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November 4, 2020
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Joe Biden parla da presidente e senza proclamarsi vincitore, fa respirare l’America

Mentre Donald Trump insegue gli spettri persecutori di chi non accetta la sconfitta, dopo Wisconsin e Michigan, bastano Arizona e Nevada per quota 270

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 6 mins read

Finalmente l’aria fresca della democrazia si respira di nuovo in America ascoltando Joe Biden parlare con accanto la sua vice Kamala Harris mentre pronuncia un discorso da unificatore – anche senza giustamente dichiarare vittoria. Se alla fine della conta avrà vinto lui, ha detto, “non sarà solo la mia vittoria o la nostra sola vittoria, ma una vittoria per il popolo americano, per la nostra democrazia per l’America”.

Tutto il contrario del presidente Trump e della sua vergognosa apparizione della notte, quando alle due del mattino, ha riunito alla Casa Bianca la sua claque per applaudirlo mentre sosteneva di aver già vinto le elezioni. In realtà, aveva ancora la metà dei voti elettorali necessari e, senza avere alcuna prova, ha accusato gli avversari di imbrogliare perché stavano contando i voti! (Voglio vedere, anche andasse alla Corte Suprema, la faccia dei giudici da lui nominati, come reagirebbero all’accusa che per la regolarità di elezioni democratiche si dovrebbe smettere di contare i voti perché è passata la mezzanotte, già la democrazia di Cenerentola…).

Il presidente Donald Trump (Illustrazione di Antonella Martino)

Persino il vice prendente Mike Pence, che sarà pure un repubblicano, ma si vede che alla democrazia americana ci tiene più di Trump, lo ha subito corretto, dicendo che bisognerà vigilare “mentre la conta dei voti continua”, senza andare dietro al presidente che chiedeva di fermarla… Ormai anche i senatori repubblicani, già eletti e che non devono più subire i ricatti del presidente, non lo seguiranno più nella selva oscura delle sue cospirazioni antidemocratiche, suggerite anche dal suo avvocaticchio azzeccagarbugli Rudy Giuliani (“I democratici hanno fatto votare i morti!”).

Biden 253, Trump 213, è chiaro a tutti chi sta arrivando primo a 270. Dappertutto, anche nei media che di solito supportano Trump, che il presidente comincia ad essere visto come colui che “non sa perdere”, ormai con l’assegnazione del Wisconsin e del Michigan, e con l’arrivo prossimo dell’Arizona e Nevada, Biden diventerà il 46esimo presidente degli Stati Uniti, senza l’eventuale bisogno di aspettare il risultato della Georgia o della Pennsylvania, in cui il distacco da Trump si accorcia di ora in ora.

Biden, vicinissimo a quota 270 (grazie anche a un “electoral vote” di “distretto” del Nebraska!), sa bene come in democrazia la forma vale quanto la sostanza, e non si azzarda ancora pronunciare una parola di troppo. “Non sono qui per dichiarare che abbiamo vinto, ma sono qui per riferire che quando il conteggio sarà finito, crediamo che saremo i vincitori” ha detto Biden con accanto la Harris.

Joe Biden presidente USA (Illustrazione di Antonella Martino)

Ma questo non significa che non abbia fatto capire che non lascerà al “teppista delle istituzioni” Trump (il virgolettato è mio non di Biden), provare a fermare un processo democratico senza resistergli con fermezza:

“Noi, il popolo, non saremo messi a tacere, noi il popolo, non saremo vittime di bullismo, noi il popolo, non ci arrenderemo amici miei. Sono fiducioso che se uscirò vittorioso, questa non sarà solo la mia vittoria o la nostra sola vittoria, ma una vittoria per il popolo americano, per la nostra democrazia per l’America. Non ci saranno Stati blu e Stati rossi, quando vinciamo ci saranno solo gli Stati Uniti d’America”.

La vittoria dei democratici di Biden non è stata raggiunta con la valanga di voti che avrebbe dovuto sotterrare Trump e trascinarsi dietro anche molti senatori… Il Partito repubblicano ha tenuto. Questo, credo, più che meriti di Trump, per demerito dei candidati democratici ad intercettare parte di un elettorato che in certi stati chiede di essere meglio compreso, come per esempio il voto ispanico, e che il partito democratico ancora non conosce nelle sue diversità.

Eppure, pur delusi dal mancato “landlslide”, anche perché illusi da sondaggi ancora una volta fuorvianti, l’obiettivo principale di questa elezione è stato raggiunto: far uscire dalla Casa Bianca un uomo pericoloso per le istituzioni di questa formidabile democrazia. Trump, lo avevamo capito ancor prima del suo insediamento, ha mostrato tutti quei tratti, senza far nulla per nasconderli, per fortuna, di un’indole autoritaria che si nutre della provocazione negli altri e degli istinti più violenti. Per gli Stati Uniti d’America, in questo momento afflitti anche da una pandemia che colpisce con effetti ancora più devastanti a causa dell’inettitudine del suo leader, il 4 novembre 2020, entra nella storia di questo grande paese come l’alba in cui la maggioranza del popolo americano si destò liberando le sue istituzioni democratiche e la sua costituzione dai continui abusi del peggior presidente della sua storia, Donald Trump. 

Qui sotto in italiano il discorso appena pronunciato da Joe Biden.

Joe Biden il 4 novembre, 2020

Ieri, ancora una volta è stato dimostrato che la democrazia è il cuore pulsante di questa nazione. Anche di fronte alla pandemia, più americani hanno votato queste elezioni che mai nella storia americana. Oltre 150 milioni di persone hanno espresso il loro voto. È semplicemente straordinario, e se avessimo qualche dubbio, non dovremmo averne più. Un governo di, da e per il popolo è molto vivo in America.

Qui, il popolo governa. Il potere non può essere preso o affermato. Fluisce dal popolo. Ed è la loro volontà che determina chi sarà il presidente degli Stati Uniti.

E ora, dopo una lunga notte di conteggi, è chiaro che stiamo conquistando abbastanza stati per raggiungere i 270 voti elettorali necessari per vincere la presidenza. Non sono qui per dichiarare che abbiamo vinto, ma sono qui per riferire che quando il conteggio sarà finito, crediamo che saremo i vincitori.

Abbiamo il Wisconsin per 20.000 voti, praticamente lo stesso margine che il presidente Trump vinse in quello stato quattro anni fa, nel Michigan guidiamo con oltre 35.000 voti e sta crescendo un margine sostanzialmente più grande e il presidente Trump ha vinto il Michigan nel 2016. Il Michigan completerà il suo voto presto, forse già oggi, e mi sento fiducioso per la Pennsylvania. Praticamente tutte le votazioni rimanenti saranno conteggiate o espresse via mail e abbiamo vinto il 78% dei voti via mail in Pennsylvania. Abbiamo capovolto l’Arizona e il secondo distretto del Nebraska. Per me, di particolare importanza, è che abbiamo vinto con la maggioranza del popolo americano e ogni indicazione dice che quella maggioranza crescerà con il voto popolare di quasi 3 milioni di voti.

In effetti, la senatrice Harris ed io siamo sulla buona strada per vincere più voti di qualsiasi altra volta nella storia di questo paese…

Questo è un risultato importante. È stata una campagna lunga e difficile, è stato il momento più difficile per il nostro paese; abbiamo avuto campagne difficili prima, abbiamo affrontato tempi difficili prima, quindi una volta che questa elezione sarà finita e sarà alle nostre spalle, sarà tempo per noi di fare quello che abbiamo sempre fatto come americani: lasciarci alle spalle la dura retorica della campagna, abbassare la temperatura, vederci di nuovo, ascoltarci a vicenda, ascoltarci di nuovo, rispettarci e prenderci cura l’uno dell’altra. Unirsi per guarire, per riunirsi come nazione. So che non sarà facile, non sono ingenuo, né bizzarro, so quanto siano profonde e dure le opinioni opposte nel nostro paese su così tante questioni, ma so anche che per fare progressi dobbiamo smettere di trattare i nostri avversari come nemici. Non siamo nemici, ciò che ci unisce come americani è molto più forte di tutto ciò che può dividerci.

Quindi lasciatemi essere chiaro, dovevo fare una campagna come Democratico, ma governerò come presidente americano. La Presidenza, di per sé, non è un’istituzione di parte. È l’unico ufficio in questa nazione che rappresenta tutti e richiede un dovere di cura per tutti gli americani, e questo è esattamente quello che farò. Lavorerò duro per chi non ha votato per me, così come lo farò per chi mi ha votato. Adesso bisogna contare ogni voto, nessuno ci toglierà la democrazia, né ora, né mai.

L’America è arrivata troppo lontano, l’America ha fatto troppe battaglie, gli americani hanno sopportato troppo, non hanno mai permesso che accadesse. Noi, il popolo, non saremo messi a tacere, noi il popolo, non saremo vittime di bullismo, noi il popolo, non ci arrenderemo amici miei. Sono fiducioso che se uscirò vittorioso, questa non sarà solo la mia vittoria o la nostra sola vittoria, ma una vittoria per il popolo americano, per la nostra democrazia per l’America. Non ci saranno Stati blu e Stati rossi, quando vinciamo ci saranno solo gli Stati Uniti d’America.

Dio vi benedica tutti.

Traduzione di Alessandra Loiero

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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