Con la consegna delle chiavi della cancelleria da parte di Angela Merkel, alle 3 del pomeriggio berlinese di oggi, si è chiuso lo scarno ed essenziale rito dell’inizio del cancellierato del socialdemocratico Olaf Scholz, 63 anni e mezzo, figlio di operai tessili, di professione giuslavorista, già vice cancelliere e ministro delle finanze nell’uscente governo di Grosse Koalition, come Merkel nato fuori dal circuito geopolitico della Germania di Bonn (in Bassa Sassonia), ma cresciuto nella tradizionalmente socialdemocratica città libera di Amburgo, dove ha iniziato la carriera politica.
Al mattino aveva ricevuto il sì del Bundestag (736 membri), con 395 voti, 26 più della maggioranza necessaria (369) e 21 meno del pieno dei 416 voti che i tre partiti della coalizione (Spd, Verdi e Liberali) esprimono. I 21 voti mancanti vanno registrati, ma non costituiscono un dato che autorizzi a maliziose interpretazioni. Angela Merkel non si ritrovò cinquanta voti, e a nessuno passò in mente di dire che il suo cancellierato sarebbe stato instabile o sotto scacco. Detto questo, è risaputo che non tutti, nei tre partiti, abbiano guardato con entusiasmo al nascere del governo semaforo (rosso socialdemocratico, giallo liberale, verde Die Grünen), il che spiega anche perché nella proposta di programma di governo elaborata dai tre partiti nei due mesi di trattativa, e approvata dai rispettivi iscritti, vi siano zone dove le affermazioni e gli impegni siano meno marcati, sino, talvolta, a risultare assenti.

Uno di questi riguarda l’attivazione di Nord Stream 2, il gasdotto di 1.200 chilometri costato 9 miliardi di euro che parte dalla Russia, la cui autorizzazione ad operare è stata sospesa a metà novembre, contribuendo, tra i vari effetti, a innalzare i costi energetici degli europei. L’agenzia federale tedesca per l’energia elettrica e per le comunicazioni, forte di una norma voluta dall’Unione Europea che prevede la separazione tra fornitore e gestore, ha spiegato che l’azienda chiamata a gestire l’operatività del gasdotto in Germania, per operare, deve organizzarsi secondo il diritto tedesco, con buona pace dei tubi già posati sui fondali del Baltico destinati a raddoppiare il flusso di gas che arriva in Germania direttamente dalla Russia. Piccolo dettaglio: i termini per l’attivazione scadono a gennaio 2022: per quella data vanno trasferiti alla nuova società controllata beni essenziali e risorse umane necessari a ottenere l’approvazione dell’ente germanico.
A parte la scadenza burocratica di gennaio, il processo di attivazione, a questo punto, si allunga. All’approvazione tedesca, seguirà l’esame della Commissione Europea che potrebbe prendere sino a quattro mesi. Solo dopo, l’autorità tedesca sarà chiamata a produrre la certificazione finale, per la quale si prevedono un paio di mesi di procedure.
Ed è qui che entra in ballo il nuovo governo e la non presa di posizione del suo programma sul Nord Stream 2. Lo stallo attuale è di natura amministrativa, ma ci sono agguerrite organizzazioni ambientaliste (fiancheggiatrici o parte dei Verdi), come Deutsche Umwelthilfe traducibile come “Aiuto Ambientale”, che, contro il gasdotto, stanno combattendo battaglie legali e di strada. Inevitabile che il ritardo rinfocoli i contrasti tra socialdemocratici (favorevoli al gasdotto) e Verdi, e, paradossalmente anche più rilevanti per la stabilità del governo, quelli mai sopiti all’interno del partito dei Verdi (il sì all’accordo di governo è stato espresso dall’86% dei votanti, ma ha votato solo il 57% dei 125.000 militanti iscritti). Il partito, infatti, non considera il gas una fonte di energia compatibile con la transizione alla neutralità dal carbonio.

Per capire dove il dibattito potrà andarsi a collocare, tra primavera ed estate, si tenga presente che tutti i ministri con portafogli riguardanti economia ed emergenza climatica-ambientale (Robert Habeck e Steffi Lemke) sono del partito dei Grünen, mentre le responsabilità di finanze, trasporti e giustizia appartengono ai liberali (nell’ordine Christian Lindner, Marco Buschmann e Volker Dissing. I liberali, da sempre vicini agli interessi delle grandi industrie dell’energia, in quei ministeri chiave si faranno sentire.
Si aggiunga che il gasdotto, per la Germania di Scholz, è anche una questione chiave di politica estera. Si parta da due dati di fatto inevitabilmente conflittuali: gli Stati Uniti si oppongono da sempre al Nord Stream 2, considerando la cancellazione di quel contratto come un necessario uppercut da rifilare alle politiche ricattatorie che Putin sta conducendo verso i paesi di frontiera, in particolare Ucraina e Georgia. La Germania tiene moltissimo ai tradizionali rapporti commerciali ed economici con la Russia post sovietica: ogni tentativo di guastare il solido rapporto tra Berlino e Mosca è stato sinora rintuzzato, persino in occasione della recente crisi dei migranti alla frontiera tra Bielorussia e Polonia, la cui regia nessuno ha dubitato si trovasse al Cremlino. Ha inoltre bisogno di quel gas, per calmare la fame di energia, tanto più nella fase di progressiva dismissione di lignite e antracite entro il 2038.
Il profilo basso di politica estera adottato da Angela Merkel, consentiva di tenere il piede nelle due staffe dell’atlantismo e del buon vicinato. Difficile che questo sia possibile al governo semaforo, anche per le ragioni che di seguito si richiamano.
La politica estera è, nella piattaforma tripartita, strategica, e dovrebbe segnare la differenza tra la Germania di Scholz e quella di Merkel. Tra gli altri impegni assunti nel programma tripartito, si stabilisce che la coalizione lavorerà alla costruzione dell’Europa federale, impegnandosi sin d’ora su un passaggio chiave: la fiscalità comune. Si sottolinea l’impegno in favore dei diritti umani e dello sviluppo di politiche anticicliche rispetto a clima e ambiente. Si evidenziano situazioni come quelle di Ucraina e Bielorussia per significare una più decisa presenza tedesca a tutela delle popolazioni vicine, giù sottoposte al dominio russo. Si tratta di politiche che, se saranno portate davvero in agenda, non potranno non mutare il rapporto tradizionale con la Russia, mettendo di fatto Berlino (e l’Ue) in linea con Washington sulla linea di maggiore fermezza di fronte allo spauracchio russo.

Il ragionamento verrebbe a valere anche per la Cina, verso la quale il documento programmatico non usa parole tenere, in quanto a diritti umani e scorrettezze commerciali. Agli Esteri è stata assegnata la verde Annalena Baerbock, prima donna tedesca a ricoprire l’incarico, un curriculum di politica e militante molto tosto, proveniente dal Brandeburgo, un territorio che con la Russia ha un rapporto tormentato. Forse in serata, alla fine della prima riunione di gabinetto, una sua dichiarazione potrà far capire come Baerbock vorrà muoversi, ma le anticipazioni da lei date in anni di leadership dei verdi (si pensi al favore per l’ulteriore ampliamento della Nato ad est e la creazione di Forze Armate Ue, insieme a quello per la denuclearizzazione della Germania e per Israele) confermano che proprio sulla politica europea ed estera (oltre ad alcune misure sociali come il salario minimo orario a 12 euro, rilancio della costruzione di case popolari, sostegno pubblico ai costi sulle bollette domestiche dell’elettricità derivanti dalle rinnovabili, età di voto attivo a 16 anni, mitigazione delle restrizioni alla cannabis; e misure climatico-ambientali come l’impegno ad avere l’80% di energia elettrica dalle rinnovabili entro il 2030) si avranno le maggiori novità dal nuovo governo.
In quest’ambito c’è un punto che è stato poco messo in evidenza dai dibattiti in corso sul nuovo governo, Con Scholz al cancellierato, si rafforza la pattuglia dei governi socialisti e socialdemocratici nell’Unione Europea, presenti in particolare nella parte occidentale (Spagna e Portogallo) e nel nord (Svezia, Danimarca, Finlandia). I loro partiti hanno esponenti nella Commissione e in posti di responsabilità del Parlamento Europeo. Il cancellierato della Spd darà un significativo apporto alla loro azione concordata, che potrebbe avere ripercussioni nell’est dell’Europa, dove è forte l’influenza della repubblica Federale, ma meno forte quella del socialismo democratico, anche per l’istintiva (ed errata) associazione che molti elettori fanno con l’unico socialismo che la maggior parte di loro ha conosciuto, quello totalitario espresso dall’Unione Sovietica. Se, anche attraverso la meritevole azione della fondazione Ebert, di orientamento socialdemocratico, la formazione delle élite politiche in paesi come Ungheria e Polonia, potesse subire un riorientamento, si tratterebbe di un risultato non secondario della nuova cancelleria, che andrebbe a vantaggio della stabilità europea e dell’avanzamento del progetto di unione pacifica dei popoli del vecchio continente.
Un paio di sensazioni da condividere.
La prima riguarda la scelta di Olaf Scholz nella formula del giuramento: come d’obbligo ha giurato di fare l’interesse del popolo tedesco e di essere fedele alla basic law che regge la Germania, ma ha omesso la formula, usuale ma non obbligata, che chiede aiuto a Dio per l’adempimento della missione di governo. Abituati a sedici anni di stile democristiano alla cancelleria, molti credenti avranno reagito male alla scelta. Al tempo stesso avranno probabilmente riconosciuto la coerenza e la serietà di un personaggio pubblico, mal disposto a compromessi con le proprie idee e alla strizzatina d’occhio a poteri non previsti dall’ordinamento costituzionale vigente. La laicità di un cancelliere, in un paese storicamente dilaniato da conflitti tra cristiani e che oggi ospita svariati milioni di musulmani, può essere un bene per tutti, paradossalmente innanzitutto per le religioni, tutelate nei comportamenti e garantite nei diritti dalle leggi vigenti e dall’agnosticismo del governante di turno.

La seconda riguarda l’invidiabile record di stabilità della democrazia tedesca, al nono governo in più di settant’anni di esistenza.