In Texas da quattro giorni fa più freddo che non in Alaska. Temperature polari in uno stato dove normalmente neve e freddo sono cose “yankee”, cose che appartengono al Nord. Era dal 1889 che non faceva così freddo. E lo stato, e la struttura dello Stato non ci sono abituati e, soprattutto, non sono attrezzati.
Non è che il freddo di per sé sia così problematico, ma tutte le conseguenze causate dal freddo lo sono. Con la neve prima e con il gelo poi, a causa del peso sono cadute le line elettriche che, nonostante gli anni trascorsi sono rimaste quelle penzolanti da un palo della luce all’atro come all’inizio del 900. Con pochissime eccezioni tutta la rete elettrica degli Stati Uniti è esposta. I cavi sotterranei non si usano. Poi le centrali elettriche, visto che non fa mai così freddo, sono all’aperto. Riparate a malapena da qualche tettoia e quando la temperatura è scesa a 20 gradi sottozero i motori delle turbine per la produzione dell’energia elettrica con il raffreddamento ad acqua, si sono rotti. Senza elettricità, quindi senza riscaldamento nelle case perché i termostati non funzionano, i tubi dell’acqua nelle abitazioni sono esplosi. I serbatoi idrici si sono congelati.
Le pompe di benzina senza corrente elettrica non erogano il carburante. Gli sportelli automatici delle banche sono bloccati. Supermercati chiusi. Ovviamente non in tutto il Texas, uno stato grande quanto l’Europa continentale, con circa 30 milioni di abitanti di cui il 70 per cento della popolazione vive in quattro città: Dallas-Fort Worth, Houston Metropolitan, Austin e San Antonio. Uno stato con 129 contee, composte da migliaia di paesini tra cui il minuscolo villaggio di Guerra in cui abitano 6 persone. Senza luce, senza riscaldamento con le tubature rotte, milioni di texani non sanno dove rifugiarsi. Per fortuna la situazione va leggermente migliorando e il grande gelo sta salendo vero il nord. Ma i danni sono fatti. Ci sono stati più di 20 morti negli ultimi giorni, poche le persone decedute per il freddo, molte di più quelle morte per le esalazioni di monossido di carbonio sia per aver dormito in auto con il motore acceso, sia per aver acceso improvvisati falò dentro le case.

In tutto questo marasma il senatore texano Ted Cruz, il repubblicano amico-nemico di Donald Trump, è stato beccato mercoledì dalle malefiche foto fatte con i perfidi cellulari mentre all’aeroporto di Houston si imbarcava su un volo per Cancun in Messico. Come le foto sono apparse prima su Facebook e Instagram, poi sui network all news all day, sono piovute le critiche. “In uno dei momenti più neri del nostro Stato – scrive il Dallas Morning News – il senatore se ne va in vacanza”. E come tutti i politici quando vengono pescati dopo una marachella, si è scusato affermando una idiozia, dicendo che non è che stava andando in vacanza, ma ad accompagnare le figlie che, vittime del coronavirus, con le scuole chiuse a casa si annoiavano. Incredibile anche il fatto che il senatore si sia prestato a fare decine di foto all’aeroporto e in aereo, con i suoi simpatizzanti.
Ovviamente la sua “scappatella” è diventata una questione politica. Per ovviare alle critiche il senatore ha fatto ritorno a Houston oggi, ma nelle foto scattate alla partenza si vede mentre con il suo trolley bello gonfio si avvicina al banco dell’accettazione. Una valigia troppo grande per una sola notte. La politica ci entra perché il senatore è tra i parlamentari più intransigenti del partito. Contro tutto e contro tutti. Così quando il senatore che si vanta di non avere peli sulla lingua, viene pescato a fare una scorrettezza il suo atteggiamento viene pesantemente criticato.
Cruz è contro lo stimolo economico, contro la riforma dell’immigrazione, contro il rilascio dei bambini messi nei centri lager separati dai genitori che clandestinamente sono entrati negli Stati Uniti, contro il DACA, la norma che permette ai “dreamers”, i giovani illegalmente portati dai genitori negli Stati Uniti quando erano bambini, per i quali l’ex presidente Obama aveva creato uno status speciale che permetteva loro di uscire dalla clandestinità, andare a scuola e nei college. Disposizione che Donald Trump ha ridimensionato con l’intento di abrogarla in un secondo mandato presidenziale.

A questo proposito oggi la portavoce di Joe Biden ha annunciato la presentazione al Congresso di una legge sulla riforma dell’immigrazione. Nuove disposizioni che offriranno la regolarizzazione immigratoria in un periodo di otto anni per milioni di immigrati clandestini e dei “dreamers”. I democratici hanno la maggioranza sia al Senato che alla Camera, ma molti democratici degli Stati del Sud non vedono, o perlomeno rappresentano circoscrizioni elettorali che non vedono di buon occhio la regolarizzazione immigratoria per milioni di illegali. Così la riforma diventa più problematica per Biden che già ha i suoi problemi per far passare lo stimolo economico da 3 mila miliardi di dollari mentre combatte la guerra del coronavirus. Per sottolineare l’impegno del presidente la portavoce della Casa Bianca ha detto che Biden si impegnerà anche con i leader del G7 a stanziare 4 miliardi di dollari per il programma di vaccinazione globale contro il Covid, sottolineando che la guerra a questa malattia deve essere internazionale come lo è stata la diffusione del coronavirus, un morbo che non conosce frontier.