
Sono mesi che scrivo cose poco incoraggianti su come New York sta cambiando, travolta dal Covid. Forse qualcuno si domanda se sia io a essere eccessivamente pessimista e pensa che in realtà la Grande Mela abbia la capacità di riprendersi in fretta. Ma oggi purtroppo trovo un alleato importante nelle mie previsioni negative.
Frank Bruni è uno stimato opinionista del New York Times che per anni è stato corrispondente a Roma per il prestigioso quotidiano americano. Domenica Frank ha pubblicato un pezzo d’opinione intitolato cupamente “La città in America con i ristoranti più straordinari sta soffrendo più di quanto pensiate”.

Il giornalista — che avevo conosciuto prima che si trasferisse a Roma — ricorda ai lettori che a metà dicembre il sindaco Di Blasio ha nuovamente proibito ai ristoranti di servire nelle sale interne. Si può solamente consumare il pasto seduti nelle aree all’aperto oppure usufruire del servizio di cibo per asporto. “È la campana a morto per molti ristoranti che sono ancora aperti ma stanno a mala pena in piedi,” scrive Bruni descrivendo il virus come un nemico invisibile che ha dichiarato guerra a proprietari di ristoranti, gestori, manager, cuochi, sottocuochi, camerieri, inservienti e lavapiatti. “Su troppi fronti l’invasore sta vincendo”. Ma il giornalista aggiunge una frase che amplia l’impatto della crisi. “A perdere non sono solamente i proprietari, gerenti, baristi e camerieri. Sono loro a risentire più acutamente della situazione, sia chiaro. Ma a risentirne siamo tutti noi che non abbiamo assolutamente idea di quanto stiamo perdendo”.

È un punto importante su cui vale la pena di soffermarsi. A New York i ristoranti hanno una funzione ben diversa da quella che hanno nella maggior parte delle città italiane, europee e del resto del mondo. Certo, in qualsiasi paese la gente va volentieri fuori a pranzo ma è considerato un lusso di cui godere una volta ogni tanto, un di più tanto per variare quando si vuole stare in compagnia. Non a New York. Qui i newyorkesi sono abituati a pranzare sempre fuori. Il ristorante è un’estensione di casa propria, è parte integrante dello stile di vita in questa città. Ho molti amici a New York che conosco da molti anni e che non mi hanno mai invitato a casa loro neppure una volta. Mai. Sempre e solamente al ristorante.

Tre sono i fattori determinanti:
Primo, gli appartamenti sono generalmente piccolissimi e le cucine sono ancora più piccole, a volte ricavate in un corridoio, o sono un angolo cottura in soggiorno oppure un localino senza finestra e senza ricambio d’aria.
Secondo, New York continua a essere una città abitata da un altissimo numero di single e cucinare per una persona sola è anti-economico e poco divertente.
Terzo, la Grande Mela è una città competitiva dove i ritmi di lavoro sono frenetici; ecco dunque che è difficile trovare il tempo per comprare provviste e cucinare quando la disponibilità di ristoranti è straordinariamente vasta a tutte le ore del giorno e della notte.

Non sorprende dunque che a New York ci siano moltissimi ristoranti. I numeri più recenti indicano che c’erano più di 24mila prima del Covid. Ora stanno chiudendo a un ritmo allarmante. Non si possono permettere di stare aperti. I margini sono troppo bassi ora che per legge possono servire solamente il 25 per cento dei coperti per rispettare le distanze sociali.

“Fintanto che siamo tappati in casa o in un luogo fuori New York non registreremo bene che la nostra trattoria proferita è scomparsa”, scrive Bruni. “Lo scopriremo un giorno quando, sentendoci più sicuri, proveremo a fare una prenotazione e scopriremo che non c’è un tavolo disponibile alle 20, ma neppure prima o dopo perché il nostro locale preferito non c’è più, finito”.
Me ne sono già reso conto personalmente. Il coffee-shop dove andavo più spesso ha chiuso i battenti e così pure il localino attraversata la strada dove mi piaceva andare a fare il breakfast. “Da un punto di vista del commercio ci sono interi tratti di New York che stanno diventando quartieri fantasma,” prosegue l’opinionista del Times che di ristoranti se ne intende. Quando divenne corrispondente da Roma, infatti cominciò a godere delle prelibatezze delle trattorie italiane diventando un esperto “assaggiatore”. Al suo ritorno negli USA, ottenne per cinque anni il prestigioso incarico di recensire ristoranti a New York, un ruolo che permette con una frase positiva di fare la fortuna di un ristorante, con una stroncatura di mettere fine al futuro di un locale.

Ora non sono le recensioni a far chiudere ristoranti. È il Covid. Le previsioni sono che entro la fine del 2021 la metà dei ristoranti di New York avrà chiuso. L’impatto, oltre che economico, sarà su uno stile di vita tipicamente newyorkese. Ristoranti per tutte le tasche, di ogni cucina etnica, in ogni parte della città, sempre frequentati a qualsiasi ora del giorno e della notte. Non più. E non pensiamo che chiuso uno ne riapra un’altro. Non è cosí facile. Anche prima del Covid gli affitti erano cosi alti da lasciare un margine di profitto molto limitato. È un altro pezzo di New York che viene a crollare e che ci vorrà tempo perchè rinasca, senza sapere bene che cosa sarà in futuro la ristorazione nella Grande Mela.