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Giù le mani dal poliziotto Lillo Zucchetto, ammazzato da certi “uomini d’onore”

A Palermo gli spararono alle spalle nel 1982, aveva solo 27 anni. Ora mi sento in dovere di proteggerne la memoria dal fango del mafioso Giuseppe Graviano

Pippo GiordanobyPippo Giordano
Giù le mani dal poliziotto Lillo Zucchetto, ammazzato da certi “uomini d’onore”

Lillo Zucchetto nel 1978 (Immagine da Facebook)

Time: 3 mins read

Mai e poi mai avrei pensato a distanza di 38 anni dal vile assassinio, di dover difendere il “mio ragazzo” Lillo Zucchetto, poliziotto della Squadra mobile di Palermo. Io ero il suo capo pattuglia. La sera del 14 novembre 1982 due miserabili individui di Cosa nostra, lo colpirono a morte. Costoro, come copione dei cosiddetti uomini d’onore, spararono a Lillo alle spalle mentre col panino in mano stava aprendo la portiera della sua macchina: avevano paura di affrontare Lillo a viso aperto. Vigliacchi! Ma poi, dopo alcuni anni la stessa sorte toccò ai due killer di Lillo: furono uccisi a tradimento dai loro stessi “amici”.

Ora sento il dovere come uomo, amico e collega di Calogero “Lillo” Zucchetto, di difendere la sua memoria e rispedire al mittente il “fango” che si tenta di gettare addosso a un ragazzo ammazzato a soli 27 anni.

In questi giorni ho letto la memoria difensiva di Giuseppe Graviano, diretta  alla Corte d’Assisi di Reggio Calabria, ove risulta essere imputato. Ebbene, in incipit si legge che:  “I processi devono essere svolti per accertare la verità, non per chiudere un cerchio”. Questa frase, peraltro condivisibile, cozza con quanto poi scrive a pagina 4 nella memoria, laddove afferma testualmente: “Già alla fine degli anni 70 era in diretto contatto con gli ambienti giudiziari, tanto ché il pool della Procura, composto da Falcone, Chinnici ed altri (con qualche eccezione rappresentata da dr Borsellino) aveva affidato ad un poliziotto, Zucchetto Calogero, la gestione del ‘Coriolano della Floresta’. Tale gestione ha consentito al killer Contorno di commettere una serie sconfinata di omicidi per i quali è rimasto impunito, guardandosi bene, ovviamente, dall’accusarsi”.

Accuse pesante rivolte a un ragazzo, Lillo, che non può difendersi e quindi evidenzio che “La verità deve essere accertata coi e tra i vivi e non da menzogne apprese de relato”. Il signor Graviano conosce benissimo i motivi che diedero luogo alla decisione di uccidere Lillo Zucchetto e sa anche bene che Totuccio Contorno non era gestito dal solo Zucchetto. L’affermazione di Graviano peraltro diffamatoria, non è la prima che si tenta di gettare fango addosso a Lillo.

Infatti, Cosa nostra nei giorni successivi alla sua uccisione sparse la voce, secondo la quale il movente del delitto era da ricercarsi per motivi di “fimmini” (di donne). Diffamazione allo stato puro, tant’è che io e Cassarà, attraverso mirate indagini, anche con intercettazioni telefoniche,  escludemmo il  movente riconducibile a “fimmini”. Ora, il signor Graviano ci riprova.

Do un consiglio al signor Graviano, lasci perdere le cose apprese de relato o lette nella famosa lettera del “Corvo di Palermo”, ove con siffatta missiva si accusava il magistrato Falcone, il Capo della polizia Parisi e il poliziotto De Gennaro, di aver “usato” Contorno come killer a Palermo. Il signor Graviano fa confusione, attribuendo la responsabilità della gestione di Contorno a Calogero Zucchetto. Quindi, il signor Graviano se ne faccia una ragione e parli solo di cose di cui fu testimone e vissute direttamente.

Giova qui ricordare che Lillo, come dimostra la sentenza passata ingiudicata, fu ucciso per aver contribuito all’arresto del capo famiglia di Villabate. Salvatore Montalto. Io ero legato a Lillo e so bene il dolore e la ferita ancora sanguinante nonostante siano trascorsi 38 anni. Non si doveva assassinare un ragazzo sol perché aveva fatto il proprio dovere. Ma questo i cosiddetti individui, che pomposamente si facevano e si fanno chiamare uomini d’onore, non lo capivano e non lo capiranno mai. Conobbi sin da ragazzino, tantissimi uomini d’onore, ma erano altri mafiosi: altri personaggi. Uomini che quando aprivano bocca sintetizzavano  che “una parola era troppa e mezza era assai”. Un “mondo” diverso da quello che conobbi poi da poliziotto. Il che è tutto dire. Lillo R.I.P.

 

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Pippo Giordano

Pippo Giordano

La legalità è il mio chiodo fisso perché fin da piccolo ho respirato la mafia e la sua brutalità. Sono stato ispettore della DIA e ho lavorato nella Squadra Mobile di Palermo di Ninni Cassarà. Ho diretto la Sezione antiterrorismo della Digos di una città del Nord. Ho collaborato con i giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Oggi, da pensionato, racconto agli studenti degli uomini che hanno scritto col sangue la lotta alla mafia. Con Andrea Cottone ho scritto un libro, Il sopravvissuto, l'unico superstite di una stagione di sangue, che parla delle ombre in quella zona di contatto fra mafia e pezzi di Stato.

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