Aggiornamento: qui il video dell’OMS che fa i complimenti all’Italia per la sua risposta alla pandemia.
Mentre stiamo entrando nel decimo mese di SARS-CoV-2 (la Cina comunicò all’Organizzazione Mondiale della Sanità, OMS, l’esistenza del virus il 31 dicembre 2019 e lo identificò sette giorni dopo), le nazioni hanno contezza di alcuni punti fermi della vicenda. Che su questa base adottino comportamenti razionali, utili alla soluzione dei rischi connessi, è altra cosa.
Il primo, essenziale punto fermo, è che, al di là della funzione di raccolta dati, informazione e suggerimento espletata dall’OMS, non si dispone di un organismo mondiale di “governo” (chiamiamolo “unità di crisi”) necessario in evenienze del genere. Il virus pandemico se ne ride bellamente di confini, fili spinati, muri, ministri e boriosi comandanti in capo: attacca la specie umana non gli stati. E se la risposta è basata su una serie di misure nazionali che a volte non riescono esse stesse ad attuare un minimo di coordinamento, non è in linea con il bisogno al quale deve corrispondere. Questa pandemia un giorno o l’altro ci abbandonerà o non sarà più virulenta come lo è adesso: ma avremo sicuramente pagato un costo più alto dell’indispensabile. Ad una pan-demia (“tutte le popolazioni”) la risposta deve essere pan-nazionale (tutte le nazioni).
Il secondo punto fermo riguarda la scelta che i singoli stati stanno compiendo tra i due corni della questione Covid-19: la salute pubblica e l’economia. Chiudere il lucchetto della vita di relazione e mettere la chiave nel cassetto del ministro dell’Interno per lunghi periodi, significa ridurre la crescita economica per una percentuale che può avvicinarsi o superare le due cifre di prodotto interno lordo. Recuperare quella perdita comporterà lunghi anni; nel frattempo i bilanci familiari medi affonderanno anche perché le imprese licenziano e parecchie falliscono addirittura. Di conseguenza i governi sono costretti ad accrescere il debito, dovendo sostenere i costi della sopravvivenza delle famiglie e del rilancio delle imprese. Quel debito peserà per lunghi decenni sul budget, e sarà pagato dalle imposte e tasse dei cittadini e delle imprese.
Da qui la tesi del rifiuto da opporre a misure draconiane collettive per il contenimento dell’espansione del virus. Si mantengano in funzione le attività economiche e muoia chi deve, “tanto di qualcosa bisogna morire, e una malattia vale l’altra”. Si dimentica, in questa seconda tesi, che alla lunga la perdita di capitale umano derivante da morti eccessive, può colpire un sistema economico in modo strutturale e di lungo periodo, sottraendo le necessarie risorse umane.
Le misure intermedie (si chiude il possibile e superfluo, e si lascia aperto l’indispensabile e strategico), regola in genere praticata nei paesi dell’Unione Europea, UE, sembra essere la più saggia, ma restano intatte le controindicazioni delle altre due soluzioni.

Il terzo punto fermo concerne il vaccino, o meglio i vaccini, visto che l’approccio nazionale ha portato sinora alla ricerca e sperimentazione di due centinaia di vaccini. In attesa di sentir ragliare nuovamente la mandria dei no-Vax, si pongono almeno tre questioni: percentuale di efficacia, su quale ceppo agisce, quanto costerà. Le prime due questioni smontano le attese salvifiche: i vaccini hanno la sola pretesa di abbassare il rischio di contrarre un male o di contrarlo nella forma più acuta, e solo dopo decenni di utilizzo su una vastissima parte della popolazione riescono, talvolta, a garantire pienezza di efficacia. In quanto al costo per l’acquisto e la somministrazione, in ogni caso sarà un costo aggiuntivo da affrontare: anche quando, come nel caso italiano, sarà il sistema sanitario pubblico a provvedere, ciò avverrà in base alla dilatazione del bilancio sociale che sarà coperta dal gettito fiscale.
Il quarto punto fermo riguarda il mutamento antropologico indotto dalla pandemia, specie se, come tutto fa prevedere, circolerà in forma più o meno acuta almeno sino alla fine del 2021. Il distanziamento tra esseri umani, l’uso accresciuto delle tecnologie nella comunicazione interpersonale e lavorativa, l’adozione diffusa nella vita privata e pubblica di strumentazioni delle quali non si riteneva necessitare o almeno non nei termini che si vanno sviluppando in questi mesi avranno conseguenze che dureranno. A seguire, quattro esempi convincenti.
Gli acquisti online e le consegne a domicilio: già in luglio una ricerca DS Smith dava per certo che un italiano su due avrebbe accresciuto gli acquisti online. Amazon e altri distributori B2C stanno facendo affari e ne faranno ancora, ma non è questo che qui interessa. Interessa che la gente cambierà per sempre il suo rapporto con uno dei luoghi storici dell’aggregazione sociale e interpersonale: il mercato.
L’uso dei robot e altre macchine sostitutive di lavoro umano. Se la prossimità con il mio simile è per me un rischio, mi affido al robot: non gli si attacca nessun virus e quindi non può diventare untore. Lo accoglierò come mio famiglio e s’installerà nella mia vita creandomi il bisogno della sua util-presenza. Alla lunga ciò mi porterà a parlare con lui come adesso parlo col mio cane o il mio pappagallino che ovviamente capiscono praticamente nulla di ciò che racconto. Grande vantaggio: il robot, come il pappagallino, è sempre in accordo con me
Terzo esempio: il voto via computer o posta. Si sta tenendo un’assemblea della Nazioni Unite senza delegati in sala, e si sta eleggendo il nuovo presidente degli Stati Uniti anche per posta. Dal Covid 19 si avranno conseguenze significative sui nostri sistemi democratici: la tesi della democrazia telematica se ne avvantaggerà e il discorso sulla scarsa utilità delle assemblee fisiche riprenderà quota.
Ultimo esempio: si legge che i rapporti intimi in tempo di Corona siano stati abbandonati da più del 60% delle coppie: le prerogative dell’ingegneria erotica sembra non corrispondano agli spazi di un metro fissati dagli esperti ministeriali. Il desiderio non è solo un fatto istintivo, ma anche di formazione ed educazione. Dopo la pandemia potremo avere un boom di nascite e di affettività, ma potrà anche accadere che la curva dell’astensione erotica resti più o meno lì dove si sta collocando di questi tempi. Le conseguenze non saranno irrisorie.
Si potrebbe continuare con altre esemplificazioni, ma i quattro esempi dovrebbero bastare per interrogarci su quale tipo di essere umano, individuale e collettivo, sortirà dalla pandemia.
Il quinto punto fermo riguarda la vita che attende i sopravvissuti. Il rapporto Oxfam di gennaio sulla distribuzione della ricchezza ci racconterà che il fossato tra la manciata di ultraricchi e tutti gli altri si è ulteriormente accresciuto, insieme al fatto che sta diminuendo in modo esponenziale la solidarietà dei paesi ricchi verso i paesi del bisogno, tanto che il Fondo Monetario Internazionale, FMI, ha appena coniato il termine “Lost Decade” riferito ai paesi poveri. C’è un aspetto dell’impoverimento nei paesi del benessere, e del distacco dalla speranza di sviluppo nei paesi del bisogno, che si tende a non considerare. Crescerà il cultural divide e si avranno ripercussioni sulle capacità di sapere dei ragazzi che a scuola stanno perdendo mesi e mesi di lezioni che non recupereranno mai. Chi ha in famiglia un serbatoio di saperi sostitutivi potrà in qualche modo tenere botta. Gli altri no, e pagheranno amaramente quando si presenteranno sul mercato del lavoro e delle professioni.
Il sesto punto fermo vede i ceti al potere prepararsi agli sconvolgimenti dei prossimi mesi, al fine di mantenersi sul cadreghino. Per ripianare i debiti che si vanno accumulando hanno due strade e sono ambedue poco allegre: alzare il monte della tassazione, creare condizioni per la crescita dell’inflazione. Vanno ambedue a colpire chi vive di lavoro e di risparmi, peraltro in un momento di scarso lavoro e crescita della disoccupazione. Occorrerebbero misure di riforma radicale di un sistema economico basato sulla speculazione, ma proprio non si vede chi potrebbe prenderle.
Le sei considerazioni non hanno tenuto conto dello scenario peggiore: che nella battaglia tra specie umana e specie virale, in questo caso manifestatasi come Corona SARS-V-2, le resistenze opposte dalla scienza non riescano a battere l’avversario, o lo facciano a costi troppo alti, in termini di vite o di ricchezza. Per le notizie di cui si dispone, detto scenario va mantenuto nel rango del possibile ma appare improbabile, come dicono i dati che si pubblicano di seguito.
Il quadro della diffusione continentale del virus, fornito da OMS racconta questa evoluzione.
I numeri per l’intero mondo danno, alla data, più di 32 milioni di casi totali, con 23 milioni e 700mila guariti e 982mila deceduti. Gli attualmente malati sono quasi 7milioni e mezzo. Se rapportate ad altre pandemie storiche, per ora, grazie ai progressi della medicina e al forte ruolo dell’informazione i numeri, anche se impressionano, sono relativamente bassi. Con una popolazione assolutamente inferiore, il pianeta ha sperimentato pandemie che, anche in termini assoluti, hanno espresso cifre superiori.
Altro aspetto che rende per ora la pandemia “sopportabile” è che sta lasciando ai margini realtà dove la sanità non sarebbe in grado di corrispondere alla sfida, come l’Africa. Le Americhe risultano rappresentare quasi la metà del totale dei casi; insieme all’Europa superano abbondantemente la metà dei casi globali. La malattia è localizzata in regioni che hanno i mezzi per contrastarla, tanto che, quando si attuano i giusti comportamenti collettivi, arretra e quasi scompare. La tabella successiva fa capire molte cose.
Nelle Americhe, nei due mesi tra il 23 luglio e il 24 settembre si è avuto il doppio di casi. Lo stesso è accaduto tra il 25 maggio e il 26 giugno, ma il raddoppio avveniva in un solo mese. Il salto nel baratro delle Americhe avviene tra luglio e agosto, quei mesi caldi nei quali secondo i presidenti Trump e Bolsonaro il male sarebbe scomparso. Hanno sicuramente inciso i comportamenti rilassati delle vacanze, come peraltro è accaduto in Europa: il caso Sardegna in Italia e quanto sta accadendo in Spagna insegnano. Nelle Americhe, i casi erano “solo” 4 milioni 710mila il 26 giugno, ma il 23 luglio sono saltati a quasi 8 milioni e a metà settembre superavano già quota 14 milioni 800mila. Le due tabelle successive, pur mostrando l’incremento generale del continente, mostrano come alcune situazioni tendano ora a contenersi. Lo stesso mostrerà, più avanti, per i soli Stati Uniti, la tabella ad essi dedicata.
In Europa il rallentamento ha funzionato anche meglio, ma in queste settimane il male è in ripresa, con particolare accentuazione in Gran Bretagna, Francia e Spagna, come mostrano di seguito le tabelle. Quello che qui interessa maggiormente è che la prospettiva orribile di un’infezione panafricana continua ad essere scansata. E lo stesso può dirsi per molte altre popolazioni di paesi poveri.
Le misure di contenimento, più o meno restrittive, adottate dai governi, dipendono da molti fattori, anche di tipo politico, oltre che di natura economica e strettamente sanitaria. Per comprendere, almeno in parte, come i diversi paesi si stanno comportando, vale la pena guardare ai dati esposti nella tabella riassuntiva della situazione al 23 settembre, in particolare a quelli della colonna B e H, che forniscono il dato su un milione di popolazione dei casi confermati e dei decessi. Il più interessante caso è quello di Israele, il paese che simbolicamente ha dato inizio alla seconda ondata di Covid-19, con il rilancio del sistema di organizzazione socio-produttiva a chiusura totale. Nella tabella ha il minor numero di decessi assoluti (1.316), ma uno dei più alti in termini di decessi in relazione al milione di popolazione (22.433). Una domanda interessante, alla quale potrebbero rispondere solo i governi e le autorità sanitarie dei paesi interessati, è perché nelle Americhe, pur registrandosi dati percentuali anche più elevati di Israele (Cile 23.489, Perù 23.633), le misure siano più rilassate A proposito del Perù, si osserva che ha anche il più alto numero di deceduti rispetto alla popolazione, 964 su un milione, a enorme distanza dal secondo classificato nella triste classifica, il Belgio.
L’Italia resta il paese con il più alto numero assoluto di deceduti nell’UE, benché sia sopravanzata in termini di rapporto tra deceduti e popolazione da Spagna e citato Belgio. I dati sul Regno Unito spiegano perché il riottoso Boris Johnson, che ha capito cosa fosse l’infezione da SARS-CoV-2 solo dopo esserci passato di persona, ha dovuto annunciare alla nazione sei mesi di contenimento anche se blando delle attività pubbliche e di collettività: 410.000 casi confermati (6.000 per milione di popolazione) e 41.900 morti. Nella stessa direzione stanno andando anche altri governi europei. La Comunità Autonoma di Madrid ha chiuso in casa 850.000 persone e dichiarato zone rosse (più di 1.000 confermati su 100mila residenti) una quarantina di aree interne: non si entra e non si esce salvo per lavoro e casi indispensabili, sono proibiti assembramenti con più di sei persone, si consente accesso agli esercizi commerciali sino alla metà della capienza, sono chiusi i parchi. Madrid ha montato nuovamente le tende da campo per l’emergenza.
Il fatto è che finché non si troverà il modo per identificare i cosiddetti superdiffusori (Superspreader), si va avanti abbastanza alla rinfusa sui meccanismi di contenimento. L’attività inconsapevole dei superdiffusori, dicono gli esperti, comporta che il 20% degli infetti abbia effettivamente contagiato l’80% dei positivi, mentre il 70% degli altri infetti non ha trasmesso alcun contagio.
Per chiudere, delle cifre impensabili ad inizio pandemia: i deceduti mondiali da Coronavirus supereranno entro la settimana 1 milione e di questi uno su cinque sarà stato un cittadino degli Stati Uniti. Altro dato da ritenere è che, ad oggi, i decessi mondiali hanno riguardato poco più del 3% dei casi confermati.