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Sirhan Sirhan libero? Che porti alla verità su chi volle la morte di RFK, MLK e JFK

Lo strano dibattito sul palestinese che ha trascorso 53 anni in galera per la morte di Robert F. Kennedy: chi volle interromperne la corsa per la presidenza USA?

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Sirhan Sirhan libero? Che porti alla verità su chi volle la morte di RFK, MLK e JFK

Sirhan Sirhan during his "parole hearing", in his San Diego prison. Sirhan Sirhan durante il "parole hearing", venerdì 27 agosto, 2021, nella prigione dove è detenuto a San Diego. (Foto California Department of Corrections and Rehabilitation)

Time: 6 mins read

Alcuni giorni fa, una Commissione sulla libertà vigilata della California ha raccomandato la concessione del “parole” a Sirhan Sirhan, il palestinese che oggi ha 76 anni e che il 5 giugno del 1968, secondo la sentenza di un processo, avrebbe ucciso il senatore Robert F. Kennedy jr. all’interno dell’Ambassador Hotel di Los Angeles. RFK, fratello del presidente ucciso a Dallas 5 anni prima e a sua volta già ministro della Giustizia nell’amministrazione Kennedy, si trovava in quell’albergo di Los Angeles per festeggiare l’appena avvenuta vittoria nelle primarie democratiche della California, che lo avevano lanciato verso la probabile nomination del Partito per le elezioni alla presidenza degli Stati Uniti dopo la rinuncia alla rielezione del presidente Lyndon Johnson.  Invece, dopo aver finito il comizio, a Bob Kennedy fu indicato quel corridoio che portava alle cucine per raggiungere una sala dove avrebbe dovuto tenere una conferenza stampa, ma apparve improvvisamente a pochi metri dal senatore uno spiritato giovane che riuscì a sparare diversi colpi di pistola verso RFK prima di essere sopraffatto.

5 giugno 1968: il senatore Robert Kennedy agonizzante dopo essere stato colpito all’Ambassador Hotel di Los Angeles

Per oltre mezzo  secolo di Sirhan Sirhan sui giornali americani si è scritto a sprazzi, con titoli su più colonne solo quando il figlio di profughi palestinesi ha cercato di uscire di prigione (era stato condannato a morte ma poi la Corte Suprema aveva abolito per un periodo la pena capitale e la sua sentenza fu convertita con il carcere a vita col diritto di “parole”). Ogni volta la sua richiesta veniva negata (ben 15 volte!) con la motivazione che seppur avesse tenuto una buona condotta in prigione, Sirhan continuava a ripetere di “non ricordare” l’accaduto, come se volesse ancora sostenere che non fu lui a uccidere RFK. Insomma continuava a non riconoscere la gravità delle sue responsabilità.

Sirhan Sirhan poco dopo l’arresto

Ora invece la “parole” per la prima volta è stata considerata possibile da questa prima commissione. Ci vorranno altri 120 giorni per un altra Commissione vistare o bocciare questa prima decisione favorevole e alla fine l’ultima parola spetterà al governatore della California che potrebbe ribaltare qualunque verdetto.

Nei giornali americani in questi giorni sta crescendo l’attenzione per la sorte di Sirhan ma più per il fatto che i figli del senatore Kennedy ucciso 53 anni fa, appaiono ora divisi sull’opportunità di concedere o meno la libertà condizionale all’unico condannato per l’assassinio del padre. Sei degli otto figli di RFK hanno infatti rilasciato una dichiarazione in cui dopo aver detto che Sirhan “Ha portato via nostro padre dalla nostra famiglia e dall’America… Non riusciamo a credere che quest’uomo possa ora essere raccomandato per la liberazione”. A firmare Joseph P. Kennedy II, Courtney Kennedy, Kerry Kennedy, Christopher G. Kennedy, Maxwell T. Kennedy e Rory Kennedy. Anche sul New York Times è apparso recentemente un intervento della figlia più piccola di RFK, la documentarista Rory Kennedy, che ha elencato le sue ragioni per non liberare Sirhan.

Invece altri due figli maschi di RFK, Douglas e Robert F. Kennedy Jr.,  si sono schierati per la liberazione di Sirhan, dopo averne raccontato la commozione provata durante il loro incontro.

Robert Kennedy stringe le mani dei suoi sostenitori (Culturadar).

Quello che sembra, almeno finora, non esser stato preso con serietà nel dibattito in corso, è come Sirhan in realtà non si sia addossato la morte del senatore. Anche in questo suo ultimo incontro con la commissione ha detto: “Sen. Kennedy was the hope of the world … and I harmed all of them and it pains me to experience that, the knowledge for such a horrible deed, if I did in fact do that,” ha detto Sirhan, davanti ad una telecamera della prigione di San Diego dove attualmente è ancora dietro le sbarre. Compreso? “Se infatti avessi commesso questo…”. Già, lo stesso Sirhan continua a spargere il sospetto che in realtà non possa essere lui l’assassino di RFK.

Ecco è qui semmai che si dovrebbe sviluppare il dibattito sui media – che forse si è già insinuato tra i figli di RFK  – su una domanda alla quale la condanna di Sirhan – come l’accusa a Oswald per JFK – non ha dato mai una convincente risposta: il movente del delitto. Già perché sia JFK che RFK, con tutti i nemici potenti che avevano, dovevano essere uccisi da due ragazzi con dei moventi alquanto traballanti? Davvero con tutti i nemici presenti nella vita di RFK, potesse essere la questione israelo-palestinese che lo aveva soltanto sfiorato quella capace di togliergli la vita?

La possibilità che Sirhan Sirhan possa essere rilasciato, dovrebbe far discutere più su chi avesse avuto l’assoluta necessità e l’urgenza di fermare Robert Kennedy ormai lanciato verso la presidenza in quell’estate del 1968. Probabilmente gli stessi che vollero morto appena due mesi prima Martin Luther King. Probabilmente gli stessi che vollero morto JFK a Dallas nel 1963. A meno che si voglia continuare a credere che tre pazzi “isolati”  sparano e uccidono tre dei maggiori leader americani degli anni Sessanta nel giro di 5 anni?

Che in America si possa continuare a voler far credere la storia che prima il presidente JFK sia stato ucciso da un ventenne “mattarello” che avrebbe organizzato tutto da solo il delitto del Ventesimo secolo per poi a sua volta essere ucciso da un certo Jack Ruby – nel libro paga della mafia da anni –  mentre,  nelle mani della polizia di Dallas, continuava a negare ogni addebito ripetendo “I ‘m just a patsy”.  Credere che anche MLK venga ucciso solo dall’avanzo di galera James Earl Ray che chissà perché spara al leader del movimento civile a Memphis dopo averlo seguito per un po’… Cosa sarebbe successo se, invece di insabbiare tutto, il capo dell’FBI Hoover avesse dato seguito all’informativa che rivelava che tre mesi prima di sparare a Martin Luther King, James Earl Ray soggiornò in un motel di New Orleans per incontrare alcuni membri della mafia locale, tutti legati al capo di tutti i capi Carlos Marcello?

Carlos Marcello, nel 1959, viene interrogato da una Commissione del Congresso che indaga sulla mafia. A metterlo sotto torchio sono John and Robert Kennedy
Carlos Marcello, nel 1959, viene interrogato da una Commissione del Congresso che indaga sulla mafia. A metterlo sotto torchio sono John and Robert Kennedy

Così dovremmo ancora credere alla storia che un altro ventenne, riesca ad uccidere da solo il senatore fratello del presidente ucciso, sparando all’impazzata ma, stranamente, con una pistola che può contenere solo 8 degli almeno 12 colpi sparati in quel maledetto corridoio dell’Ambassador Hotel di Los Angeles? Già, ci furono più feriti, buchi nelle pareti provocati da pallottole e  suoni di spari nelle registrazioni ascoltate, di quelli che  Sirhan avrebbe potuto sparare con la sua calibro 22. Il dettaglio più importante poi: il colpo mortale che ucciderà dopo ore di agonia RFK entra da dietro la testa, appena sotto l’orecchio, mentre Sirhan, come videro decine di testimoni, gli spara da una distanza e una angolazione completamente diversa. Allora chi sparò quel colpo mortale a Robert Kennedy? Come mai non fu aperta una vera e propria indagine su quella guardia del corpo assunta dall’albergo e arrivata all’ultimo momento per scortare RFK, di nome Thane Cesar, che al momento dell’apparizione di Sirhan molti testimoni videro già con la pistola impugnata mentre stava proprio accanto al senatore che poi colpito, sempre secondo alcune testimonianze, si girò verso quella guardia del corpo afferrandola per la gola prima di cadere a terra?

Illustration by Antonio Giambanco for VNY

Nei giornali americani invece si dibatte su l’ostilità di alcuni figli del senatore Kennedy alla libertà per Sirhan, e non si discute mai, per esempio, che da giovane quel figlio di profughi palestinesi lavorasse in un ippodromo i cui proprietari erano al servizio del capo mafia di Los Angeles, Mickey Cohen, grande amico e socio in affari del boss di New Orleans Carlos Marcello…

Almeno, per il cinquantenario della morte di RFK, si videro dei documentari che hanno cercato di scavare la verità (Qui sopra l’ottimo di Al Jazeera). L’uscita, se mai avverrà, di Sirhan Sirhan vivo di prigione dovrebbe scatenare molto più nell’opinione pubblica americana di quello letto finora. Dovrebbe portare un raggio di luce su quegli anni ancora troppo bui della storia americana.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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