1) Le donne afgane: sono loro che hanno sempre pagato, e che pagheranno il prezzo più gravoso; i loro figli ci malediranno e ci odieranno, più di quanto ci maledicono e ci odino i loro padri.
2) Un film, una storia già visti. Come (ma sono in pochi a ricordarlo), in Vietnam, quando si lasciarono soli, abbandonati, traditi (e ancora perseguitati) i Montagnard, colpevoli di essere cristiani; e come sono stati lasciati soli, abbandonati, traditi, per almeno due volte i Curdi. Si dica e si pensi quel che si vuole per quel che riguarda l’intervento in Afghanistan, ma quella massa di profughi, quei tanti delitti perpetrati in questi giorni dai Talebani, ripugnano e provocano vergogna. Tanto più che il mondo “civile” appare indifferente, e volta la testa, chiude gli occhi, non fiata.
3) L’11 settembre 2001 la strage alle Twin Towers di New York, l’aereo che si schianta sul Pentagono, l’altro che puntava forse sulla Casa Bianca o sulla sede del Congresso: la rivolta degli passeggeri sventa i piani dei terroristi, l’areo si schianta in un campo del Somerset Country in Pennsylvania. Il presidente di allora, George W. Bush avvia l’operazione “Enduring Freedom”. Washington raduna quella che viene definita la “coalizione dei volenterosi”: sette paesi a fianco degli Usa, altri 18 a sostegno: obiettivo, stanare il mandante degli attentati, Osama bin Laden, e sottrarre l’Afghanistan ai talebani che ne hanno fatto la base logistica della rete del terrore. Il 14 aprile scorso, vent’anni dall’inizio della missione, il presidente Usa Joe Biden annuncia il completo ritiro delle truppe dal paese; in coerenza e continuità con gli annunciati disimpegni di Barack Obama (in Libia), e Donald Trump (in Siria e Libia). Senza troppi giri di parole: è il fallimento della politica “Esportare la democrazia”.

4) L’Afghanistan torna nelle mani dei Talebani. In pochi giorni buona parte del paese cade nelle mani dei fondamentalisti islamici; la “Washington Post” rivela che accreditate fonti militari Usa si attendono la caduta di Kabul entro 90 giorni, forse anche prima.
5) Perché accade? Il governo centrale afgano è debole, le varie tribù non lo hanno mai veramente riconosciuto e ritenuto interlocutore credibile e valido. Non solo più della metà dei distretti in cui è divisa l’amministrazione afgana è in mano agli fondamentalisti islamici. Il paese è ostaggio di interessi di grandi e medie potenze: Turchia, Cina, Russia, India e Pakistan.
6) Ankara in particolare (e con la Turchia i paesi dell’Unione Europea) è preoccupata per l’annunciata nuova crisi migratoria (oltre 300mila afgani fuggiti negli ultimi otto mesi, gli sfollati interni sono almeno 3,5 milioni); anche Pechino teme che il caos afgano possa innescare un’altra crisi, interna: animata dai separatisti uiguri. Non solo: la Cina è interessata ai diritti estrattivi del sottosuolo (potenziale stimato in tre trilioni di dollari). La Russia teme che il vicino Tagikistan possa essere destabilizzato da infiltrazioni jihadiste; l’India coltiva grandi progetti in Afghanistan: coinvolta nella realizzazione di 150 progetti su suolo afgano, in particolare la costruzione della diga Shahtoot per acqua potabile (236 mln di dollari). Teme che il Pakistan possa profittare della crisi per contrastare questi ciclopici progetti. Gli investimenti indiani, non a caso, sono stati oggetto di numerosi attacchi dei Talebani. Sullo sfondo il progetto TAPI: il gasdotto in costruzione che dovrebbe attraversare Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan e India, sostenuto da Washington. I Talebani hanno garantito che il progetto non verrà contrastato. Ma come fidarsi?
7) Il presidente Biden conferma: “Nessun rimpianto“. Il ritiro è stato deciso, si farà. I talebani riconquistano una città dietro l’altra e controllano più del 60 per cento del paese, la loro avanzata appare inarrestabile, dove arrivano seminano morte e violenza? Peccato. Pazienza. Biden dice: “Abbiamo speso più di mille miliardi di dollari in vent’anni di guerra, abbiamo formato e rifornito con un equipaggiamento moderno 300 mila soldati afghani, devono ora combattere per loro stessi“. Il portavoce del Pentagono John Kirby, è sulla stessa linea d’onda: “E’ il loro paese che devono difendere adesso, è la loro lotta“. Il senatore democratico Ben Cardin, componente della commissione Relazioni internazionali, parla con il segretario di Stato Tony Blinken delle conseguenze del ritiro; alla fine del colloquio dichiara: “Non c’è alcuna chance” che Biden cambi la sua strategia in Afghanistan, le truppe americane lasceranno il paese entro il 31 agosto come stabilito.

8) Perché la Casa Bianca non rivede i piani, si rende conto di quello che accade? La risposta sono una serie di sondaggi secondo i quali la maggioranza degli americani è a favore del ritiro.
Si annuncia dunque, ed è già in corso, una sorta di horror show che vanifica vent’anni di guerra; si annuncia, ed è già in corso, una spaventosa, enorme crisi umanitaria; sarà tutto a vantaggio dell’estremismo islamico; e a pagare non saranno solo gli afgani. I cittadini americani non sono tenuti a rendersene conto. Biden sì; e con lui i leader delle cancellerie occidentali.
9) Kabul stessa a breve può cadere sotto il controllo dei talebani (mentre scriviamo sono a circa 50 chilometri dalla capitale). L’offensiva contro il governo centrale era stata prevista; non questa rapidissima, fulminea avanzata, che sorprende tutti per la facilità con cui gli insorti conquistano, uno dopo l’altro, i centri nevralgici. E si susseguono notizie di violenze atroci e brutalità, si moltiplica il numero degli afghani in fuga, degli sfollati: dove pensate che cercheranno di approdare? In Irak, in Turchia, in Europa…
10) L’epilogo della missione “Enduring Freedom” rischia di essere disastroso, e non solo per l’Afghanistan di nuovo martoriato da un feroce integralismo islamico. Quasi certamente si ricreeranno le condizioni per lo sviluppo sull’intero territorio di attività illecite: traffici clandestini, migrazioni forzate, santuari per il terrorismo internazionale.
11) Novembre del 1982. L’allora presidente cinese Deng Xiaoping dice: “I problemi in Afghanistan sono di importanza strategica globale. Cina e Afghanistan hanno un confine comune. Pertanto, l’Afghanistan rappresenta una minaccia che potrebbe circondare, anche geograficamente, la Cina”. Di acqua sotto i ponti, sia quelli afgani che quelli cinesi, ne è passata. Gli interessi sono sempre gli stessi. L’attenzione verso l’area afgana, immutata. La massiccia offensiva dei talebani nelle ultime ore, riporta di attualità il ruolo di Pechino negli equilibri geopolitici dell’Asia centrale. I talebani ormai hanno raggiunto il confine montuoso con la Cina, dominando la provincia di Badakhshan. Uno dei capi negoziatori dei talebani, il mullah Abdul Ghani Baradar, ha incontrato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi a Tianjin. Il ministero degli Esteri cinese fa sapere che “Il ritiro precipitoso delle truppe statunitensi e della NATO dall’Afghanistan segna in realtà il fallimento della politica statunitense nei confronti di quel Paese”. Il capo della diplomazia di Pechino sottolinea che “i talebani afghani sono un’importante forza militare e politica in Afghanistan e si prevede che svolgano un ruolo importante nel processo di pace, riconciliazione e ricostruzione del Paese”. Il mullah Baradar assicura alla Cina che i talebani afghani “non avrebbero mai permesso a nessuna forza di utilizzare il territorio afghano per compiere atti dannosi per la Cina”. Annunci che fanno pensare a un nuovo “idillio” tra Pechino e gli estremisti islamici. E’ un fatto che la Cina cerca di trovare un modo per prevenire l’instabilità ambientale e la minaccia terroristica che potrebbe diffondersi nel suo territorio attraverso l’Afghanistan: un’aspirazione che Pechino non vorrebbe attuare attraverso un’azione militare, ben consapevole che tutti gli attori che sono intervenuti militarmente fino ad oggi in Afghanistan hanno fallito, consentendo al Paese di guadagnarsi la reputazione di “cimitero degli imperi”.
12) Pechino punta sull’economia e la prosperità della regione; per questo cerca di sviluppare relazioni commerciali con i talebani e avviare progetti infrastrutturali: così pur aumentando la sua influenza, eviterà i rischi di un’operazione militare. Pechino vuole realizzare in Afghanistan qualcosa di simile al Corridoio Economico Cina-Pakistan, così da garantire i propri rilevanti interessi nel Paese e garantire la sicurezza di una sperata “tappa afgana” dell’attraversamento est-ovest utile allo sviluppo del grande progetto della Nuova Via della Seta. La stabilità dell’Afghanistan per Pechino è la chiave principale per il successo dei progetti di infrastrutture energetiche e di trasporto nelle regioni economiche dell’Asia meridionale e centrale.
13) Pechino vuole investire in Afghanistan soprattutto nelle risorse sotterranee e nel potenziale idroelettrico; il portavoce dei talebani Süheyl Şahin non nasconde che i talebani sono pronti ad accogliere con favore gli investimenti della Cina in Afghanistan. Con la sua Belt and Road Initiative (BRI), Pechino è pronta a entrare nell’Afghanistan post-americano. Secondo i rapporti di intelligence più credibili, le autorità di Kabul intensificano il loro impegno con la Cina per l’estensione del Corridoio economico Cina-Pakistan da 62 miliardi di dollari (CPEC), il progetto di punta della BRI. Progetto che prevede la costruzione di autostrade, ferrovie e condutture energetiche tra Pakistan e Cina, fino all’Afghanistan.

14) La Cina intende collegare l’Asia con l’Africa e l’Europa tramite reti terrestri e marittime che coprono 60 paesi come parte della sua strategia BRI. La strategia non solo promuove la connettività interregionale, ma aumenterebbe anche l’influenza globale della Cina al costo stratosferico di 4 trilioni di dollari. Grazie alla sua posizione, l’Afghanistan può fornire alla Cina una base strategica per diffondere la sua influenza in tutto il mondo, situato com’è in una posizione ideale per fungere da hub commerciale che collega il Medio Oriente, l’Asia centrale e l’Europa. Appare chiaro che, per realizzare i suoi ambiziosi piani economici, Pechino ha bisogno di pace e stabilità nella Regione, e in particolare proprio in Afghanistan. Xi Jinping ha enunciato questa strategia fin dal 2014. Alla “Conference on Cooperation and Confidence-Building Measures in Asia”, ha detto: “I problemi dell’Asia dovrebbero essere risolti dagli asiatici in ultima istanza e la sicurezza dell’Asia dovrebbe essere garantita da asiatici”.
15) Washington e l’Occidente, come le stelle di Cronin, stanno a guardare.