Ci hanno messo 83 anni, ma alla fine i Savoia si sono resi conto di aver sbagliato.
Lo hanno fatto sapere attraverso Emanuele Filiberto, nipote del Re Vittorio Emanuele III, che nel 1938 firmò le leggi razziali del governo fascista contro gli ebrei. Lo fece a malincuore, o almeno così racconta Galeazzo Ciano, Ministro degli esteri durante il regime. “Trovo il Duce indignato col Re – scrive Ciano nel suo diario – Per tre volte, durante il colloquio di stamane, il Re ha detto al Duce che prova un’infinita pietà per gli ebrei. Il Duce ha detto che in Italia vi sono 20000 persone con la schiena debole che si commuovono sulla sorte degli ebrei. il Re ha detto che è tra quelli”.

Il fatto storico, a ben vedere, assolve in parte il sovrano dalla colpa. Le leggi razziali vennero votate alla Camera e al Senato ad ampia maggioranza e ricevettero il consenso anche di parlamentari come De Gasperi, che diventò poi, a capo del CNL, un grande oppositore dell’ideologia fascista. Con Mussolini al governo, e per volontà dello Statuto Albertino, il Re non poteva far altro che firmare ciò che il Parlamento decideva di approvare. A causa di quei provvedimenti, quasi 8.000 ebrei italiani furono deportati dal Paese e uccisi nei campi di sterminio nazisti. La maggior parte di loro ad Auschwitz.
Comunque, obbligato o meno, il Re quel documento lo appoggiò e divenne, a posteriori, una macchia che ne infangò l’intera reputazione. Ora, avvicinandoci alla Giornata della Memoria (27 gennaio), Emanuele Filiberto decide di esporsi in prima persona e lo fa inviando un messaggio alla Comunità Ebraica Italiana.
“Vi scrivo a cuore aperto una lettera certamente non facile, che può stupirvi e che forse non vi aspettavate”. Nelle parole dell’erede dei Savoia traspare una sincera volontà di redenzione. Aggrappandosi al ricordo delle vittime, chiede “ufficialmente e solennemente perdono a nome di tutta la mia Famiglia. Ho deciso di fare questo passo, per me doveroso, perché la memoria di quanto accaduto resti viva, perché il ricordo sia sempre presente”.
Dice di sentire sulle spalle tutto il peso di quell’inchiostro versato dal Re per siglare le leggi razziale e di non riconoscersi, né lui né il resto della famiglia, “in ciò che fece Re Vittorio Emanuele III: una firma sofferta, dalla quale ci dissociamo fermamente, un documento inaccettabile, un’ombra indelebile, una ferita ancora aperta per l’Italia intera. Condanno le leggi razziali nel ricordo del mio glorioso avo Re Carlo Alberto, che il 29 marzo 1848 fu tra i primi Sovrani d’Europa a dare agli italiani ebrei la piena uguaglianza di diritti”.
In effetti, a ben guardare, la promulgazione delle leggi del 1938 non si addice per nulla al comportamento tenuto negli anni precedenti dalla casa reale nei confronti della comunità ebrea presente in Italia. Come ricordato da Emanuele Filiberto, oltre all’azione di Carlo Alberto, lo stesso Vittorio Emanuele III, nel 1902, si disse favorevole alla nascita dello stato ebraico, creando due anni più tardi la Sinagoga di Roma.

“Anche la mia Casa – continua – ha sofferto in prima persona, sebbene per motivi politici, ed è stata ferita profondamente negli affetti più cari: come potremmo dimenticare la tragica fine di mia zia Mafalda di Savoia, morta il 28 agosto 1944 nel campo di concentramento di Buchenwald dopo un’atroce agonia? Come potrei dimenticare che anche mia zia Maria di Savoia fu deportata con il marito e con due dei loro figli in un campo di concentramento vicino a Berlino? Ed entrambe erano figlie dello stesso Vittorio Emanuele III”. I provvedimenti colpirono infatti nel profondo persino la dinastia reale, che essendo un mero simbolo del governo rappresentato da Mussolini e condizionato dalla potenza della Germania di Hitler, dovette subire la repressione a cui lei stessa diede il via.
“Scrivo a voi questa mia lettera – conclude Emanuele Filiberto – per riannodare quei fili malauguratamente spezzati, perché sia un primo passo verso quel dialogo che oggi desidero riprendere e seguire personalmente. Con tutta la mia sincera fratellanza”.