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Gli USA pronti già a dicembre a distribuire il vaccino, l’Italia appare in ritardo

Gli Stati Uniti hanno 330 milioni di abitanti contro 60 dell'Italia, ma hanno procurato ai loro cittadini venti volte più dosi di vaccini entro la fine 2020

Sonia TurrinibySonia Turrini
Gli USA pronti già a dicembre a distribuire il vaccino, l’Italia appare in ritardo

Immagine Christian - Emmer emmer.com.ar

Time: 4 mins read

La compagnia farmaceutica Moderna ha annunciato che richiederà oggi stesso alla FDA l’approvazione all’uso emergenziale del suo vaccino. Dai risultati complessivi delle analisi effettuate su un campione di 30,000 persone, il farmaco ha una efficacia dimostrata del 94%, ed è dunque paragonabile all’omologo firmato Pfizer non solo per tecnologia, basandosi entrambi sull’mRNA, ma anche per efficacia.

Contro ogni aspettativa e tutte le funeste previsioni sui tempi di sviluppo di un vaccino, tipicamente ben più lunghi di questo, ormai da quasi un mese il susseguirsi di notizie positive provenienti prima da Pfizer, poi da Moderna, e recentemente anche da AstraZeneca lasciano intravedere la luce alla fine del tunnel.

La comunità scientifica internazionale, non fa mai male ripeterlo, è assolutamente positiva riguardo a questi vaccini “a tempo di record” e unanime: il vaccino è sicuro, ed è la principale arma per uscire definitivamente da questa pandemia. Qualora la FDA ne approvasse l’uso, dopo avere letto le centinaia di pagine dell’application e le migliaia di pagine di ulteriori dati, le prime iniezioni del vaccino Moderna, che richiede una doppia somministrazione, potrebbero iniziare già tra sole 3 settimane negli USA.

A livello globale, tutti i Paesi stanno scaldando i motori e preparando piani di vaccinazione a tappeto per la popolazione. Indicativamente, tutti sembrano voler seguire una progressione simile: in primis saranno trattati personale medico e sanitario, secondariamente individui ad alto rischio, e a seguire tutti gli altri.

Considerata la situazione complicatissima in cui versa il sistema sanitario statunitense, vaccinare la popolazione sarà una corsa contro il tempo, e l’impresa è affidata all’ormai famosa Operazione Warp Speed, il programma del governo mirato appunto a sviluppare un vaccino in tempi rapidissimi. Il delicato compito di rifornire e distribuire il vaccino è stato dato ad alti ufficiali dell’esercito, il generale Gustave Perna e il generale Paul Ostrowki. Beneficiando di una organizzazione, letteralmente, militare, membri dell’Operazione hanno già annunciato che sul suolo americano le vaccinazioni potrebbero cominciare già 24 ore dopo l’eventuale autorizzazione della FDA.

Il governo federale ha già anticipato a Pfizer e Moderna miliardi di dollari per assicurarsi le dosi per vaccinare gratuitamente la popolazione. Moderna, in particolare, ha avuto 1.525 miliardi di dollari in cambio di 100 milioni di dosi di vaccino, di cui stima di poterne fornire 20 milioni prima di San Silvestro. Ad esse si aggiungono i quasi 50 milioni di dosi del vaccino Pfizer che gli USA dovrebbero ricevere quest’anno.

Immagine Pixabay/Gerd Altmann

Sebbene gli Stati Uniti siano spesso citati tra i Paesi che peggio hanno saputo fronteggiare l’emergenza, sulla distribuzione del vaccino sono ben più preparati dell’Italia. Solo nel 2020 gli Stati Uniti riceveranno 70 milioni di dosi; l’Italia, invece, riceverà a partire da metà gennaio a scaglioni mensili il 13,65% dei vaccini che l’UE ha comprato collettivamente, per un totale di 3,4 milioni di dosi. Insomma, gli USA hanno circa cinque volte la nostra popolazione (330 milioni contro 60), ma hanno procurato ai loro cittadini, nel solo mese di Dicembre 2020, oltre venti volte più dosi di vaccini di quelli che gli italiani vedranno probabilmente fino alla prossima primavera (ricordiamo che in questo calcolo non sono considerate le potenziali dosi del vaccino AstraZeneca prodotto insieme alla società italiana Irbm).

Inoltre, l’organizzazione della distribuzione del vaccino in Italia non è ancora chiara. Il presidente del Cosiglio Giuseppe Conte, recentemente intervistato da Lilli Gruber, ha confermato che il piano logistico di distribuzione è affidato al commissario straordinario per l’emergenza Arcuri, sollevando qualche dubbio che non siano concentrate nelle sue mani così tante responsabilità da non riuscire a gestire efficacemente una fase cruciale come quella della campagna di vaccinazione.

Pare confermato che, anche in Italia, sarà coinvolto l’esercito e che la distribuzione e l’approvvigionamento saranno centralizzati, e non demandati alle Regioni, anche a seguito delle molte polemiche e delle difficoltà riscontrate per organizzare lo stagionale vaccino influenzale.

Rimane ancora aperto un capitolo dolente: l’eventuale obbligatorietà del vaccino. 

Press Briefing di Francesco Rocca, Presidente di IFRC.
(Archive UN Photo: Loey Felipe)

Proprio oggi, il Presidente della Associazione della Federazione Internazionale delle società della Croce Rossa e Luna Crescente (IFRC), Francesco Rocca, ha parlato durante una riunione delle Nazioni Unite, dicendo: “siamo felici della notizia che un possibile vaccino per il COVID-19 possa essere imminente. Tuttavia, ricordiamo che un vaccino di per sé non sarà abbastanza per porre fine a questa pandemia”. Ha continuato “per sconfiggere il COVID, abbiamo anche bisogno di battere la pandemia parallela di sfiducia che ha danneggiato la nostra risposta collettiva a questa malattia, e potrebbe minare la possibilità di vaccinarsi contro di essa”.

Le sue parole sono straordinariamente calzanti rispetto alla situazione italiana: secondo una ricerca dell’EngageMinds Hub dell’Università Cattolica, che si occupa di consumi nella salute e nell’alimentazione, il 48% della popolazione è diffidente sul vaccino, tra chi si dichiara assolutamente contrario a chi è ancora in dubbio. C’è chi chiede al Governo di renderlo obbligatorio, ma il presidente Conte ha sempre pubblicamente dichiarato che preferirebbe fosse una scelta consapevole della popolazione italiana, ormai stremata sia dal punto di vista economico che da quello della salute pubblica.

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Sonia Turrini

Sonia Turrini

Sono laureata in psicologia, attualmente impegnata in un PhD in Neuroscienze a Bologna. Sono cresciuta con la cultura americana nell’aria, l’Herald Tribune in salotto, i libri dei grandi presidenti sulle mensole di casa, e Bruce Springsteen nelle orecchie. Non ho memoria di quando ancora non conoscevo Streets of Philadelphia, perché ero troppo piccola per ricordare. E pensavo parlasse di formaggio. Ho visitato gli Stati Uniti la prima volta, ancora ragazzina, nell’estate 2008, e ho passeggiato con la mia spilletta Yes We Can appuntata sullo zaino. Seguo con passione la politica americana da anni, e oggi ne scrivo sperando di portarci il valore aggiunto della mia formazione scientifica: le opinioni sono sempre ben accette, ma solo sulla base di fatti oggettivi, dimostrati e condivisi.

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