Il sogno americano, l’espressione che indica il mito di quei valori condivisi da molti dei primi coloni europei, trasmessi poi alle generazioni seguenti. Cioè la speranza che attraverso il duro lavoro, il coraggio, la determinazione sia possibile raggiungere un migliore tenore di vita e la prosperità economica. Esiste ancora? Cosa ne rimane tra i giovani italiani? Abbiamo ascoltato 100 di loro, tra i 20 e 25 anni di età, sparsi un po’ per tutta Italia e un’idea ce la siamo fatta.
Il 30% non prova alcun interesse per gli Stati Uniti d’America, rimanendo attaccato alla visione del mondo che gli è stata trasmessa, tanto da sentirsi spaesato e non saper rispondere alla domanda: “Cosa ne pensi dell’America di oggi”? L’altro 40% è attratto dagli Stati Uniti, ma si accontenta di viverli attraverso gli schermi della tecnologia.

Tra le loro frasi preferite, non figura di certo “I have a dream” e addirittura il motto di Martin Luther King si è arrestato nei voli europei e non più intercontinentali. Molti di loro infatti, fanno difficoltà a pensarsi impegnati in scelte coinvolgenti, come quella di interrompere la loro vita quotidiana per una permanenza oltreoceano che richiede convinzione e determinazione, preferendo vivere in una nazione Europea, come la Francia e la Germania, sognando i grattacieli americani solo per una vacanza in famiglia, dato che con gli amici il prezzo sarebbe troppo proibitivo.
“Andrei in America come ho già fatto, per piacere, ma non per trovare lavoro. Non è una meta che rientra nella mia wishlist. Mi attrae molto la Francia, se penso ad una nazione dove potermi trasferire” racconta Chiara, 25 anni. “Decisamente mi trasferirei in Europa, ha problemi razziali minori, un sistema di welfare e di assistenza più largo, reti famigliari generalmente più solide che temperano il disagio collettivo“ aggiunge Francesca, 23 anni, studentessa.
Nonostante il nono rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Leone Moressa, stima che abbiamo perso negli ultimi dieci anni, 250 mila giovani, l’equivalente della città di Verona, tra i 25 e 36 anni, che hanno lasciato l’Italia per l’Europa, è emerso dalle nostre interviste che il 20% della generazione attuale invece ama vivere in Italia e non è proprio disposta a lasciare casa.

“La filosofia fondamentale degli Stati Uniti, conosciuta come il sogno americano, cioè il successo come etica del lavoro, determinazione, educazione e talento non mi dispiace ma io amo vivere in Italia” spiega Roberto, 21 anni, studente di giurisprudenza. “Preferisco la sicurezza delle mura domestiche piuttosto che rischiare pur di realizzarmi” racconta Domenico, 22 anni, che aiuta i genitori nella gelateria di famiglia.
Tra i profili caratteriali dei giovani di oggi, emerge la voglia di sicurezza e di casa, soprattutto tra la componente maschile.
Il periodo storico di certo non aiuta, la pandemia ha accentuato le paure e rafforzato la voglia di tranquillità più che di avventura.
Come Martina, 22 anni, studentessa in una delle più prestigiose università di New York, che ha deciso di congelare gli studi e non laurearsi pur di non tornare in America. “E’ stato un periodo di grande confusione, ho ponderato a lungo prima di prendere questa dolorosa decisione. Sono molti anni che vivo a New York ma mai ho avuto cosi tanta paura come adesso. In tempo di guerra è bene stare a casa” racconta.
Lo stesso la pensa Luca, nato e cresciuto in America, che dopo due anni alla New York University, Institute of Fine Arts, ha deciso di approfondire gli studi, in una privata università italiana, tornando alle sue origini. “Sono stanco degli Stati Uniti, sono sempre in guerra con qualcuno e con loro stessi da sempre” spiega.
L’ America quindi sembra non essere più il sogno delle nuove generazioni, che l’avvertono spaventosa e insidiosa.
“E’ instabile cosi come gli sbalzi di umore del suo Presidente” dice Roberto, 24 anni, sportivo professionista.
“Non ci andrei mai a vivere, sarebbe come mettere la propria vita nelle mani di un serial killer”, racconta Silvia, 24 anni, studentessa e lavoratrice.
Enrico, 22 anni, violinista, dice “il programma dell’attuale Presidente degli Stati Uniti d’America è stato quello di alzare un muro nei confronti dell’umanità invece che proporsi come modello di libertà e prosperità. C’è uno spaventoso elogio alla discriminazione reciproca. Fa paura”

L’America di Donald Trump, fatta di egoismi e di disuguaglianze sociali, sembra aver perso il suo fascino, il tutto accentuato dall’emergenza Covid, che ha fatto emergere con spietata concretezza il problema dell’ assistenza sanitaria americana. I giovani di oggi non hanno più una percezione distorta di quello che accade, vivono interconnessi nel mondo, senza filtri e bugie. Sono spettatori passivi del bello e del brutto, con 3 dispositivi in media ciascuno, la dimensione visuale gli permette di avere le idee chiare e di annichilire i sogni. I nativi digitali sembrano essere una generazione realista, meno incline al sogno americano, forse perché già nati in un contesto di sfiducia e paura.

“Non dimenticherò mai i mille necrologi sulla prima pagina del New York Times a causa del Coronavirus. Gli ho fatto uno screenshot, non riuscivo a crederci.”
“A cosa ?”, gli chiediamo.
“All’incertezza della sopravvivenza americana, almeno a Roma se vado in ospedale mi curano” spiega Ginevra, 25 anni, ultimo anno di architettura.
Non tutti, però la pensano allo stesso modo, alcune voci escono dal coro. Come quella di Paolo, 25 anni, aspirante medico. “Il mio sogno americano non me lo porterà via di certo la sciagura di Trump e il dramma del Coronavirus, l’American Dream è solo sotto scacco, non è morto” e aggiunge “ Sai chi è il mio eroe ? Tamir Sapir, la sua è una storia unica”.

È si, decisamente unica. Immigrato della Georgia, arrivò in America nel 1973, senza un soldo in tasca, iniziò a lavorare come tassista a New York, per poi acquistare un negozio di elettronica e stabilire contatti con la delegazione sovietica alle Nazioni Unite, commerciando materiale elettronico in cambio di contratti petroliferi, che poi vendette a compagnie statunitensi. Investì i profitti in beni immobili a Manhattan e diventò milionario. Il suo è il modello del sogno americano che si realizza, da una vita di miseria all’opulenza, ma sognarlo non basta, occorre il coraggio, la risolutezza e il sacrificio per costruirsi una fortuna con le proprie mani.
A quanto sembra ai giovani ventenni di oggi arrivano storie diverse, non si lasciano più offuscare dal mito del sogno, vivono con maggior consapevolezza e si accontentano di ricercare la felicità in un’America sempre più europea. Gli Stati Uniti li avvertono estremamente pericolosi, nonostante la loro unicità, la nuova generazione li ama e li odia, istintivamente se ne tengono alla larga e ne prendono le distanze. La maggior parte di loro, oggi non è più ammaliato dell’America, ma questo non basta però a decretare la fine del suo sogno.

Anche le super potenze possono mostrarsi deboli e spaurite, sopratutto quando si trovano in balia di un prolungato disastro e nella complessa incognita delle prossime elezioni presidenziali. Non sappiamo quello che sarà domani, magari le opinioni più crude di oggi si tramuteranno in mormorii e ai giovani gli sarà concesso di nuovo sognare, su un volo per la terra promessa. In fondo di questi tempi l’unica attività veramente sicura, sana e senza controindicazioni, è di continuare a sperare.
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