Buon compleanno Italia!
Oggi compi 159 anni. Tanto è passato da quel 17 marzo del 1861, quando il primo Parlamento italiano si riunì a Torino, prima capitale del nuovo Regno d’Italia.
Non sono troppi né troppo pochi per essere uno Stato-nazione. Diciamo però che sono anni che “pesano”.
Non molti, invece, se lo stanno ricordando. A dire la verità ci siamo ricordati di questo anniversario solo nel 2011 per i centocinquant’anni. Poi l’oblio.
Proprio in questi giorni di quarantena italiana sventolano alle finestre tricolori, le persone si affacciamo dai balconi per l’ennesimo flashmob, cantando inni e canzoni che inneggiano all’azzurro e al blu e nel mondo monumenti, cascate, grattacieli si illuminano con il nostro tricolore.
Ma il motivo non è questo anniversario. Abbiamo altro per la testa. La data può sfuggire. Eppure siamo lì a sentirci più italiani, stretti in questa specie di resistenza dal salotto, dalla cucina, preparando ricette mai fatte prima, facendo pulizie, leggendo libri, lavorando agili. È la nuova resistenza postmoderna imposta da minuscoli nemici invisibili.

Eppure, in questo anelito di “vicinanza a distanza” dove tutti sembrano nella stessa barca, nello stesso mare, c’è qualcosa che non quadra. C’è qualcosa che ti sta stretto, come un vestito. Perché penso, in modo del tutto paradossale, che la penisola ti stia stretta. Sì, lo so, sembra una contraddizione ma lo è solo a parole. I tuoi confini non stanno nello stato-nazione, sono molto più grandi, arrivano dove arriva la tua cultura, la più influente al mondo). E se questo tricolore sparso nel mondo e appeso alle finestre non può non mettere un brivido, non credo che un certo risveglio neorisorgimentale sia proprio quello che, in fondo in fondo, desideri. Lo so, ti piace piacere, ma aspiri a molto di più.
Stiamo combattendo una battaglia contro un nemico invisibile, che entra dentro di noi e che della nazionalità se ne frega. Sentirsi uniti aiuta, ci fa sentire meno soli, ci fa percepire la responsabilità collettiva, ci fa riassaporare la rassicurante dimensione comunitaria. Ma tanto dopo l’Italia, tocca alla Spagna, alla Francia, agli Stati Uniti.
Dal mio piccolo, mi piace immaginare, che tu aspiri ad un Neorinascimento, ad una dimensione globale e locale della coscienza umanista e umanitaria. Lo so, è un’aspirazione, anche perché tra qualche mese, quando tutto sarà finito e proveremo a ripartire, tutti i problemi torneranno a galla. Ma la tua dimensione è quella. D’altra parte intellettuali come Zielonka e Khanna ci dicono che siamo immersi in un neomedioevalesimo: “ Con l’UE indebolita, gli Stati membri rafforzeranno altri attori politici, come le città, le regioni e le organizzazioni non governative. Di conseguenza, i confini degli Stati saranno meno netti, le lealtà politiche diventeranno più instabili e le sovrapposizioni di competenze amministrative si moltiplicheranno. Definisco questo fenomeno ‘neomedievalismo’”. Per questo una neorinascita è essenziale.
La tua vocazione è segnata da una tensione universalista che va ben al di là e prima dell’ideazione delle tue grandi istituzioni: l’impero, il mercato, la cristianità. Non ti appartengono assolutismi totalizzanti, ma mediazioni e relazioni dedite a coglierne l’inconsistenza e l’infondatezza. Tu non sei un’espressione geografica ma rappresenti, attraverso la tua cultura, una dell’espressioni della dimensione umana più elevata e diffusa. Sei, come ama dire, il giornalista Severgnini, un paese pieno di contraddizioni, non proprio un inferno: troppo amabile e colto; ma neanche un paradiso: troppo indisciplinato e disordinato. Piuttosto una sorta di purgatorio sui generis, pieno di anime in pena che si affannano per mantenere un rapporto privilegiato con chi li governa.

Le crisi, i momenti di difficoltà, possono essere delle grandi risorse per il cambiamento. Molti già dicono che nulla sarà più come prima. Questo fine inverno 2020 segnerà un prima e un dopo. Probabilmente, ma facciamo che da questo emerga una nuova coscienza responsabile cosmopolita, una rinascita piena di significati delle possibilità e dei limiti della condizione umana. Non è un’utopia, una speranza forse, una necessità sicuramente.
Allora per quello che è stato e per quello che verrà, per quello che hai rappresentato e per quello che avrai ancora da raccontare ti ringrazio, non tanto come italiano, ma come persona e dal profondo non posso che inviarti i miei più cari auguri di buon anniversario.