Dal 17 Maggio, nel Mar Mediterraneo, al largo delle coste tunisine, sono in corso le esercitazioni navali multilaterali nordafricane di Phoenix Express 2021, un “evento” giunto ormai alla 16esima edizione (lo scorso anno le esercitazioni non si tennero a causa della pandemia). All’esercitazione, che si protrarrà fino al 28 Maggio, partecipano navi militari e forze armate di diversi paesi (tra i quali Francia, Algeria, Marocco, Mauritania, Stati Uniti d’America, Italia, Spagna, Belgio, Regno Unito, Grecia e Malta). A parlarne è stato il Comando delle forze armate USA per l’Africa (Africom): “Esercitazioni come Phoenix Express 2021 aumentano l’interoperabilità tra le nazioni partecipanti al fine di aumentare la sicurezza marittima e sostenere il commercio globale”, ha affermato il capitano Harry Knight, direttore delle esercitazioni di Phoenix Express. “Le nostre esercitazioni marittime ci consentono di sviluppare le nostre capacità con i nostri partner regionali imparando gli uni dagli altri e lavorando insieme”.
È dal 2005, che le forze armate di questi paesi si addestrano nel Mar Mediterraneo per migliorare la “sicurezza marittima”. Una sicurezza e una preparazione che, di certo, non riguardano né migranti né rifugiati. Secondo gli ultimi dati presentati dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), solo nel 2018, almeno 2.400 migranti hanno perso la vita cercando di entrare in Europa.

Per l’Ong Open Arms, “il Mar Mediterraneo è la più grande fossa comune del pianeta”. Una fossa aperta dove si continuano ad ammucchiare cadaveri nella più totale indifferenza generale. Un posto dove “vengono sistematicamente violati i diritti umani e dove le milizie, nascondendosi dietro il nome dei guardacoste libici, perpetrano immediati respingimenti”. Dove “le mafie ammucchiano le persone che tentano di fuggire su imbarcazioni molto precarie che possono arrivare a trasportare tra 150 e 700 persone e che dispongono di quantità di combustibile insufficienti a giungere in un porto sicuro”.
E questo senza che nessun governo, nessuna forza militare nazionale o internazionale, nessuna autorità sovranazionale sia riuscita a fare nulla. Proprio nei giorni scorsi, mentre le navi da guerra delle marine di tre continenti gironzolavano al largo delle coste tunisine, si è verificata l’ennesima strage di migranti: un barcone carico di almeno 50 migranti (tra i quali donne e bambini) è naufragato al largo di Sfax, in Tunisia. Secondo l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, solo 33 delle persone a bordo, tutte originarie del Bangladesh, sarebbero sopravvissute. Un caso tutt’altro che isolato: il giorno prima un altro naufragio era stato denunciato da Alarm Phone. “I pescatori libici hanno soccorso 62 persone in pericolo, ma ci sono decine di dispersi” tra quanti si trovavano su una barca carica di migranti provenienti anche loro dal Bangladesh.

Di tutto questo, durante l’esercitazione non si è parlato. Le navi hanno continuato a muoversi come se nulla fosse, con i vari corpi armati concentrati nell’addestramento delle unità d’élite e delle forze speciali destinate, sulla carta, a combattere attività illecite in mare e sviluppare le capacità dei militari attraverso lo scambio di competenze, intensificando gli sforzi per promuovere la “sicurezza” e la “protezione” nel Mar Mediterraneo e nelle acque territoriali delle nazioni nordafricane partecipanti.
Sicurezza e protezione di chi e da chi? Questa zona di mare è tutt’altro che sicura. E non da ora ma da molti anni. Ma a rendere tale questa zona del Mar Mediterraneo, spesso, non sono i pirati: sono i paesi stessi che vi si affacciano. Tra contenziosi sulle acque territoriali (come quello tra Italia e Francia che ha portato qualche anno fa al sequestro di un peschereccio battente bandiera italiana da parte della marina francese), competenze territoriali (si pensi alla mai risolta questione libica e al ruolo di Malta nel Mar Mediterraneo), queste acque appaiono sempre meno sicure. Lo dimostra la vicenda del peschereccio italiano “Michele Giacalone”, speronato e abbordato al largo delle coste libiche il 3 Maggio scorso (e il suo comandante ferito nel conflitto a fuoco). Ad attaccare l’imbarcazione battente bandiera tricolore non sono stati i pirati. Né i migranti. Sono state le milizie libiche. A cosa sono servite le lodi e gli apprezzamenti del premier Draghi durante la sua missione in Libia solo poche settimane fa? E a cosa servono le esercitazioni che, da tanti anni si ripetono al largo delle coste dei paesi del nord-Africa? Ma soprattutto: a cosa serve tutto questo se poi l’Unione Europea non è in grado di gestire le proprie frontiere?
Nei giorni scorsi, durante la sua visita in Vaticano, la presidente della Commissione Europea, la Von der Leyen, ha parlato di nuove politiche per la gestione dei flussi migratori. Ancora una volta parole dietro le quali si cela una realtà ben diversa: nel Nuovo Patto per le Migrazioni e l’Asilo, adottato alla fine dello scorso anno dai paesi dell’Unione, l’accordo che dovrebbe sostituire i mai definitivi accordi di Dublino, di tutte queste belle parole non c’è traccia. É vero, vi si leggono frasi come “gestione efficace ed equa delle frontiere esterne”, “norme di asilo eque ed efficienti (ma volte a snellire le procedure in materia di asilo e rimpatrio”, “lungimiranza, preparazione e risposta alle crisi più forti” o “approccio efficiente e coordinato dall’UE ai rimpatri”. Ma alla fine il contenuto generale della norma è completamente diverso. Di accoglienza dei migranti non si parla. Al contrario si prevede di rafforzare le frontiere e di favorire i respingimenti e i rimpatri.
L’Unione Europea (e gli altri paesi che si “esercitano” nel Mar Mediterraneo) non hanno capito che le migrazioni non sono una “emergenza” che nascondono una realtà completamente diversa. Una realtà che non è un’“emergenza” come ripetono da anni i governi europei, ma una situazione fisiologica e continua. La naturale conseguenza delle politiche adottate per decenni, anzi per secoli, in Africa e in tutti i paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo.

Parlando della missione Phoenix Express 2021, il Ministero della Difesa tunisino ha rilasciato un comunicato, nel quale ha assicurato che, di fronte alla situazione sanitaria nel Paese, “è stato elaborato un protocollo sanitario per prevenire la diffusione del coronavirus e preservare la sicurezza dei partecipanti”. Nemmeno una parola, invece, per gli oltre mille minori non accompagnati provenienti dalla Tunisia che dopo avere attraversato il Mar Mediterraneo sono approdati in Italia (e di decine e decine si sono perse le tracce).
Fanno riflettere le parole di Oscar Camps, di Open Arms sul comportamento ipocrita dell’Europa: “I governi europei, e anche molta informazione, dicono spesso che queste persone sono morte. In realtà, sono state fatte morire. Non si tratta di incidenti o di disgrazie imprevedibili”. “Queste tragedie si ripetono sotto lo sguardo delle autorità nel Mediterraneo”.
Sotto lo sguardo di governi, autorità e forze armate di tanti paesi “sviluppati” e “umanitari” che da anni preferiscono fingere di non vedere i corpi di uomini, donne e bambini morti in mare e che la marea riporta sulle bianche spiagge di Zuwara, in Libia, uno dei punti di partenza delle traversate nel Mar Mediterraneo.