi? Provate a cercare una risposta e difficilmente otterrete una maggioranza importante di consensi sulla garanzia che possano essere super partes una volta al Quirinale.

Dunque a 6 giorni dal voto il centro destra sembra ancora prigioniero dei capricci del suo fondatore che non si è reso ancora pienamente conto che il suo ego rischia di affondare l’alleanza dei conservatori, dell’agitarsi inutile di Salvini e della immobilità intellettuale della leader di Fratelli d’Italia.
Dall’altra parte dell’emiciclo parlamentare le cose non sembrano migliori. Il desiderio di una parte del Partito Democratico e del suo segretario Enrico Letta di lasciare al suo posto, sia pure a tempo, Sergio Mattarella si sono infrante contro il no grazie del Presidente in carica e contro il logorio delle correnti del Pd. In più, una politica che parte dall’idea non di trovare chi possa succedere a Mattarella ed esercitare la funzione con lo stesso equilibrio di chi sta per lasciare la carica, offre una fotografia misera sullo stato della classe dirigente del Paese. Dice, scusate ma non abbiamo tra di noi un uomo o una donna che abbia almeno le qualità dimostrate da Sergio Mattarella.

Così, anche la seconda idea del segretario Pd di sedersi intorno al tavolo con gli altri partiti, a cominciare dalla Lega, e cercare un nome comune (idea ovviamente colpita e affondata dall’ego berlusconiano) non ha potuto trovare i consensi necessari ad affermarsi. Se poi si aggiungono i desideri di alcuni capi corrente pd che sognano di sfilare davanti ai corazzieri o il ritorno sulla scena di ex leader che vorrebbero mettere a segno vendette private e che mai sono stati modello di unità, l’ipotesi di avere una elezione modello Carlo Azeglio Ciampi resta un miraggio.
In questa partita, non giocano nessun ruolo i 5 Stelle. Giuseppe Conte non è andato oltre al desiderio di vedere al Quirinale una donna. Colpa sua? Forse solo in parte. Lui è alla guida di un partito che teoricamente è maggioranza relativa nel Parlamento, ma che in realtà è balcanizzato in gruppi e gruppetti di nessun peso politico, che vive alla giornata e che alla prima prova di maturità istituzionale e capacità di capire quali siano le necessità del Paese e non le proprie di gruppo o di singoli individui nono ha raggiunto il voto della sufficienza.

(foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)
Tutto questa situazione potrebbe favorire la elezione di Mario Draghi come la via di uscita che scontenta il meno possibile. E potrebbe essere la scelta giusta. A patto che i partiti, tutti, trovino un accordo di ferro su chi dovrà essere il presidente del consiglio che succede a Draghi e la formula di governo e gli impegni da attuare per arrivare alla scadenza naturale della legislatura (primavera 2023) senza arrecare danni al Paese e ai suoi cittadini. E senza perdere l’occasione, che mai più si ripresenterà, del Pnrr e della possibilità di far crescere l’Italia insieme all’Europa.