Che aria tira, lo si capisce dalla premessa del giudice: prima di leggere la sentenza, col piglio severo di chi non ammette replica o deroga, ammonisce i presenti di “non reagire”; le “reazioni” non saranno ammesse e tollerate. La tensione è alle stelle, e si capisce: la sentenza con cui l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy viene condannato a tre anni di carcere è qualcosa di storico; con conseguenze che non riguardano il solo condannato. I tre anni a Sarkozy (in realtà uno; due cadono con la condizionale), per corruzione e traffico di influenze, sono un’onta che probabilmente metteranno fuori dalla corsa per l’Eliseo il partito dell’ex presidente: quei Repubblicani, sempre più allo sbando; condannati, a poco più di un anno dalle elezioni presidenziali, a giocare un ruolo più che marginale. Un destino che li accomuna a quella “gauche” che un tempo ormai sideralmente lontano il socialista François Mitterrand aveva portato al trionfo.
Ormai, gli “attori” politici, in Francia, sembrano essere solo il tecnocrate Emmanuel Macron, leader de “La République En Marche”; e Marine Le Pen, a capo di quel “Rassemblement National”, che ha ereditato dal padre Jean-Marie: una destra che nulla ha a che spartire con il conservatorismo illuminato e austero di un Charles De Gaulle e con i suoi successori: il sornione Georges Pompidou; l’aristocratico Valéry Giscard d’Estaing; e neppure con l’astuto Jacques Chirac, un tempo mentore di Sarkozy, e che con lui condivide il “primato” di essere stato condannato (a due anni con la condizionale, Chirac; uno scandalo sugli impieghi fittizi legato al suo incarico di sindaco di Parigi).
Nel caso di Sarkozy, la situazione è differente. Potrebbe essere una sorta di pochade ideata da Georges Feydeau o da Tristan Bernard. Titolo: il politico, l’avvocato, il magistrato. A sfogliare gli atti processuali, tra l’ex presidente, il suo avvocato Thierry Herzog e l’ex magistrato Gilbert Azibert si salda un “patto di corruzione” che risale al 2014; gli investigatori vi inciampano per caso, indagano su un’altra faccenda che vede sempre implicato Sarkozy: il presunto finanziamento ricevuto dal colonnello libico Muammar Gheddafi. Vicenda che risale al 2007: durante la campagna elettorale che lo porta all’Eliseo, Sarkozy avrebbe ricevuto denaro non dichiarato proveniente dalla Libia. Da qui l’accusa di “associazione per delinquere”.
In breve: si scopre che Sarkozy dispone di un’utenza telefonica intestata a tale Paul Bismuth: è un compagno di scuola di Herzog, uno schermo; su quella linea comunicano solo Sarkozy e l’avvocato, che fa da tramite con il magistrato, Azibert: all’epoca dei fatti magistrato alla Corte di Cassazione. I tre parlano con leggerezza, confidano sull’impunità che lo status comporta, del cosiddetto caso Liliane Bettencourt: una miliardaria al centro di un complicato e vorticoso giro di finanziamenti illeciti. Sarkozy vuole avere informazioni che sono coperte da segreto isttruttorio. Da quelle conversazioni, secondo gli inquirenti, tra l’altro si desume che Sarkozy esercita pressioni su Azibert, promettendogli una promozione a Montecarlo. Per inciso: promessa non mantenuta.
Come si difende Sarkozy? I suoi legali parlano di “deserto di prove”; di inconsistenza dell’impianto accusatorio. “Non ho mai commesso nessuna corruzione” ripete Sarkozy. Sostiene di essere vittima di “infamie. Avete davanti a voi un uomo di cui sono state ascoltate più di 3.700 conversazioni private. I miei figli. Mia moglie. Il mio medico. I miei amici politici. Il mio avvocato. Alcune intercettazioni sono state diffuse in aula prima della mia testimonianza”. In sostanza: il processo sulle intercettazioni è una rivalsa per il suo impegno politico.
La replica del procuratore è altrettanto dura: “Non è una vendetta…Come tutte le persone nel nostro paese un ex capo di Stato ha diritti che devono essere rispettati ma ha anche l’imperativo dovere di rispettare egli stesso la legge, perché è proprio questo lo stato di diritto“.
Si vedrà, l’appello, è stato già annunciato. Il risvolto concreto, e politico, è che attorno all’ex presidente ora c’è terra bruciata. Fino a qualche giorno fa si ipotizzava un suo possibile ritorno alla politica attiva. Ora tutto è diventato molto più problematico. “È un sogno, ma non è vietato sognare”, sospira il senatore Pierre Charon, che fa parte del primo cerchio sarkoziano. Eric Ciotti, figura di spicco del partito, parla di “speranza”. La verità è che i Repubblicani sono sempre più schiacciati tra il “Rassemblement National” di Marine Le Pen, che negli ultimi tempi si sta spostando verso il centro; e Macron, che di sinistra non ha mai avuto nulla.
La ricerca di possibili candidati credibili per l’Eliseo, si sta facendo spasmodica, per i Repubblicani; al punto che più di uno pensa alla presidente dell’Ile-de-France, Valerie Pécresse, o al presidente della regione dell’Hauts-de-France, Xavier Bertrand. Il paradosso è che entrambi hanno lasciato il partito, pur dichiarando che lo sostengono. I Repubblicani francesi insomma non hanno un personaggio da opporre a Le Pen e Macron.
Fino al giorno prima della condanna Sarkozy sembrava il leader capace di assicurare la riscossa: le sue dure posizioni sull’immigrazione e contro l’islamismo ne facevano il campione ideale per un “centro” impaurito e frastornato. Sarkozy inoltre ha duramente criticato la strategia messa in atto dal governo Macron sulla campagna di vaccinazione contro il coronavirus. Una “marcia” per la riconquista dell’Eliseo pregiudicata da questa condanna.
Non è l’unica “tegola”: il 17 marzo, un altro “appuntamento” con la giustizia, il “processo Bygmalion”: riguarda le spese per la campagna elettorale del 2012. Secondo l’accusa, un vorticoso giro di fatture false ha fatto delle fatture false emesse dalla Bygmalion, società che ha curato la campagna elettorale di Sarkozy; servivano a nascondere lo sforamento del limite di spesa di 22,5 milioni di euro imposto dalla legge francese. Alcuni dipendenti della società hanno ammesso l’esistenza di questo stratagemma, e diversi membri del partito di Sarkozy, sono già sotto inchiesta.
Giustizia che non si arresta ai santuari del potere, o che deflagra al momento “giusto”? Un fatto è sicuro: le ripercussioni politiche che la condanna, giusta o sbagliata che sia, comporta. Di fatto la messa in fuori gioco di un personaggio che forse aveva ancora qualche carta da giocare.
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