Finisce con una rissa in casa Gop la presidenza di Trump. I compagni di partito del capo della Casa Bianca, quelli che come le tre scimmiette del santuario di Toshogu si sono chiusi gli occhi, le orecchie e la bocca per salvarlo durante le udienze dell’impeachment al Congresso, ora come atto finale cercano di umiliare il capo della Casa Bianca annullando il veto presidenziale posto sul bilancio per la difesa. Per Trump sarebbe un imbarazzante smacco a conclusione di una presidenza inetta e caotica. Il preludio c’era stato lunedì sera, quando la Camera dei Rappresentanti, a maggioranza democratica, in prima istanza aveva già annullato il veto, che ora passa al Senato, dove c’è bisogno di due terzi dei voti per approvarlo, ma Mitch McConnell, il leader della maggioranza repubblicana ha già assicurato che secondo lui i voti ci sarebbero.
Il provvedimento sulla Difesa che prevede una spesa di 740 miliardi di dollari – che include, tra le altre cose, l’aumento dei salari per i soldati americani e disposizioni per un esame approfondito prima del ritiro delle truppe da Germania e Afghanistan – lunedì era stato approvato a maggioranza semplice da Camera e Senato. Trump si è opposto e ha messo il suo veto presidenziale perché non conteneva l’abolizione dell’immunità per i social media, la cosiddetta Section 230 del “Communication Decency Act” una norma con cui si garantisce ai social l’immunità sui post messi dalle terze parti, affermando che rappresentano un pericolo alla sicurezza nazionale poiché Facebook, Twitter, Watsup, Instagram, Tumblr e tutti gli altri, non sono responsabili dei contenuti che vengono postati sui loro siti e possono essere fonti di disinformazione per il Paese. Un modo per cercare inferire un colpo mortale nella sua battaglia personale contro le piattaforme che segnalano o censurano la non correttezza delle informazioni dei suoi post, “mimetizzando” la sua contrarietà affermando che si trattava di “un regalo alla Cina e alla Russia”.
Molti dei parlamentari di entrambi i partiti ritengono che la Section 230 sia una forma di censura e la vorrebbero modificare, ma per ora non hanno voluto legarla ai finanziamenti per il Pentagono e per questo sono contrari. Il dibattito si è ulteriormente complicato perché i democratici, che al Senato sono in minoranza, hanno visto la possibilità di sfruttare la divisione politica del Gop a loro vantaggio grazie al bizzarro comportamento del capo della Casa Bianca che, dopo che lo stimolo economico era stato approvato dal Congresso e firmato dallo stesso presidente, subito dopo la ratifica lo ha criticato proponendo di aumentare gli aiuti portandoli da 600 a 2mila dollari per gli americani che hanno un reddito inferiore ai 75mila dollari l’anno. Proposta immediatamente avallata dai democratici a cominciare dal presidente eletto Joe Biden, al capo della minoranza democratica al Senato Chuck Shumer, al combattivo senatore del Vermont Bernie Sanders, e dalla speaker della Camera dei Rappresentati Nancy Pelosi che immediatamente l’ha messa in agenda alla Camera dove i democratici hanno la maggioranza.
Una mossa che ha spiazzato Mitch McConnell che per ora ha bloccato il dibattito al Senato. I democratici chiedono che in cambio del voto per annullare il veto presidenziale sul bilancio al Pentagono, venga aumentato a 2mila dollari il bonus per gli aiuti per lo stimolo economico. E così ora l’aumento dell’importo dello stimolo economico è entrato anche nel dibattito politico in Georgia, dove il 5 gennaio ci saranno le elezioni suppletive per 2 seggi del Senato. Se i democratici dovessero conquistarli tutti e due otterrebbero indirettamente la maggioranza alla Camera alta. I due senatori repubblicani della Georgia, David Perdue e Kelly Loeffler entrambi in carica, sono sfidati dai democratici Jon Osoff e Raphael Warnock, rompendo i ranghi si sono immediatamente schierati a favore della proposta di Trump e in pratica McConnell, se si dovesse arrivare al voto, non avrebbe più la maggioranza.
In questa battaglia politica il presidente eletto Joe Biden cerca di formare la squadra con cui dovrà far fronte alle imponenti sfide che lo aspettano dal 20 gennaio. Ancora mancano le nomine per importanti ministeri, come quello della Giustizia, ruolo per il quale circola con insistenza il nome di Merrick Garland. Per lui si tratterebbe di una sorta di rivincita dopo che venne scelto da Barack Obama alla Corte Suprema nel 2016 per sostituire Antonin Scalia ma, anche se mancava quasi un anno alla scadenza del mandato di Obama, Mitch McConnell si oppose alla nomina sostenendo che un presidente a fine mandato non può scegliere un giudice della Corte Suprema e gli negò la conferma al Senato senza nemmeno concedergli un’audizione. Biden ha detto che completerà la lista nei primi giorni del nuovo anno. Intanto Biden martedì ha spiegato ancora una volta come la sua squadra di governo intenderà confrontarsi nella sfida alla pandemia di covid-19 (vedi video sotto).
Lunedì il presidente eletto si è lamentato per l’ostruzionismo che i fedelissimi di Trump continuano ad esercitare. “Ancora oggi – ha spiegato Biden – non abbiamo tutte le informazioni necessarie riguardo le aree chiave per la sicurezza nazionale. Dal mio punto di vista, è estremamente irresponsabile”. “Ci serve – ha aggiunto – conoscere il budget pianificato dalla Difesa e dalle altre agenzie in modo da evitare fasi di confusione di cui potrebbero approfittare i nostri avversari”. Affermando poi che altre agenzie federali continuano a non rispettare le regole per il passaggio dei poteri.
Il segretario alla Difesa, Chris Miller, ha detto che gli incontri con lo staff di Biden sono stati interrotti per le festività, una decisione che sarebbe stata presa di comune accordo. Narrativa smentita dai consiglieri di Biden. “In questi quattro anni abbiamo assistito al danneggiamento della leadership americana nel mondo, e delle nostre alleanze, a causa di una politica di isolamento. La verità è che nessuna sfida può essere vinta da alcun Paese se agisce da solo” ha detto Biden, parlando brevemente ai giornalisti dopo un incontro con il suo team sulla sicurezza nazionale messa in pericolo dopo che gli hacker sono riusciti a penetrare nel sistema cibernetico di ministeri e agenzie federali.