Lunedì 25 maggio, h. 07:00 a.m. EST
I macrodati di interesse, collegati all’espansione del virus Corona-19, possono essere stamattina così riassunti. I casi di positivi confermati, a livello mondiale, hanno superato i 5 milioni e mezzo. La macroregione più colpita, secondo la ripartizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono le Americhe, seguite dall’Europa. L’Africa continua ad essere quasi esente dal male, con meno della metà dei casi rispetto al Pacifico occidentale, fino a una settimana fa qui non riportato in quanto dato irrisorio. Le Americhe continuano a non saper rallentare la diffusione di Covid-19, questa settimana soprattutto a causa dell’accresciuto apporto dell’America Latina, come si vedrà più avanti. Stabile l’Europa. In crescita il sud est asiatico e, come si è detto, il Pacifico occidentale, ma con numeri tuttavia ampiamente contenuti rispetto alla zona atlantica del pianeta.
Rispetto ai paesi sotto osservazione nelle tabelle quotidianamente compilate per questa rubrica, il raffronto tra inizio e fine settimana, rende il dettaglio dello sviluppo della settimana in scadenza.
In termini assoluti, si nota la progressione dei positivi in nord America, relativamente più forte in Canada che negli Stati Uniti, come confermato dalla colonna H dove il Canada continua a far peggio del vicino in quanto a decessi. Il Canada fa invece meglio degli Stati Uniti in quanto a numero di positivi rispetto alla popolazione (B), arrestandosi per ora a molto meno della metà del dato statunitense. Gli Stati Uniti minacciano ormai di assumere il primato nella colonna B, riuscendo a far peggio anche della Spagna, ora a quasi 6.000 casi di positivi confermati su un milione di popolazione, ovvero 6 ogni 1.000 persone. Si noti che sulle sette colonne riportate, in ben cinque, tutti i dati assoluti, gli Stati Uniti di Trump risultano in testa.
Restando nelle Americhe, va sottolineato che l’America Latina appare, dopo Europa e nord America, la terza area di maggiore preoccupazione in fatto di espansione del contagio da virus Corona-19, il che sta avendo, come è scontato che accada in un’area dalle istituzioni democratiche infragilite dalle tradizioni golpiste delle grandi famiglie economiche e militari, i primi effetti politici. In Nicaragua l’inossidabile Daniel Ortega nega l’esistenza del virus (a stamattina i dati disponibili annunciano 279 positivi e 17 morti in totale, in un paese di 6 milioni e mezzo di anime), nonostante si abbia notizie di infezioni e decessi. Non contento, continua a convocare adunate a sostegno del sandinismo e in celebrazione dei vari anniversari delle luminose conquiste sociali e politiche messe in cascina. Il che ricorda le processioni contro la peste, che nel medioevo accrescevano il numero dei contagi, ma tant’è. In Messico, il presidente Andrés Manuel López Obrador sta riconsegnando all’apparato militare poteri che gli aveva sottratto in base agli impegni assunti con l’elettorato appena due anni fa. Del Brasile si dirà fra poco.
A richiamare attenzione negli ultimi giorni sono stati Perù (ora più di 120mila casi confermati, 67mila positivi attivi e 3.500 decessi), Messico (ora quasi 70mila casi confermati, 15mila attivi e più di 7.400 morti) e Cile (quasi 70mila casi confermati, più di 40mila attivi e più di 700 morti). I numeri latinoamericani suonano, purtroppo, un chiaro segnale di come la pandemia, transitata da oriente ad occidente di Eurasia e quindi in nord America, stia virando in direzione sud. Il movimento va assolutamente arrestato perché avrebbe effetti letali su larghe fasce di popolazione povera che abita quelle regioni del pianeta e risulterebbe probabilmente in un boomerang, economico ma anche sanitario, sul settentrione.
A preoccupare, in America Latina, è soprattutto il Brasile, il che spiega il suo inserimento nelle tabelle della rubrica. Il paese amazzonico è secondo al mondo, dopo gli Stati Uniti, per casi confermati e sesto per morti. In soli due mesi dal primo decesso per Covid-19, il 16 marzo, aveva superato 16.000 decessi e si approssima, stamattina a quota 23.000, con San Paolo e Rio de Janeiro tristemente protagoniste. Si aggiungono le tabelle di mercoledì e giovedì scorsi, per mostrare la progressione davvero impressionante in due giorni consecutivi qualunque, nel numero di positivi confermati brasiliani.
Jair Bolsonaro, emulo del primo Trump, non ha mancato di definire “febbricola” gli effetti da Covid-19, affermando che “il futuro di coloro che sostengono la tirannia dell’isolamento sociale sarà disoccupazione, fame e miseria”. Intanto, però, il presente è fatto di dolore, paura e morte, tanto che è facile prevedere come, nella settimana che inizia oggi, il Brasile si collocherà in altre colonne delle tabelle al secondo posto dopo gli Stati Uniti. Bolsonaro non se ne adonterà, visto che ha dichiarato di attendersi che almeno il 70% dei brasiliani si ammali per il virus, e che non c’è alcun modo di impedirlo, aggiungendo: “ … ma cosa dovremmo fare? Chiudere tutto?! Assurdo, è una follia”. Gli ha risposto con le dimissioni questa settimana il ministro della salute, Nelson Teich, a meno di un mese da quel 17 aprile nel quale aveva accettato di assumere l’incarico dal quale era stato destituito il predecessore Luiz Henrique Mandetta, oncologo, dopo che si era schierato a favore delle quarantene. Per Teich, oltre alla decisione sul regime di quarantena, ha pesato il dissenso sull’uso della clorochina, che il presidente vuole introdurre, nuovamente in scia a Trump, come trattamento obbligato per ogni paziente sin dai primi sintomi. Teich ha capito che non era il caso di insistere quando ha saputo che il ministero dell’Economia stava riaprendo attività, definite essenziali, come parrucchieri, palestre, saloni di bellezza e di estetica (!).

Si tratta dell’ottavo ministro che lascia Bolsonaro, a testimonianza di una presidenza che non riesce a stabilire con i collaboratori un rapporto pienamente fiduciario. D’altronde Bolsonaro, benché tranquillizzato dalla sentenza che ha interdetto l’ex presidente Lula dal competere, per non rischiare sta rafforzando il ruolo dell’ala militare della coalizione di interessi che lo sorregge. La risposta sanitaria e di sicurezza pubblica al virus spetta in realtà, sotto il profilo costituzionale, più agli stati federati e ai grandi comuni che allo stato federale, ma vi sono situazioni, come il controllo delle frontiere che solo il governo centrale può garantire. Il Brasile ha frontiere lunghissime e confina di fatto con dieci stati: immaginarsi che tipo di effettivo controllo possa essere effettuato su confini che talvolta non sono neppure definiti con certezza e che è praticamente impossibile immunizzare da porosità. Su quanto sta accadendo, c’è scontro politico: “Jair Bolsonaro è un essere ripugnante. Il Brasile non merita tutto questo”, il commento del senatore federale Humberto Costa, del partito dei Lavoratori: oltre a stare in senato da quasi vent’anni (e dal 1995 al 1999 alla Camera dei Deputati) è anche medico.
Vista la rilevanza che sta assumendo nelle Americhe il dibattito su clorochina e idrossiclorochina sarà il caso di riportare le nuove smentite sulla loro efficacia, giunte dal fronte scientifico. Sperimentato in 671 ospedali nel mondo per un totale di 96.000 pazienti, il prodotto ha detto di non essere capace di benefici per i malati di Covid-19, mentre può arrivare a produrre su di essi effetti letali, a partire dalle aritmie che scatena. Sulla stampa, si aggiunge, sono comparse notizie relative al fatto che le ripetute uscite di leader politici sul beneficio dei due prodotti abbiano provocato in diversi paesi l’esaurimento delle scorte e contestualmente l’incremento di evitabili decessi dovuti all’uso improprio del medicamento. La rivista medica The Lancet, il 22 maggio ha reso accessibile uno studio che dovrebbe troncare ogni ulteriore speculazione sul tema da parte di affaristi, politici collegati, santoni e stregoni improvvisatisi virologi. Nel gruppo di controllo dei positivi da Covid-19, la mortalità è risultata del 9,3% tra coloro che non hanno assunto nessuno dei due farmaci, del 16% tra coloro che hanno assunto solo clorochina, del 23% tra coloro che hanno assunto idrossiclorochina e antibiotici. Lancet conferma, come conseguenza dell’uso dei due medicinali, l’intervento di aritmie in grado di scatenare la morte subitanea. Tutto ciò in un quadro nel quale non è sinora comparso un solo studio scientifico che certificasse la bontà delle cure del Convid-19 basate su antimalarico e antiartritico.
Venendo all’Europa, una riflessione può a questo punto proporsi sul caso Svezia, sotto nostra osservazione per tutto maggio. Il regno, seguendo la teoria sulla “immunità di gregge” del suo epidemiologo più in vista, Anders Tegnell, come noto non ha adottato misure di contenimento sociale di Covid-19, comparabili con quelle degli altri paesi europei. Il governo ha vietato le riunioni di più di 50 persone, e le visite alle case di riposo degli anziani, ma ha lasciato aperte la gran parte delle attività, proprie e dei privati. In una democrazia di elevato e consolidato consenso, “socializzata” come nessun’altra al mondo, si è prodotto, come reazione della gente, il curioso caso di una popolazione che, per garantirsi dal rischio della malattia da virus Corona-19, con un orecchio e un occhio a quanto accadeva nel giro planetario (viva Internet!) ha assunto autonome misure di distanziamento sociale e di auto ed etero protezione. Significativo il caso delle scuole: chiuse per settimane o più lunghi periodi (in Italia riapriranno in autunno) in molti paesi di prossimità e in genere nell’Ue, in Svezia sono rimaste aperte. Scolari e studenti hanno evitato bus e attività di contatto, optando per massicce dosi di tele insegnamento. Ufficialmente, il sistema sanitario mostra di disporre di stazioni di terapia intensiva e posti letti superiori al bisogno e Tegnell conferma che la strategia adottata sta funzionando, salvo qualche stress nella capitale, prontamente superato.
Guardando le cifre della settimana, il rapporto tra dato svedese e gli altri fa però notare alcune criticità. La più evidente è che il rapporto svedese tra decessi e casi confermati, v. tabella H, è tra i più alti e risulta quasi doppio del dato medio mondiale (si aggiunge a questo proposito la tabella di sabato 23).
Un altro elemento che le tabelle evidenziano è l’alto numero di positivi attuali rispetto ai positivi totali confermati. Non disponendo di dati sui guariti che consentano di mitigare il giudizio, non può che evidenziarsi come la Svezia da questo punto di vista risulti stamattina, dopo aver mantenuto per giorni la terza posizione, il primo paese in tabella, con valore 73,19%, prima di Stati Uniti (67,34%) e Russia (66,08%). Fuori dalle evidenze tabellari, si guardi ai tre paesi scandinavi, Danimarca Norvegia e Finlandia, comparabili alla Svezia per sanità ricchezza e stili di vita. Hanno 15 milioni di abitanti e insieme poco più di 1.100 decessi da virus Corona-19, contro quasi il quadruplo, 4.000, di morti per i poco più di 10 milioni di popolazione svedese.
Non basta. La seguente tabella raffronta la progressione svedese in maggio su quattro indicatori: i primi tre crescono a ritmo regolare e senza soste nelle tre settimane considerate, e vi è evidenza di come il numero dei positivi permanenti sul totale dei contagiati tenda a pesare in modo eccessivo.
Ciò premesso, qui interessa soprattutto il dato della colonna e, che mette il rapporto tra numero di deceduti e casi confermati svedesi della colonna d, accanto a quello verificato dalla Spagna, il paese tra i considerati con il più alto numero di casi rispetto alla popolazione e il quarto numero di decessi. Si vede come la Spagna tendenzialmente fletta la curva dei deceduti rispetto ai confermati, cosa che inizia a riuscire alla Svezia (forse) solo nelle ultime ore (sabato era a 12,17%). I numeri riflettono una serie di situazioni. Ad esempio, aver praticato la teoria della immunità di gregge nella fase precoce del male, ha esposto alla virulenza del Corona-19 le fasce più deboli che, senza l’apposizione di difese, sono risultate vittime sacrificali e obbligate.
Non casualmente intorno alla metà dei decessi svedesi è constatato in case di riposo per anziani, mentre un numero eccessivo di decessi è avvenuto nelle situazioni di sovraffollamento abitativo dipendente da cause socio-economiche (immigrati e rifugiati dalla Somalia, ad esempio). I due fenomeni, lo si è rilevato in questa rubrica, appartengono anche a molti altri paesi, ma ciò che contraddistingue la Svezia è che queste morti sono state in qualche modo messe cinicamente nel preventivo della politica adottata dallo stato. Si aggiunga che la Svezia fa tamponi solo ai pazienti con sintomi severi del morbo e che solo da qualche settimana ha iniziato ad allargare la platea dei cittadini sottoposti a tamponi, il che, peraltro, ha prodotto, in termini statistici, il balzo dei nuovi casi confermati a partire da giovedì 7 maggio come documentato in rubrica. Si rifletta anche che le autorità sanitarie svedesi sembrano aver dimenticato che chi esce dalla positività non sempre contrae immunità al virus, il che indebolisce, e di molto, la teoria del “gregge”. Fatto sta che 22 stimati scienziati svedesi hanno preso carta e penna e pubblicato una durissima denuncia sul più autorevole quotidiano nazionale, dichiarando che “si sono affidati poteri di decisione a dirigenti e responsabili senza talento”.
Si dirà: ma l’opzione del governo è stata dettata soprattutto da un calcolo economico: muoia pure un po’ di gente, soprattutto vecchi e disabili, ma si salvi la nazione e soprattutto i suoi interessi! Anche a guardare il caso svedese sotto il profilo strettamente finanziario, il giudizio resta sospeso. Il calcolo dello stato prevedeva un basso numero di morti e l’indennità di gregge diffusa per almeno il 70% della popolazione sopravvissuta, il tutto a costo zero per il bilancio dello stato. Se si volevano morti, effettivamente ce ne sono stati abbastanza, anzi decisamente troppi rispetto a quelli preventivati come si è visto. E in quanto a immunità, i dati esposti raccontano che il modello proposto non sta funzionando, visto che la percentuale svedese sul numero della popolazione, rilevata nelle colonne B, è inferiore a molti paesi europei.
Tornando al parallelo con la Spagna, il governo ha reso pubblico in questi giorni il primo approfondito studio dell’impatto sulla popolazione del contagio da Corona-19. Ad essere in contatto col virus è stato sinora il 5% della popolazione. Forte la variazione per provincia: Soria 14,2%, Madrid 11,3%, Barcellona 7,1%. Ci sono province che hanno di poco superato l’1% (Murcia), Tarragona (1,6%). Persino nel personale medico di centri clinici che hanno operato a stretto continuo contatto con i positivi, appaiono percentuali ben lontane da quelle evocate dai mentori dell’indennità di gregge. All’ospedale di Alcorcón vicino a Madrid si era, in settimana, al 31%; al Clinic di Bacellona all’11,2%.
Risulta evidente che la cosiddetta immunità di gregge è, almeno per ora, obiettivo non facile da raggiungere e comunque molto lontano: ammesso che quel 5% medio individuato abbia effettivamente sviluppato anticorpi, si starebbe lontanissimi dal 60% della popolazione indicato come soglia minima dai ricercatori spagnoli per l’immunità. Ma anche per il resto dell’Europa, la facile e rapida indennità di gregge non trova conferma. La struttura della salute dell’Ue, che ha sede proprio nei pressi di Stoccolma, il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie, Ecdc, nell’ultimo aggiornamento sulla questione racconta le seguenti percentuali di popolazione che è stata a contatto intimo con il virus (si sceglie tra varie tipologie di insediamento umano): 1,9% in Danimarca, 3,4% nella capitale finlandese Helsinki, 3% nella regione dell’Oise in Francia, 3,2% in Olanda, 1% in Scozia. Nelle città punta dell’infezione non si va comunque oltre il 15%: così a Gangelt in Rft. Vero è che a New York lo studio presentato da Andrew Cuomo già il 24 aprile dava 21% in città e 13,9% nello stato: un dato probabilmente influenzato da specificità sulle quali si è già avuto modo di porre l’accento.
Passando ai costi brutalmente finanziari, se si prende per buono il calcolo tedesco per il quale ogni caso di Covid-19 confermato va sul gobbo del bilancio pubblico per €32.000, si arriva alle conclusioni proposte dallo studio di Ceps, il centro studi diretto da Daniel Gros. Se l’epidemia colpisse “in gregge” l’intera popolazione, costringendone 1/5 alla ospedalizzazione, il moltiplicatore di costo darebbe come risultato un costo assolutamente superiore al costo rappresentato dalla quarantena imposta dai paesi del “distanziamento sociale”.
Né la scelta svedese sta avendo riflessi benigni sull’andamento dell’economia. Il Pil tra aprile e giugno perderà almeno il 6%, ovviamente per la caduta delle esportazioni ma anche perché i consumi sono scesi del 5,4% in aprile e in maggio non sembra stiano andando meglio. Bar e ristoranti, in particolare hanno perso il 27% di incassi. Per non parlare dell’abbigliamento, le cui vendite risultano -35% sullo stesso periodo del 2019. Il paese di prossimità, la Danimarca, ha perso il 29% di domanda aggregata, la Svezia il 25%: non sembra un gran che di guadagno se si tiene conto del resto della vicenda.
Concludendo, può dirsi che il modello svedese, ad oggi, risulti perdente almeno su tre questioni. Niente indennità di gregge o almeno non in accordo con le previsioni (si era detto che entro aprile 1/3 degli abitanti di Stoccolma sarebbe stato a contatto col virus, e invece ci si è fermati al 7,3%, anche perché, come si è detto, la gente si è ben guardata dall’immolarsi sull’altare del dottor Stramore di turno); morti in numero scandalosamente superiore a quello dei vicini; economia comunque in sofferenza. Se le cose continuano così, si assisterà presumibilmente a una tarda e parziale inversione di rotta: con un altissimo costo politico per l’attuale maggioranza di governo, c’è da ritenere.
In chiusura, la tabella settimanale con alcuni dettagli sulla situazione negli Stati Uniti e nella città di New York, rilevando i soli stati con decessi superiori alle 2.500 unità.
Per quanto parziale (ma non distorcente) sul piano metodologico, si rileva che nell’area newyorchese, vi sono segnali di abbassamento della virulenza del male. Nella settimana precedente nello stato si era registrata domenica 17 sera, rispetto a lunedì 11, la crescita di 13.168 casi confermati e di 1.244 decessi; nella settimana chiusasi questa notte i numeri rispettivi sono 10.144 e 802. In città, nella settimana 11-17 maggio, la crescita per gli stessi fenomeni forniva i seguenti numeri: +7.236 e +664. Nella settimana che si è chiusa ieri notte 24, i numeri dicono +4.893 casi confermati e +410 decessi.
Nei paraggi, anche il New Jersey fa numeri di speranza. Nella settimana precedente nello stato si era registrata domenica 17 sera, rispetto a lunedì 11, la crescita di 6.928 casi confermati e di 1.023 decessi; questa settimana i numeri rispettivi sono 5.914 e 699.