Da 11 mesi la morte di un innocente, un grande innocente, è ancora avvolta nell’ombra del mistero più fitto. La morte è quella di Luca Attanasio nato a Saronno il 23 maggio del 1977 ed ambasciatore in Congo dal 5 settembre 2017 ucciso per le ferite riportate nell’agguato presso il villaggio di Kibumba. Questo giovane e promettentissimo diplomatico italiano dal 2006 al 2010 aveva lavorato presso la nostra ambasciata a Berna come capo dell’ufficio economico e commerciale. Dal 2010 al 2013 era stato Console generale di Casablanca; poi nel 2013, aveva ottenuto l’incarico di capo della segreteria della Direzione generale per la mondializzazione e le questioni globali presso la Farnesina. Nel 2015 era diventato primo consigliere ad Abuja in Nigeria. Il 5 settembre 2017, a soli 40 anni, si era insediato come capo missione a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, alla cui guida venne riconfermato nell’ottobre 2019 come ambasciatore straordinario e plenipotenziario. La sua vita è costellata di diversi riconoscimenti fra cui nel 2020 il Premio internazionale Nassiriya e, l’anno dopo, il premio ISPI 2021.
La mattina del 22 febbraio 2021 Attanasio guidava un convoglio del WFP (World Food Programme), il diplomatico italiano e la sua scorta stavano visitando ufficialmente una zona a Nord del Congo e precisamente la regione del Kivu. Il programma prevedeva sia l’incontro con i pochi italiani colà residenti e sia seguire alcuni programmi di aiuti alla popolazione locale. Improvvisamente diversi uomini hanno iniziato a sparare a raffica contro le due auto della spedizione che, come bandiera lascia passare, avevano sulle fiancate i simboli delle Nazioni Unite. L’autista congolese Mustapha Milambo morì sul colpo, Luca Attanasio, ferito gravemente, morì nel tragico trasporto all’ospedale di Goma. Vittorio Iacovacci, un giovane carabiniere addetto alla sua scorta, morì poco dopo nel disperato tentativo di proteggere l’ambasciatore.

Di questa amara e tragica vicenda se ne parlò molto in quei primi giorni poi, come spesso capita nel Bel Paese, un silenzio assordante. I fatti che si sono succeduti a quel maledetto evento sono stati anche ridicoli come quello del governo di Kinshasa e il governatore del Kivu del Nord i quali, dichiararono di essere all’oscuro del viaggio di Luca Attanasio, successivamente documenti ufficiali li hanno clamorosamente smentiti. Senza dimenticare l’indagine della Procura di Roma che cerca, da lontano e con i soliti riti della magistratura italiana, di venire a capo di un crimine che richiederebbe, invece, l’invio sul posto dell’intelligence per cercare di arrivare a dipanare l’intricata matassa per giungere alla verità.

Le auto del Wfp si dirigevano verso alcuni villaggi per distribuire del cibo a popolazioni affamate, ma a loro non erano state assegnate auto blindate e non c’era di fatto una vera scorta armata, un elemento considerato insolito vista l’estrema pericolosità di quell’area. Nonostante ciò, l’Agenzia dell’Onu aveva fatto sapere che “la strada da Goma era considerata sicura” la loro valutazione fu che la strada fosse sicura e che non fosse necessaria nessuna scorta armata o veicolo blindato. Le autorità locali hanno fatto sapere di aver fermato alcuni sospettati nell’ambito delle indagini sull’attentato di Kibumba. Poche settimane dopo la morte di Attanasio fu ucciso anche un magistrato militare che stava indagando sull’agguato, in un’imboscata sulla stessa strada che da Rutshuru porta a Goma.
Sono tre, al momento, le indagini che in contemporanea cercano di fare luce sull’agguato: una la porta avanti il Dipartimento per la sicurezza delle Nazioni Unite, un’altra dalle autorità italiane e l’ultima della Repubblica democratica del Congo. “Dobbiamo mettere tutti gli elementi in fila. Abbiamo la collaborazione dei servizi italiani e stiamo lavorando duramente”, ha assicurato il presidente Tshisekedi ma, ad oggi, ben poco è emerso.

Al momento si persegue il reato “delle omesse cautele” per il quale risulta indagato il responsabile della sicurezza del Programma alimentare mondiale Mansour Rwagaza si deve, però, constatare che l’organizzazione continua ad opporre l’immunità diplomatica dei suoi funzionari alle richieste avanzate dalla procura di Roma. Anzi, risulta che tutti i funzionari implicati nella vicenda siano stati nel frattempo trasferiti lontano da Goma. Un atteggiamento incomprensibile per il padre del giovane ambasciatore.
Oltre all’ostruzionismo del Pam, anche il governo congolese non ha finora fornito le autorizzazioni necessarie a un nuovo viaggio dei Ros. In questi casi bisognerebbe adottare il motto di Sandro Pertini: “a brigante, brigante e mezzo” ovvero se l’UE vincolasse i fondi alla collaborazione del Pam nelle indagini, potremmo ottenere dei risultati.